Presentazione del manifesto “Sardigna Terra Bia/Sardegna Terra Viva”

Sardigna terra biaDomani lunedì 12 ottobre il fondatore italiano del Movimento Decrescita Felice, Maurizio Pallante, presenterà a Cagliari il manifesto “Sardigna Terra Bia/Sardegna Terra Viva”, di cui Vandana Shiva è stata la prima firmataria nello scorso luglio, durante il V° Workshop Nazionale di ISDE sulla Salute Globale.
All’incontro pubblico, che si svolgerà presso il ‘Jester Club’, in via Roma 257 a partire dalle ore 18, parteciperà come relatore Vincenzo Migaleddu – Responsabile ISDE Sardegna (International Society of Doctors for Environment). Coordinamento di Roberto Spano, Portavoce MDF in Sardegna. La pagina fb dell’incontro.
(Da SardiniaPost) L’INTERVISTA. Maurizio Pallante: “La Sardegna può decrescere felicemente”. SardiniaPost, 11 ottobre 2015 Cronaca
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(Da SardiniaPost) L’INTERVISTA. Maurizio Pallante: “La Sardegna può decrescere felicemente”
SardiniaPost, 11 ottobre 2015 Cronaca

Pallante Maurizio Decrescita fCrisi economica, riduzione dei consumi, ritorno alla terra ed energia: sono tanti i temi affrontati nell’intervista rilasciata dal teorico del movimento della decrescita felice a Sardinia Post. Dapprima insegnante, oggi apprezzato saggista che indaga i rapporti tra ecologia, tecnologia e economia, Maurizio Pallante – che oggi e domani sarà nell’Isola per un tour di conferenze e incontri –ritiene che la Sardegna abbia tutte le carte in regola per decrescere felicemente. Ma occorre cambiare rotta. E utilizzare la tecnologia per far rivivere le piccole comunità che caratterizzano il territorio dell’Isola.

Si esce dalle crisi economiche, strutturali o contingenti che siano, producendo maggiore ricchezza. È questo l’imperativo ripetuto come un mantra da ogni politico. Lei invece sostiene che la crescità è un problema, anzi, il problema. Ci spieghi perchè.

In un’economia finalizzata alla crescita, le aziende investono in tecnologie sempre più efficienti per aumentare la produttività. Ma, così facendo, si riduce il peso del lavoro umano e aumenta la disoccupazione. A risentirne è la domanda di merci, che si contrae. Ed è così che si finisce per produrre più di quanto si riesce a comprare. Stando così le cose, chiedo io ai politici come sia possibile individuare nella crescita la soluzione della crisi. Si deve anche ricordare che gli Stati sono ricorsi al debito – pubblico e privato – con l’intento di ridurre il gap tra l’offerta e la domanda. Ulteriori debiti sono poi stati contratti per far fronte all’innalzamento dei tassi di interesse sui debiti precedenti. Di fronte a questa spirale perversa, la destra opta per le politiche di austerità, che finiscono per accrescere la disoccupazione e contrarre ulteriormente la domanda, mentre la sinistra preferisce ricorre al debito per sostenere la domanda, ma così si apre la porta alla speculazione finanziaria.
Il Movimento per la decrescita felice sostiene, invece, che si possa uscire dalla crisi riducendo gli sprechi. Le faccio un esempio: se ci fossero delle politiche volte ad abbattere i consumi energetici delle abitazioni – che arrivano a consumare fino a 20 litri di petrolio al metro quadro l’anno – , noi creeremo un’occupazione che viene ripagata attraverso il risparmio ottenuto sui costi di gestione della casa. Ecco cosa s’intende quando si parla di decrescita. Al contrario, oggi noi compriamo combustibili fossili, che sprechiamo per i due terzi, inquinando e creando tensioni internazionali molto forti.

A proposito di debiti, la giunta regionale della Sardegna ha di recente acceso un mutuo da 700 milioni di euro per favorire la ripresa dell’economia: si tratta di un classico esempio di politica neo-keynesiana. Con il patto di stabilità che grava sulla disponibilità dei comuni, le maggiori risorse pretese dallo Stato per appianare il debito, è sempre meglio che morire d’austerity…

Se l’unica alternativa alle politiche neokeynesiane fosse l’austerity, potremmo ragionarci su, ma c’è appunto una terza soluzione. Tenga conto che oggi le politiche neokeynesiane di sostegno alla crescita scontano un forte ritardo: risalgono agli anni ’30, quando non si era ancora arrivati al picco del petrolio (il punto oltre il quale la produzione di greggio può solo diminuira, ndr) e non esisteva l’effetto serra. Insomma, oggi più che mai l’economia è strettamente legata all’ambiente: semplicemente, le politiche neokeynesiane di crescita non sono attuabili per via di limiti fisici: le materie che impieghiamo per crescere non sono infinite. Quest’anno, il giorno in cui l’umanità – peraltro in modo molto iniquo – ha consumato tutte le risorse che la terra produce in un anno è arrivato il 15 agosto.

