Riflessioni su ballottaggi, referendum, città e dintorni…

Senza titolo
Il trombettiere sta zitto, si nasconde. Il M5S verso la guida del Paese.
20 Giugno 2016
democraziaoggidi Andrea Pubusa su Democraziaoggi

Il trombettiere tace, scansa le telecamere, si nasconde… ma dovrebbe sparire. Perde dappertutto e con percentuali da frana. Doppiato a Roma, surclassato a Torino, malamente spazzato via in Toscana e, giù già, fino a Carbonia. Fassino, uomo di tutti i tradimenti e revisionismi (si è schierato perfino con Marchionne contro i lavoratori) viene rottamato dagli elettori. L’ex sindaco di Torino, da presidente in pectore del nuovo senato della Boschi e di Verdini viene letteralmente cacciato dal municipio. Il trombettiere doveva usare il lanciafiamma contro i dissenzienti, ora è incenerito dal voto in risposta alle sue sparate. L’uomo della divisione, dell’alleanza con Verdini e Alfano, l’uomo del “partito della nazione” viene punito senza appello dagli elettori. L’uomo delle bugie continue, dette in TV ad ogni ora del giorno e della notte: una ripresa continuamente decantata, mentre tutto intorno dice il contrario, le fabbriche che chiudono, i negozi che abbassano le serrande, i giovani disoccupati e maltrattati, la corruzione dilagante in ogni luogo dove il PD mette piede. L’uomo dell’attacco sfrontato alla Costituzione, alla Resistenza e ai Partigiani, l’uomo che deride perfino l’ANPI, l’associazione che racchiude e valorizza i migliori valori dell’Italia migliore, avrà il colpo di grazia ad ottobre, se ci arriva. Renzi, che credeva d’essere furbo, facendosi su misura l’Italicum, proprio con quella legge, sta consegnando il Paese al M5S, che ai ballottaggi è micidiale, li vince tutti di fronte a chi ha usato l’arma della divisione come clava verso gli altri rimanendo solo e così pestando malamente se stesso. La gente capisce che, per risolvere i gravi mali del Paese, ci vogliono anzitutto parole di verità e occorre una grande mobilitazione unitaria. Bisogna unire e non dividere, come nei momenti migliori della vita nazionale.
Sarà un caso? Il M5S difende la Costituzione con coerenza e decisione e vince. I pentastellati, mentre gli altri rubano, rinunciano perfino ai fondi cui hanno diritto per legge, non ritirano il finanziamento pubblico, e riducono a metà le loro indennità parlamentari, destinandole a fini sociali. Un esempio non parolaio di etica pubblica e di rigore in politica. Un rilancio dei valori racchiusi nella Costituzione, come frutto della Resistenza.
In Sardegna è esemplare la vittoria della Massidda a Carbonia, dove da decenni consorterie, ammantate da sigle partitiche e in lotta permanente fra loro, si dividono, senza ritegno, risorse e poteri conducendo la città negli abissi del degrado più nero, dando al territorio il triste primato della zona più povera d’Italia.
Un monito anche alla giunta regionale, la più triste della storia dell’autonomia, disastrosa in tutti i settori, dai trasporti alla cultura, ai settori economici. E’ un risultato in parte nascosto dal successo di Massimo Zedda a Cagliari, frutto, tuttavia, di un convergenza sul trasformista di SEL del voto moderato dei benpensanti che si accontentano dei giardinetti nuovi e dei marcipiedi, come già fecero con le piazzette di Mariano Delogu.
Questo giugno elettorale segna uno spartiacque nella politica non solo locale. Dopo la caduta di Berlusconi si avvia la sepoltura del berlusconismo impersonato da Renzi.
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cq comune caElezioni. A Cagliari la palestra delle politiche Renziane e del pensiero Unico italiano
16 giugno 2016
di Claudia Zuncheddu, su il manifesto sardo

Il risultato elettorale delle amministrative di Cagliari merita un’analisi attenta, non a caldo e distaccata. E’ evidente che tra i principali blocchi politici concorrenti, centro sinistra e centro destra, non c’è chi ha perso, al di là della vittoria di Zedda al primo turno e dell’apparente sconfitta di Massidda.

