Anno nuovo. Che nuovo anno sia!

bimbo con teschio
sedia di Vannitola
di Vanni Tola

Ecco l’anno nuovo. Bilanci e riflessioni.

Inizia un nuovo anno, tempo di bilanci e riflessioni, di programmi e di agende di lavoro per l’anno appena cominciato. Riflessioni solitamente standardizzate e scontate. Talvolta sembra di rileggere cose dette e ridette anche negli anni precedenti, programmi vecchi quanto inutili ai quali ormai pochi mostrano di credere. Proposte peraltro fortemente condizionate anche dalla perenne campagna elettorale in corso nel paese. C’è un argomento, tra i tanti sui quali di dovrebbe avviare una seria riflessione. Il mito della “naturalità”. Un tema abbastanza importante per individuare e comprendere i limiti dei programmi e delle forze politiche dell’area progressista che tanta influenza hanno, o meglio potrebbero avere, nell’attivare concreti processi di cambiamento della realtà socio economica del paese e della regione. Il mito della “naturalità” dei programmi e il peso che tale concetto sta avendo nella (non) definizione di azioni credibili e realizzabili è davvero consistente. Senza nulla concedere agli schematismi ideologici e partitici, talvolta devianti, penso si possa affermare con certezza che, dalla Rivoluzione Industriale in poi, la sinistra o, se preferite, l’area liberale e progressista dalla società, ha sempre perseguito il miglioramento delle condizioni di vita degli esseri umani contribuendo a diffondere i progressi scientifici e tecnologici che la scienza produceva e determinava. La conservazione, l’irrazionalità, la difesa aprioristica del conosciuto rispetto al nuovo che avanzava, erano tutti elementi del pensiero conservatore e di destra. Oggi l’area progressista percorre altre strade, sembra essersi rifugiata in un conservatorismo che si richiama a tradizione e natura, che è certamente molto rassicurante, ma altrettanto sicuramente non progressista. Oggi, l’atteggiamento di coloro che si definiscono di sinistra o comunque appartenenti all’area progressista, nei confronti di tutto ciò che è stato prodotto dalla ricerca scientifica e tecnologica, è fortemente condizionato da un pregiudiziale rifiuto in nome dalla “naturalità” dell’agire che raramente è accompagnato da considerazioni oggettive. Giusto per fare alcuni esempi basta pensare all’idea di chimica verde e alla biochimica viste con sospetto e ostilità ignorando che perseguono l’obiettivo (questo si naturalista) di sostituire produzioni derivanti da sostanze fossili (petrolio e carbone in primis) con altre prodotte con materie prime di origine vegetale, solitamente riciclabili biodegradabili e compostabili. Un indubbio vantaggio per l’ambiente e la natura. La bioingegneria, che tanta parte ha nella moderna produzione alimentare, farmacologica e in altri comparti produttivi, viene solitamente identificata con l’operato, certamente malavitoso, dei contraffattori e alteratori di prodotti piuttosto che con la ricerca di nuove e più organiche forme di produzione certamente riconducibili a un miglioramento della naturalità dei prodotti e delle condizioni di vita della gente. Per non parlare poi del rapporto con le nuove tecnologie relative alla produzione di energia utilizzando fonti energetiche alternative. Le centrali solari, ideate dal nobel per la fisica, l’italiano Carlo Rubbia, sono una realtà in molte parti del mondo, come le serre solari, gli impianti eolici, la geotermia, la produzione di energia dal riciclo di materiali di rifiuto, la ricerca di prodotti agricoli alternativi, (per esempio il cardo e la canna comune in Sardegna). Tutte attività considerate con sospetto e diffidenza per paure talvolta solo parzialmente fondate (operazioni puramente speculative della malavita, sfiducia nell’operato delle multinazionali della chimica) ma molto spesso per pregiudizi radicati verso tutto ciò che non si conosce o si conosce soltanto parzialmente. Non ne voglio fare una questione semantica ma è un dato oggettivo l’uso improprio che si fa di alcuni termini. Per esempio il termine “chimica” è solitamente e naturalmente associato a qualcosa di negativo dimenticando che grazie ai progressi della chimica e della bioingegneria oggi disponiamo di farmaci molto efficaci, di materiali più efficienti, di macchine migliori, di combustibili meno inquinanti che in passato. Per contro il termine “naturale”, al quale si riferisce gran parte degli appartenenti all’area cosiddetta progressista, non sempre è sinonimo di genuinità e buona qualità. Pensiamo ai prodotti di agricoltura biologica spesso dichiarati tali soltanto dallo stesso produttore ma non adeguatamente certificati, penso al vino o all’olio del contadino venduto nelle fiere con etichette approssimative e controlli igienico sanitari talvolta inesistenti, ai prodotti alimentari conservati e via dicendo. In Sardegna, in particolare, poi al mito della “naturalità”, si accompagna solitamente quello di “su connotu” , del noto, dell’agire come si faceva prima, nei tempi passati, con le modalità e le tecnologie povere dei nostri avi. Anche in questo caso ci troviamo di fronte fondamentalmente a un pregiudizio, romantico e poetico quanto i vuole, ma sempre un pregiudizio. Le condizioni di vita, nel passato, erano decisamente peggiori, si moriva di parto, c’era malnutrizione e elevata mortalità infantile, mancavano quasi totalmente medicine e vaccini che tanto hanno contribuito alla difesa della salute, i controlli sulla qualità degli alimenti erano pressoché inesistenti. Una condizione di vita non certo invidiabile. Il mito del ritorno al passato, alle buone pratiche di una volta è spesso diffuso soprattutto da chi gode oggi di una condizione sociale favorevole e consolidata e può permettersi di fare voli pindarici sulle ali della fantasia e del mito. Dovremmo rifletterci sopra. Il nostro giornale, da sempre aperto al confronto delle opinioni, certamente darà spazio alla discussione e all’approfondimento sul tema.
L’augurio che rivolgo alla Sardegna è che il nuovo anno induca i progressisti sardi a fare pace con la scienza, la ricerca e l’innovazione tecnologica. Auspico l’individuazione di linee guida per un programma di rinascita e sviluppo dell’isola realistico, che tenga conto delle reali potenzialità e risorse della regione e che individui interventi di adeguamento delle attività produttive alla realtà nella quale viviamo. Uno sviluppo e una crescita in sintonia con le caratteristiche del contesto economico e politico nel quale l’isola è collocata, in rapporto con i mercati internazionali, finalizzato a soddisfare le esigenze della popolazione, la conservazione dell’ambiente e la crescita socio-culturale del popolo sardo.
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Auguri Sardegna!
di Franco Meloni*