Trova che la Sardegna sia attrezzata rispetto alla sfida lanciata dalla decrescita, a quel ritorno alla terra da voi caldeggiato? Nello specifico, il fatto che l’Isola si presenti come una costellazione di piccole comunità, che hanno a disposizione un vasto territorio è uno svantaggio oppure no, viste le mire dei tanti imprenditori che vogliono utilizzare il territorio a fini energetici?

Eliseo Spiga Manifesto-delle-Comunita-di-SardegnaPurtroppo, dal dopoguerra ad oggi, la Sardegna ha sacrificato l’agricoltura a un’industria estremamente inquinante e a un turismo che ha distrutto le coste. Mi ha sempre stupito che i sardi, in un’isola con un clima benedetto da Dio, producano solo il 18% del cibo di cui hanno bisogno. Mentre tutto il resto viene da fuori. Se la giunta decidesse di puntare sull’autonomia alimentare della Sardegna, quante decine di migliaia di posti di lavoro potrebbe creare? Molti di più rispetto a quelli creati dall’industria. Un grosso contributo può arrivare proprio dal settore energetico, incominciando col ridurre gli sprechi e proseguendo con la realizzazione di piccoli impianti da fonti rinnovabili volti all’autoconsumo e collegati tra loro in rete. Questa è anche la ricetta per favorire l’abbandono dei combustibili fossili e preservare il territorio dagli appetiti di tanti imprenditori.
Venendo all’altra questione sollevata, leggendo Eliseo Spiga, mi sono reso conto di quanto il tessuto culturale, sociale ed economico delle comunità sarde sia stato intaccato negli ultimi sessant’anni, ma la Sardegna ha tutte le carte in regola per decrescere felicemente: la presenza di piccole comunità rappresenta infatti la condizione ideale per praticare la solidarietà tra le persone, la reciprocità, lo scambio senza l’utilizzo di denaro. Sono queste condizioni indispensabili per essere liberi: se si è costretti a comprare tutto, si finisce per diventare schiavi del mercato.

Nel vostro manifesto si fa riferimento a piccole e medie imprese, artigiani specializzati e studi radicati sul territorio come vettori del cambiamento. Ma com’è possibile per questi soggetti competere con le grandi aziende e i meccanismi della grande distribuzione?

Le piccole e medie aziende devono soddisfare i bisogni della popolazione, lo scopo dell’economia non è mai stato la competizione, ma produrre quello che serve per vivere bene. Dunque, tra l’altro, questo significa che noi non siamo contrari alla tecnologia, anzi. L’importante è che non vengano utilizzate per accrescere la produttività, ma per ridurre il consumo di energia, materie prime e rifiuti per ogni unità di prodotto.

Tutto questo fa pensare a una sorta di esodo, per cui c’è una frangia di società, un pezzo di economia che si costruisce e si rigenera parallelamente e separatamente dall’economia che siamo abituati a commentare.

Sì, dovrebbe funzionare così a mio modo di vedere, ma non per creare piccoli spazi di resistenza, o di alternativa, bensì per dar vita a delle concrete opportunità che possono essere sfruttate da tutti quelli che sono ancora dentro l’attuale sistema economico. L’obiettivo non è, dunque, creare delle nicchie di alterità, ma far sì che queste nicchie allarghino il più possibile lo spazio dell’economia alternativa.

Come valuta, rispetto a questa visione, iniziative come quella del Sardex?

Sono strumenti molto utili, perché pur praticando un’economia basata sull’autoproduzione, non ci sarà mai nessun gruppo umano capace di produrre tutto quello di cui ha bisogno: certe cose bisogna pur comprarle. Una moneta locale presenta l’indubbio vantaggio di trattenere l’utile legato alla vendita sul territorio. Al contrario, se pensiamo a tutti i soldi che girano attorno ai supermercati, ci rendiamo conto che solo gli stipendi delle cassiere restano sul territorio.

Ci faccia dunque qualche esempio di decrescita felice già in atto.