La riconferma di Zedda sindaco di Cagliari, non è una sua vittoria personale, e ancor meno esclusiva dello schieramento di centro sinistra. Di fatto è la vittoria di un sistema politico variegato e complesso che attorno al potere si è saputo compattare e consolidare. Interi segmenti di centro destra sono transitati all’interno del centro sinistra, e il caso Psd’Az ne è un esempio. Il Partito Sardo che ancora oggi fa parte della minoranza di centro destra nel Consiglio della Regione Autonoma, per le amministrative di Cagliari trasloca nel centro sinistra, ma non prima di essersi caricato di forze di centro destra. Gran parte dei voti dell’UDC sono infatti la dote che questo Psd’az porta al centro sinistra garantendogli la vittoria al primo turno ed evitandogli un rischioso ballottaggio. Per non parlare dei fiumi di voti, che in modo più o meno subdolo, per le contraddizioni interne alla destra sarda, sono confluiti nel centro sinistra.

A elezioni concluse, quindi, possiamo ribadire che nessuna vittoria per il centro sinistra cagliaritano sarebbe stata possibile senza la sua deriva a destra.

L’anomalia cagliaritana in definitiva viene esaltata in Italia come vittoria delle strategie del PD, una vittoria controtendenza rispetto ai risultati elettorali che in diverse città d’Italia hanno decretato la sconfitta e lo scricchiolamento del partito di Renzi.

Un approfondimento necessario da cui non si può prescindere nello scenario politico sardo è il ruolo delle cosiddette forze sovraniste oggi all’interno del cosiddetto centro sinistra che non ha neppure il pudore di definirsi identitario come si proclamava in altre stagioni politiche. Nella Regione Autonoma, elementi di spicco, ieri del centro destra di Cappellacci, oggi sono assessori di spicco della Giunta Pigliaru, mentre a Cagliari sono parte integrante della maggioranza variopinta di Zedda.

Certo è che per i sovranisti, in barba al nome che portano, resta difficile motivare il loro appoggio politico incondizionato ai processi di fusione dei blocchi italiani, del Pensiero Unico, del Partito della Nazione (naturalmente italiana) che la Sardegna dovrà subire.

La Legge elettorale sarda, della precedente legislatura, che come intuivo e denunciavo nello stesso Consiglio della RAS, ha agevolato il bipolarismo italiano, decretando l’esclusione dalle istituzioni di tutte le minoranze politiche a partire da quelle identitarie. Con Renzi l’accelerazione inaspettata di quei processi è stata tale da superare il passaggio successivo previsto dal bipolarismo al bipartitismo perfetto, per celebrare of course la fusione perfetta dei due blocchi italiani, il Pensiero Unico alla base del nuovo sistema oligarchico che vorrebbe avere la sua benedizione con il “SI” al referendum di ottobre sulle modifiche alla Costituzione. Un pensiero italiano che in modo beffardo viene sperimentato proprio nella realtà sarda, dove fermentano da lungo tempo sentimenti indipendentisti, seppur senza mai quagliare in forme di unità politiche importanti come auspicato dal popolo sardo.

Le elezioni di Cagliari rappresentano il laboratorio perfetto di questa sperimentazione tutta italiana che inevitabilmente si è conclusa con la vittoria di un sistema variegato e la sconfitta di un’Idea di unità delle nostre forze, di un progetto tutto sardo che nonostante stenti a decollare, resta l’unica alternativa possibile per il cambiamento e la salvezza economica e sociale della Sardegna nella tempesta della globalizzazione. Ora il PD porta a Roma il suo trofeo sardo Zedda, ufficialmente aderente a Sel, per sostenere la campagna elettorale di Giachetti, e per mostrare in Italia come si può vincere senza ostacoli e senza creare sconfitti all’interno delle lobby della politica italiana.

I veri sconfitti sono stati tutti quei sardi che auspicavano la creazione di un ampio polo civico alternativo ai due blocchi continentali. E’ stata fino ad ora sconfitta l’idea di innescare, a partire dalle esigenze e criticità dei quartieri e dei cittadini cagliaritani, un processo di valorizzazione e di unità di tutte queste forze minoritarie che unite avrebbero rappresentato, anche in Consiglio comunale, l’inizio di un percorso alternativo possibile. Purtroppo ancora una volta hanno prevalso logiche minoritarie e personali perdenti, funzionali alla conservazione del potere e del sistema.

