La Scuola al primo posto

alice-10-2image Goni 12 set 16TUTTA UN’ALTRA SCUOLA
cosa non va nella scuola italiana?
Fiorella Farinelli su Rocca

Fine settimana di metà settembre a Vaiano, qualche chilometro da Prato. Una «Festa-convegno della scuola che cambia», ospitata nell’istituto comprensivo della cittadina. Una giovane preside che parla di Barbiana e Don Milani come fossero ancora tra noi a denunciare quella scuola di tanti anni fa (ma per certi versi non è ancora così?) troppo simile a un ospedale che accoglie i sani e respinge i malati. Tanti gli insegnanti e tantissimi i genitori, bambini e passeggini a rallegrare ogni angolo. Le attività sono anche outdoor e si espandono in cerchi concentrici, due piazze, una sopravvissuta Casa del Popolo, una Badia, un giardino pubblico, spazi all’aperto e al chiuso dedicati a una miriade di laboratori, gruppi di lavoro, seminari, giochi per adulti e per bambini, atelier di teatro e manualità varie. Si capisce subito che l’evento è speciale anche perché coinvolge l’intera comunità locale, e il suo sindaco. Ma la cifra più interessante è che non si tratta solo di idee ma anche di azioni. Non solo di progetti ma anche di esperienze. Non solo di denunce ma anche di proposte. A tenerle insieme il gomitolo multicolore di un ambientalismo giovane, positivo e produttivo – dovunque in vendita prdotti locali rigorosamente bio – cui si intrecciano innamoramenti e mode culturali che guardano a orizzonti più vasti. Le filosofie orientali e l’India, yoga e animalismo, meditazione e buddhismo. A promuovere il tutto, attraendo esperienze e pensieri da Padova a Scampia, è l’associazione toscana TerraNuova-Pensa e Vivi Ecologico, forte di numerosi rapporti con associazioni culturali e sociali di mezza Italia, e con i più diversi progetti di sviluppo civico e per la qualità ambientale. Ma tra i tanti laboratori per il risparmio energetico, il riciclo degli scarti, l’olio di oliva che diventa sapone, la cardatura della lana, come costruirsi un pannellino solare per ricaricare i cellulari, spiccano anche temi e protagonisti di un mondo educativo, non solo scolastico, che costruisce e ricostruisce instancabilmente quello che nel nostro sistema di istruzione sembra oggi più a rischio. L’originalità didattica, la passione pedagogica, la centralità delle persone e delle libertà individuali, i metodi e i percorsi di una scuola orientata alla cooperazione più che alla competitività, l’apprendimento che scalda i cuori dissolvendo conformismi e vincoli burocratici, un crescere insieme – e reciprocamente – tra scuole e comunità. Cultura, identità, locale e globale.
paradigmi educativi altri
Perché il titolo dell’evento è in verità «Tutta un’altra scuola», la ricerca dunque di altri o alternativi paradigmi educativi. C’è la Rete Senza Zaino degli studenti impegnati in progetti di scuole liberate da oneri e vincoli impropri, ma anche le storiche esperienze del riformismo fiorentino di Scuola-Città Pestalozzi. C’è l’Alice Project che non ha mai attecchito nella scuola pubblica italiana trovando invece il suo habitat in una lontana regione dell’India, ma portano contributi anche le sempre-verdi scuole montessoriane e le sempre più apprezzate steineriane. Non mancano le suggestioni anglosassoni dell’homeschooling, gli «asili nei boschi» d’ispirazione tedesca, il consueto e irrisolto dibattito su digitale sì-digitale no, cui si alternano le riflessioni da una università di Milano sulla «contro educazione», gli stimoli delle edizioni Erickson dedicate alle nuove tecnologie didattiche, e persino qualche progetto d’avanguardia firmato Confindustria. A discuterne in modi formali e informali, un singolare mix di educatori di strada arrivati da Napoli e di operatori della formazione professionale che lavorano invece a Bologna, esperti di cose scolastiche coi capelli grigi e giovani insegnanti alle prese con i minori stranieri non accompagnati approdati in Sicilia, pedagogisti libertari e studenti con domande spesso più difficili delle risposte.
pensiero e azione
