Oggi giovedì 22 ottobre 2015

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(La Nuova Sardegna on line di giovedì 22 ottobre 2015) Il dibattito sulle autonomie
Non sempre eliminare luoghi e istituzioni aiuta la democrazia. Modificare i nomi serve solo a creare nuova confusione.
di Giampaolo Cassitta
I nomi sono il crogiolo della memoria, la bussola della nostra esistenza. Si riconoscono le persone, i luoghi, se ne disegnano gli aspetti. Alcuni personaggi sono noti, soprattutto, per i soprannomi ed è difficile ritrovarli provando ad enucleare il loro nome “originale”. E’ quasi impossibile dimenticarsi i modi di dire o i toponimi geografici perché appartengono alla tradizione e sono bellissimi in quanto disegnano un mondo che, comunque, ha un senso naturale e riescono, da soli ad esplicitare, in maniera chiara e risoluta quel luogo. Così, quando sentiamo “Riu malu” capiamo che quel piccolo fiume non era, probabilmente, un corso d’acqua tranquillo; (infatti, gli antichi mica ci costruivano vicino a quel rio) “sa mala corte”, “su dirruppu” “su camminu nou”, “tanca piatta” “badde lontana” non sono semplici “luoghi” sono, soprattutto, rappresentazioni antropologiche che ben raccontano anche la vita delle persone che in quei luoghi hanno vissuto. Non è facile liberarsi dei nomi ed è terribilmente difficile imporre di nuovi. Per abitudine e perché il nuovo esercita, in questi campi, qualcosa di incomprensibile. La premessa serviva per tentare di spiegare il pasticcio delle province in Sardegna, il disegno dei nuovi confini e delle nuove denominazioni che destano, davvero, qualche perplessità linguistica, ma nascondono anche qualche interrogativo politico. Siamo partiti con tre province. Oristano diventa provincia solo nel 1974 e anche in quel caso ci furono facce perplesse. Si cambiava provincia e anche targa dell’automobile. Successivamente ci fu l’istituzione di quattro nuove province: Olbia Tempio, Medio Campidano, Carbonia Iglesias e Ogliastra. Qui la storia si complicava ed era difficile provare a spiegare quale fosse il capoluogo di provincia e, soprattutto, spiegare che Lanusei, bellissimo comune di circa 5.500 abitanti era anche il capoluogo (insieme a Tortolì) della provincia Ogliastra. Praticamente un piccolissimo quartiere di Roma (ma anche di Cagliari, a dire il vero) che diventava provincia. Però, in fondo, tutto questo giovava alla politica e al campanilismo spicciolo. Ma la politica riesce sempre a fondere l’impossibile con l’improbabile ed ecco che costruisce dei passaggi piuttosto tortuosi che non riescono ad essere identitari proprio perché sbaglia totalmente i tempi e i modi. In politica però, le scelte rispettano sempre non le convenienze dei luoghi e della popolazione, ma quelle degli uomini e degli interessi spiccioli, di convenienza dell’attimo. Gli stessi che avevano voluto a gran voce le province sino ad allargarle a dismisura diventano, di colpo, i loro peggiori nemici e ci raccontano, in uno strettissimo e veloce giro di walzer che le province non servono a nulla. Soldi sprecati. Noi ci crediamo, siamo entusiasti e convinti aboliamo con un referendum tutte le province, comprese quelle “storiche”. Adesso, lentamente, quando tutto è quasi sbaraccato ci dicono che, in realtà, in attesa dell’eliminazione definitiva occorre un altro passaggio con nuovi confini e nuovi nomi: provincia tirrenica e non più Nuoro, provincia del Sud e non più Cagliari che diventa, tra l’altro, città metropolitana di Cagliari. In questo strano gioco di modificare i nomi alle cose e ai luoghi si è anche convinti di creare una nuova strategia politica. La verità sembrerebbe invece un’altra: nessuno si è mai chiesto se le province servissero davvero alla Democrazia e alla funzionalità dello Stato. Se non servono semplicemente si aboliscono altrimenti si potevano benissimo lasciare e provare, per esempio, a diminuire più che i poteri e i rappresentanti sugli scranni i loro stipendi. Non sempre eliminare luoghi e istituzioni aiuta la democrazia. Modificare i nomi serve solo a creare nuova confusione e denota poca attenzione per la storia di un paese.

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