Le stesse logiche di divisione in Sardegna, hanno fatto sì che il brand 5 Stelle, sulla scia della grancassa d’oltre Tirreno, in questa tornata elettorale approdasse in consiglio comunale, interpretando anch’esso un ruolo in commedia, e cioè essere elementi di divisione e di distruzione di un progetto cagliaritano e sardo antagonista ai blocchi italiani sempre più simili. Questo ruolo politico, che gli è congeniale, nasce principalmente dalla totale mancanza di autonomia dei loro militanti nei territori ed è anch’esso funzionale al sistema.
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MASSIMO ZEDDA su Aladinews

Perché tifo Renzi e Giachetti. Parla Massimo Zedda, sindaco di Cagliari
formiche.net loghettodi Andrea Picardi su Formiche.net
Perché tifo Renzi e Giachetti. Parla Massimo Zedda, sindaco di Cagliari
Conversazione di Formiche.net con Massimo Zedda, l’esponente di Sel confermato sindaco di Cagliari al primo turno in alleanza con il Partito Democratico
Matteo Renzi? “Un interlocutore con il quale confrontarsi seriamente sui temi, senza fare sconti ma neppure polemiche strumentali“. Il Pd? “L’alleato naturale cui guardare per ricostruire un’area politica oggi frammentata, dispersa e disorientata“. L’isolamento a sinistra? “Un esperimento che non ha dato i frutti sperati“. La vicenda che vede protagonista Massimo Zedda oggi può considerarsi un’autentica eccezione: l’unico – nei comuni capoluogo di regione al voto in questa tornata di amministrative – che sia riuscito a definire la partita al primo turno senza passare per il ballottaggio, per di più con una coalizione di centrosinistra che si potrebbe considerare vecchio stile.

L’esponente di Sel – fuoriuscito dai Ds prima della fusione con la Margherita – è stato riconfermato sindaco di Cagliari con il 50,9% dei voti in alleanza con il Pd: “Ci siamo concentrati sul lavoro fatto e da fare per i cagliaritani, senza prestare il fianco al gioco delle polemiche, dei litigi e degli scontri, che invece ha prevalso altrove“. Un’esperienza che – secondo il primo cittadino del capoluogo sardo – dimostra la necessità di un percorso comune tra il partito guidato da Matteo Renzi e quella che alcuni definiscono la “sinistra sinistra”: “A partire dalle città si può ricostruire un accordo fondato sulla soluzione dei problemi concreti dei cittadini e del Paese“.

Quando gli si fa notare che nel suo partito esiste però un ampio fronte contrario a questa prospettiva – come dimostrano le corse in solitaria di Stefano Fassina a Roma e Giorgio Airaudo a Torino – Zedda non esita a rispondere: “Non mi sembra che gli sia andata benissimo. Se avessero vinto o fatto registrare percentuali importanti, sarebbe stato un argomento molto serio di discussione ma non è accaduto niente di tutto ciò“.

Chi vuole una sinistra antitetica al Pd dovrebbe cambiare idea: “Invito a un ripensamento generale. Bisogna stare attenti a non disperdere un immenso patrimonio di competenze, energia e passione politica, com’è avvenuto nelle città in cui ci si è presentati da soli”. Un esempio in questo senso è certamente Roma, dove – con il risultato non entusiasmante di Fassina, fermo al 4% dei voti – la sinistra è riuscita a far eleggere un solo esponente in Assemblea Capitolina, che poi è lo stesso ex viceministro dell’Economia, deciso per ora a mantenere il doppio incarico di consigliere comunale e di deputato.

Un esito negativo cui vanno anche aggiunte le ripercussioni nei municipi romani – nei quali il partito della sinistra è stato inevitabilmente sconfitto – a partire dal feudo rosso della Garbatella dove Andrea Catarci era riuscito a mantenere saldo il timone del governo anche negli anni in cui Gianni Alemanno guidava il Campidoglio.