Un menù così denso e variegato da far dubitare che se ne possa venire a capo. Ma un punto fermo c’è, nel «Tutta un’altra scuola» di Vaiano. È evidente che i temi dell’educazione non possono essere sequestrati dai soli addetti ai lavori, politici o operatori che siano, e che l’esigenza di metterli a fuoco per individuare e pratica- re le soluzioni è tanto più pressante dove – come, appunto, nel mondo ambientalista che analizza i guasti di un modello di sviluppo insano – ci si misura con il cosa e il come fare per uscirne. Una sfida che, nel caso dell’ambientalismo ma non solo, richiede politiche pubbliche bene orientate ma anche stili diversi di vita e diversi comportamenti individuali. Quindi informazione, formazione, apprendimenti cognitivi e valoriali. Partecipazione democratica, certo, ma anche interiorizzazione di una nuova etica fatta di responsabilità civile. Sta qui, e non altrove, la centralità dell’educazione, non solo scolastica. Una strategia intelligente, una promettente combinazione di pensiero e azione. Che siano soprattutto qui – nell’ormai diffusa rinuncia ad avere e costruire collettivamente una qualche idea di trasformazione del mondo, e quindi di trasformazione delle mentalità – le ragioni più profonde della straordinaria povertà culturale e politica che ormai da tempo caratterizza il dibattito italiano sui temi dell’educazione? C’è da chiederselo perché è evidente che non è possibile discutere di contenuti culturali, di altri metodi di insegnamento/ apprendimento, di nuovi obiettivi dell’istruzione e della formazione senza porsi il problema di ridefinire mete e modelli di società, e direzioni di marcia per realizzarli. E perché non si può sapere che fare della scuola e nella scuola senza ridiscutere i profili auspicabili di una cittadinanza attiva e responsabile – e misurarsi su cosa serve per formarli. Saranno le tante «Tutta un’altra scuola» del nostro paese a rimettere prima o poi le cose con i piedi per terra?
Risulta chiaro, intanto, che per farlo occorre una buona dose di coraggio e di laicità culturale. E un buon senso capace di sfidare il conformismo del senso comune. Che in effetti si profila in modo netto nella conferenza dedicata a un tema tra i più classici della discussione scolastico-educativa. La dispersione, e i tanti perché degli abbandoni scolastici precoci. Una patologia in calo nel nostro paese ma ancora troppo consistente con il suo 19-20 per cento di ragazzi che escono dai circuiti formativi senza diplomi e neppure qualifiche, e dalle connotazioni inquietanti. Da un lato uno svantaggio dei ragazzi rispetto alle ragazze di quasi 7 punti, decisamente superiore alle medie europee; dall’altro una correlazione evidente con le aree territoriali e le condizioni socio-familiari più sfavorite; e poi l’impressionante sequela di insuccessi – bocciature, ripetenze, ritardi, abbandoni – degli studenti di origine straniera, anche nati da noi, e di gravità maggiore, anche qui, rispetto a ciò che succede in altri paesi meta di flussi migratori.
come si spiega?
Come si spiega? Cos’è che non va nella scuola italiana? E quali sono le responsabilità esterne alla scuola? I dati statistici non bastano a capire. Ma basterebbero, in altre occasioni di confronto – istituzionali, politiche, accademiche – per replicare il solito refrain di una scuola, quella italiana, che per molte ragioni storiche e strutturali non ha ancora gli strumenti per misurarsi con successo con le disgrazie del mondo, le disparità socioculturali della popolazione, le note diseguaglianze del Sud, i deficit linguistici degli stranieri, le difficoltà identitarie di un genere maschile sempre più disorientato dalle dinamiche emancipatorie della componente femminile e quant’altro. In sintesi, per riproporre la consueta pratica autogiustificatoria per cui gli insuccessi del sistema scolastico si spiegherebbero con ritardi e deficit che gli impediscono, non per sua colpa, di affrontare le tante novità sociali e culturali dei nostri tempi. C’è del vero, intendiamoci, in questo modello interpretativo. Ma serve ripeterselo ancora una volta? E, soprattutto, un approccio di questo tipo basta a rappresentare le diverse facce della crisi attuale della scuola italiana?