By sardegnasoprattutto/ 9 gennaio 2016/ Culture/

E’ tempo di auguri. Quali per la nostra Sardegna? Come a Natale si finge naturale bontà, a Gennaio si deve fingere un naturale ottimismo nell’immaginare il futuro. Ma l’ottimismo ha un senso, secondo Gramsci, solo se è rivolto alla volontà, che significa impegno derivante da una chiara consapevolezza della realtà.

Quale è la visione generale della posizione della Sardegna in un’Italia frammentata in una Europa che vede crescere le fughe dall’idea di Comunità che aveva fatto sperare, alla fine della seconda guerra mondiale, ideali di concordia nella pace?

Quello che regna ovunque è un senso di precarietà giustificato dalla violenza delle idee che si contrappongono, come ai tempi delle Crociate, con proclami e non con accurate e impegnative discussioni. E il sangue scorre. Personalmente auguro ai Sardi di riacquistare la consapevolezza di sè. Della coscienza di mantenere e difendere il patrimonio del quale spesso dimentichiamo di essere responsabili. Della certezza che solo la competenza può farci stare al passo di nazioni che privilegiano l’istruzione e la cultura. Millenni di storia ci guardano dall’alto delle torri nuragiche.

Abbiamo fuso metalli e creato arte con antichi saperi. Eravamo al centro di miti e abbiamo danzato con moltissimi Odissei. Abbiamo inventato poesie per sconfiggere l’ignoto e intrecciato tappeti che facevano percorrere arditi viaggi nella fantasia. Sotto olivi secolari abbiamo dettato codici di comportamento che ponevano regole. Abbiamo accordato i tempi dell’agricoltura secondo lo studio degli astri, e la sacralità della natura era rispettata.

Ora dobbiamo rivendicare il nostro ruolo di ponte tra culture nel Mediterraneo, e per farlo dobbiamo richiamare i nostri figli emigrati, e sconfiggere il pessimismo della ragione con costruttivi progetti di accoglienza e di pace in un’etica che ispiri la sostenibilità delle scelte. L’identità si rafforza solo con il confronto con chi viene da fuori. La decisione è facile: fare il contrario dei regimi sempre più antistoricamente fascisti che la vecchia e stanca Europa sta rigurgitando.

L’alternativa ci relega al ruolo subalterno che permetterà di trattare la nostra Isola, che ha il diritto di essere felice, come contenitore di rifiuti, non solo materiali e magari smaltibili in migliaia di anni. La nostra terra, nella più infausta conclusione, potrà essere un efficiente campo per raffinati giocatori di golf o violenti simulatori di guerre, tra esclusivi centri benessere che vedrebbero i Sardi come silenziosi servi. E magari, capovolgendo la sfera che ci conterrà, potrà cadere la neve anche ad Agosto. Abbiamo il dovere di pretendere di più. Auguri Sardegna!

*Fisico e Narratore
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Monte_Gonare wkITA DD’HAP’A NAI
di Fanny Cocco
Ita dd’hap’a nai a filla mia
Chi hat a teni bint’annus
In su Duamila.
Ita dd’hap’a nai
A pustis chi eus abbraxau
Padentis e cracchiris A pustis chi eus alluau

COSA LE DIRO’
Cosa dirò a mia figlia che avrà vent’anni nel Duemila.
Cosa le dirò
dopo che abbiamo bruciato
rovereti e boschi di ghiande
dopo che abbiamo avvelenato sorgenti e ruscelli

A filla mia dd’hap’a nai
A no si fai imboddicai Cument’a nos
Chi eus donau a fidu Su mundu nostru
A is luziferrus de sa chimica e de s’atomu. Nos si dd’eus donau Nos vittimas buginus e complicis.
A filla mia dd’hap’a

di non farsi lusingare come abbiamo fatto noi
che abbiamo venduto per niente
il nostro mondo
ai diavoli della chimica e dell’atomo Noi gliel’abbiamo dato
noi vittime carnefici e complici

Mizzas e arrius
A pustis chi eus accaddozzau Pranus e montis
A pustis chi eus struppiau
Costeras e marinas A pustis chi eus incravau
Matas e bestias.

dopo che abbiamo trasformato in letamai pianure e montagne dopo che abbiamo rovinato
coste e spiagge dopo che abbiamo messo in croce alberi e animali.

nai
Ca no est prus tempus De passienzia “Torrandi a pigai sa terra tua
E perdona a su tempus nostru
Chi t’hat lassau
In eredidari Muntronaxus e bombas”.

A mia figlia dirò
che non è più tempo di portare pazienza. “riprenditi la tua terra e perdona la nostra generazione
che ti ha lasciato
in eredità immondezzai e bombe”.

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* di Fanny Cocco, ITA DD’HAP’A NAI
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