Si tratta di esperienza parziali, ma oggi esistono ormai centinaia di società edili che costruiscono case ad alta efficienza energetica, aziende che producono sistemi di produzione di energia o di coimbentazione alternativi, ci sono poi tutte le esperienze dei gruppi di acquisto solidale, dei contadini che abbandonano l’agricoltura chimica per tornare a quella biologica e che vendono i propri prodotti al di fuori della grande distribuzione.

Collegata a questa nuova visione dei rapporti economici, sociali c’è anche una visione dell’assetto politico-amministrativo?

Su questo siamo indietro come elaborazione, tuttavia il compito è bene definito: articolare l’idea di uguaglianza al di là delle forme storiche date al concetto dalla destra e dalla sinistra.

Piero Loi, SardinaPost
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Da La Nuova Sardegna on line di domenica 11 ottobre 2015
Spaesati e timidi sperano di raggranellare qualche spicciolo
«Non abbiamo soldi a sufficienza, perciò chiediamo aiuto»
Adesso i profughi chiedono l’elemosina nelle vie del centro

SASSARI Ormai stanno diventando una presenza fissa nelle strade del centro. Da viale Italia fino a via Roma ogni giorno è una processione. Camminano un po’ spaesati, poi si avvicinano alla gente e, sussurrando timidamente qualche parola, tendono la mano per chiedere l’elemosina. Occhi bassi, quasi si vergognino. Sono i profughi alloggiati nelle strutture di accoglienza che, nelle vie del commercio, cercano di raggranellare qualche spicciolo per le loro esigenze quotidiane. «I soldi sono pochi – dice in un italiano stentato un giovane del Ghana che è seduto in via Porcellana, vicino al Policlinico sassarese –, non bastano per la ricarica». Il riferimento è al telefono cellulare, diventato il cordone ombelicale che permette ai migranti di stare in contatto con la loro patria e i loro familiari. Un altro ragazzo del Ghana, che fa base in via Rolando, allunga la mano, senza nemmeno parlare. La stragrande maggioranza non conosce la nostra lingua, riesce a mettere insieme poche frasi. Più facile avere un dialogo in francese o in inglese. Il giovane racconta di stare in un «big hotel», ma se gli chiedi quale è non sa nemmeno rispondere. Non sono invadenti, nemmeno insistenti, almeno la maggior parte. Si vede che non sono abituati a chiedere la carità, che sono impacciati. Ti guardano e sul viso di molti leggi tristezza e pudore. Sono tutti vestiti dignitosamente, puliti. Ma tutti ugualmente si lamentano di non avere denaro a sufficienza, di annoiarsi a stare tutto il giorno senza far niente. E perciò stanno chiedendo aiuto ai cittadini, sperando nella loro solidarietà, e riversandosi nelle strade. La generosità nei loro confronti non manca, anche se nel frattempo crescono gli interrogativi tra i passanti che quotidianamente si ritrovano davanti alle disperate richieste di aiuto dei migranti. «Diamo loro la giusta accoglienza – riflette un signore che ha appena dato qualche euro a uno di loro –? Questi giovani si ritrovano in una terra straniera senza un lavoro, privati degli affetti, con un futuro incerto. A volte ospiti non graditi. Io, mi sento impotente di fronte alla loro tragedia. Non posso aiutare economicamente tutti, ogni giorno quando vado e torno dal lavoro trovo lungo il tragitto almeno una decina di migranti. E tutti mi rivolgono sempre la stessa richiesta». Intanto si sta anche aprendo un problema di sicurezza per le decine di ospiti dei centri di accoglienza, tutti situati in periferia. Il percorso per raggiungere la loro “casa” provvisoria è pericoloso e pieno di insidie, visto che tutti lo fanno a piedi. Soprattutto durante la notte, quando ritornano verso Predda Niedda da Sassari, nell’ex tribunale dei minorenni, oppure si dirigono verso Bancali e Li Lioni, nella superstrada: perché sono costretti a passare in tratti non sufficientemente illuminati e privi di marciapiedi. Per gli automobilisti, proprio a causa della mancanza di illuminazione, è difficile individuare un pedone durante le ore notturne. Loro, i profughi, camminano sui bordi della strada, in gruppo e spalle alle auto. E i guidatori che se li ritrovano all’improvviso davanti, nell’oscurità, rischiano di investirli. Un problema che ovviamente riguarda, tutti i pedoni che affrontano strade periferiche. Ma che ora salta ancora più agli occhi davanti a quelle piccole comitive che si muovono nel buio. (p.f.)

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