l’approccio dei Maestri di Strada napoletani
L’approccio dei «Maestri di Strada» di Napoli che danno avvio alla discussione è un altro. Sebbene la loro esperienza educativa sia nata dentro i contesti socioculturali più disagiati della città, gli educatori napoletani non ci stanno a relegare il disagio scolastico nei confini relativamente ristretti del disagio sociale più acuto. Il problema allora viene rovesciato mostrando come gli abbandoni siano solo la punta più visibile ed estrema di un malessere e di un’insoddisfazione per l’esperienza scolastica in verità molto più larghi e interclassisti. Che riguarda anche figli dei ceti non sfavoriti, che non si concentra solo nel Sud o nelle periferie metropolitane, che non si manifesta solo negli istituti professionali e tecnici, che riguarda anche i nativi e non solo gli stranieri. Che c’è, è riconoscibile, e va curato anche quando non si presenta con la faccia drammatica delle bocciature e degli abbandoni, ma piuttosto con l’aspetto, in verità non meno inquietante, della demotivazione, del disinteresse, di un apprezzamento dell’esperienza scolastica solo per quel che offre in termini di socialità tra pari. E poi sotto forma di apprendimenti scarsi, superficiali, effimeri.
Oggi il pericolo più grande, si sostiene, è il diffuso disinvestimento individuale nell’istruzione, è lo spreco di opportunità di uno sviluppo culturale fondamentale per il futuro dei giovani. Non solo il futuro lavorativo e professionale, ma anche e soprattutto quello civile che riguarda la consapevolezza del mondo in cui siamo e la passione per un suo possibile cambiamento. Il possesso degli strumenti per autorientarsi, e anche per vivere al meglio un futuro sia di occupazione che di disoccupazione. La domanda di fondo, allora, quella che tutti dovrebbero porsi, diventa provocatoriamente un’altra. Da esaminare non sono solo le cause per cui un settore ampio di giovani esce dai circuiti formativi prematuramente, c’è piuttosto da chiedersi perché, nelle condizioni date, i ragazzi di oggi dovrebbero apprezzare la scuola e l’apprendimento che gli viene imposto. Perché dovrebbero farlo se quella stessa scuola e quegli stessi apprendimenti sono con tutta evidenza poco apprezzati dai loro stessi insegnanti. Perché dovrebbero appassionarsi a contenuti culturali proposti spesso in modi ripetitivi, freddi, senza inventiva e fantasia didattica, senza un rapporto con la loro esperienza, le loro domande, le loro inquietudini. Perché dovrebbero credere in una scuola che promette un ascensore sociale che la società e il mondo del lavoro non sono più in grado di assicurare. E poi, come utilizzare l’esperienza scolastica per crescere in autonomia e responsabilità quando la scuola attuale non permette scelte o percorsi individualizzati e non assicura nessuna flessibilità di funzionamento?
«cura» parola chiave
Queste domande non esauriscono l’intero catalogo delle questioni aperte ma hanno il pregio di svelare la nudità del re, e perciò di andare più a fondo dei numerosi fattori di crisi del nostro come di altri sistemi scolastici. E delle responsabilità che si annidano in una educazione familiare orientata spesso più alla tutela dei giovani che alla loro responsabilizzazione, in una non-educazione o malaeducazione che viene dalla società, dai media, da un consumismo che dà valore più all’avere che all’essere, da un modello economico e sociale impostato sulla dissipazione delle risorse, dei beni comuni, delle energie e dei talenti delle giovani generazioni.
C’è spazio, ovviamente, anche per una critica di fondo delle politiche scolastiche di questi anni. Ma non è questo il registro essenziale della discussione di Vaiano. Che segue piuttosto, come per i temi ambientali, la via dell’individuazione delle contraddizioni più acute, e di ciò che si può fare, e che in molti casi si sta già facendo per curarle. È «cura» la parola chiave, non successo, non competitività, non occupabilità. Ed è il come si può fare, e dove e con chi. Nelle scuole e nei territori, con gli insegnanti e con il privato sociale, con il mondo produttivo e con l’associazionismo. Con la musica, il teatro, le università, la ricerca scientifica, le botteghe artigiane, il lavoro, il volontariato, la cooperazione, la solidarietà. Ci vuole intelligenza, certo. E anche professionalità. Ma la risorsa più importante, forse, è la passione educativa, la convinzione che è su questo terreno più che su altri che si giocano le partite decisive. Per i ragazzi di oggi e anche per il destino del paese. Vale la pena di provarci.

Fiorella Farinelli
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rocca 19 2016
- La foto in testa all’articolo è tratta dal sito del progetto Alice (Alice Project).
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2 Responses to La Scuola al primo posto

  1. […] delle pur importanti rivendicazioni di strutture adeguate e di maggiori risorse per la scuola, con Fiorella Farinelli, giornalista di Rocca, concordiamo che le domande di fondo che tutti dovremmo porci sono altre. “Perché, nelle […]

  2. […] – Rocca 19/2016 è online! – L’articolo sulla Scuola italiana di Fiorella Farinelli ripubblicato da Aladinews. […]

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