Non è un caso che Zedda abbia scelto proprio la città eterna per manifestare la sua posizione, con un mini tour romano al fianco di Roberto Giachetti. Una visita di poche ma simboliche ore. Sbarcato nella capitale alle 16 e ripartito alla volta della Sardegna alle 21, il sindaco di Cagliari ha partecipato a due appuntamenti con il candidato romano: uno in compagnia del ministro delle Infrastrutture Graziano Delrio e l’altro del presidente della Regione Lazio Nicola Zingaretti, il cui vice – per inciso – è l’esponente di Sel Massimiliano Smeriglio. Sostegno di Zedda a Giachetti, determinato da considerazioni politiche di carattere nazionale ma non solo: “Nel nostro modo di intendere la politica e nei nostri porgrammi – pur con le inevitabili differenze – ci sono notevoli punti di contatto. Si vede che ha studiato, che ha approfondito i temi dei singoli quartieri“.

E poi un’altra ragione in particolare: l’essere Giachetti l’alfiere della candidatura olimpica di Roma. Gli eventuali Giochi Olimpici del 2024, infatti, si svolgerebbero in parte anche a Cagliari: “La mia città è inserita nel dossier olimpico. Questo vuol dire che – in caso di assegnazione all’Italia – ospiterà le Olimpiadi della vela. Non posso non essere favorevole a un evento di carattere mondiale che rilancerebbe Cagliari, Roma e il mio Paese“.

La Capitale, peraltro, non è l’unica città in cui Zedda è andato a fare campagna elettorale a sostegno di un candidato del Pd. Qualche giorno fa ha fatto lo stesso anche a Milano, per supportare Beppe Sala nella sfida all’ultimo voto con Stefano Parisi. Un testa a testa dall’esito quasi impronosticabile: “Spero e penso che vinca Sala. Ogni elezione è storia a sè. E’ evidente che a Roma e Milano ci siano situazioni di maggiore complessità da affrontare spingendo sull’acceleratore fino alla fine“.

Giachetti e Sala, i più renziani tra i candidati a sindaco nell’ultima tornata elettorale. Inevitabile, dunque, chiedere a Zedda quali siano i suo rapporti con il presidente del Consiglio, di cui il suo partito di appartenenza si pone all’opposizione a livello nazionale: “Ho un buon rapporto con il premier. Ogni volta che ci incontriamo, discutiamo di Cagliari e delle soluzioni concrete da mettere in campo per risolverne i problemi. Qualche settimana fa ad esempio siamo stati indicati come città pilota per la banda ultralarga in accordo tra governo ed Enel“.

Quindi la sinistra che immagina Zedda dovrebbe allearsi con Renzi?: “Un conto è il livello locale e un altro il livello nazionale. Però è indubbio che si debba costruire un percorso comune, che parta dalle città e che faccia perno su un programma nel quale si possano identificare le diversi componenti del centrosinistra“. Sul risultato di questa eventuale operazione di riavvicinamento certamente dirà qualcosa anche il referendum d’ottobre sulla riforma costituzionale, in vista del quale una parte della sinistra è già attivamente scesa in campo a favore del No. Una posizione non condivisa da Zedda che sul tema – anche strategicamente – preferisce prendere tempo: “In questi mesi di campagna elettorale – salva la parte relativa agli enti intermedi di diretta competenza dei sindaci – non ho avuto il tempo materiale di approfondire il testo della riforma. Lo farò nelle prossime settimane“.

Non c’è dubbio che la sfida del referendum confermativo influenzerà anche il congresso fondativo di Sinistra Italiana – la formazione politica nata dall’incontro tra Sel ed alcuni dei fuoriusciti Pd – in programma il prossimo dicembre: “Sarà l’argomento di discussione dei prossimi mesi. Mi auguro che anche persone come il sindaco di Genova Marco Doria e l’ex primo cittadino di Milano Giuliano Pisapia vogliano dare il loro contributo. Dobbiamo costruire un soggetto unitario che rappresenti la sinistra, indipendentemente dal nome che sarà scelto. L’importante è non scomparire“.
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Il disastro del Pd sardo e il futuro della giunta Pigliaru
20 giugno 2016
di G.M.B. su SardiniaPost
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La sconfitta è così chiara e così netta che l’argomento consolatorio secondo cui si è trattato di “elezioni cittadine” non è praticabile. Il Partito democratico – cioè il partito che governa la Regione – ha perso ovunque. Ha perso nella storica “roccaforte rossa” di Carbonia contro il Movimento 5 stelle, ha perso a Olbia contro quel che restava del centrodestra. Ha perso a Monserrato, dove pure si era arrivati a una ricomposizione del centrosinistra, e ha perso a Sinnai contro un’alleanza di sinistra. Un risultato che certo non cancella il successo di Massimo Zedda (che però, va ricordato, è un esponente di Sel) ma fotografa una crisi strutturale di consensi. Il Pd ha perso in realtà diverse, contro avversari diversi. Quelli vecchi e quelli nuovi.

Per la prima forza della giunta regionale – ormai vicina a compiere metà legislatura – c’è più di una ragione per riflettere. Perché le cause di questa sconfitta sono così tante e sono così evidenti che la difficoltà principale non è individuarle, ma “metterle in ordine”. La condanna di Renato Soru, seguita dalle immediate dimissioni dal ruolo di segretario, ha solo accelerato l’epilogo di un conflitto correntizio che si trascina da anni. In un estenuante esercizio di politique politicienne che ha prodotto un solo risultato visibile e a tutti evidente: il mancato rinnovamento del gruppo dirigente.

Le vicende del Pd, e in generale del centrosinistra, sono per larga parte dell’opinione pubblica incomprensibili. Anche nell’eterno dibattito sul “rimpasto” della giunta regionale è difficile individuare le ragioni di merito, mentre sono chiarissime – a chi ha la voglia e la pazienza di ricostruirle – quelle determinate dalle ambizioni correntizie. Fin dall’inizio della legislatura, il Pd e il centrosinistra hanno agito come se la vittoria alle Regionali del 2014 non fosse anche (e forse prevalentemente) il frutto di una serie di combinazioni fortunate (le liste di disturbo presentate da Mauro Pili) unite a una legge elettorale costruita appositamente per uccidere nella culla il tentativo di Michela Murgia e del suo Sardegna Possibile. Oltre che dalla credibilità personale di un uomo, Francesco Pigliaru, estraneo alle logiche dell’apparato.

Quel risultato, che doveva essere un punto di partenza, è stato trattato come un punto di arrivo. Le porte del Palazzo della politica anziché aprirsi si sono chiuse. E i tentativi di comunicare un vero cambiamento sono stati spesso offuscati da episodi opachi, come le nomine di dirigenti scelti evidentemente sulla base di criteri di fedeltà, ancorché imputati. Vicende segnalate sistematicamente da questa testata e rimaste senza alcuna risposta.

Un anno fa, dopo l’ennesimo assordante silenzio, avanzammo l’ipotesi che l’evidente imbarazzo della giunta regionale fosse determinato dalla difficoltà ad ammettere, appunto, che per salvaguardare gli equilibri politici, ogni tanto può capitare di dover fare scelte che non si condividono. Perché non piegarsi a una mediazione, anche molto al ribasso, anche opaca, in alcuni casi può produrre un danno superiore al vantaggio di fare bella figura adottando un comportamento totalmente trasparente.

“Ma il punto – scrivevamo all’epoca – è proprio questo: la valutazione del danno. Che dovrebbe essere fatta dal centrosinistra sardo tenendo conto di alcuni dati di fatto. Il primo è che le elezioni sono state vinte per il rotto della cuffia e per una combinazione di circostanze fortunate: la presenza di una lista che ha tolto voti al centrodestra e l’assenza del Movimento 5 Stelle. Che, immaginiamo, oggi stia festeggiando la nomina del dirigente-imputato perché dà un nuovo formidabile argomento alle tesi secondo la quale “sono tutti uguali”.

Ecco, a quanto pare la festa è andata avanti. In questo momento è in pieno svolgimento a Carbonia, Olbia, Sinnai e Monserrato. E nel 2019, dopo le prossime Regionali, dove proseguirà?

G.M.B.

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