Impegnati per il NO

No comitato sardoAppello del Comitato sardo per il NOno sar 2
4 ottobre – 4 dicembre 2016. Tra due mesi voteremo per il Referendum costituzionale. Intensifichiamo il nostro impegno per il NO. Invitiamo le persone singole e associate (associazioni, comitati, gruppi, ecc) impegnate per il NO a farci conoscere le diverse iniziative in programma perché le possiamo anche noi pubblicizzare. In particolare comunicateci i link di siti web, blog, pagine fb che danno conto delle iniziative nel territorio sardo a sostegno del NO alla riforma Boschi-Renzi-Verdini.
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democraziaoggiFra i lavoratori lo scasso di Renzi è più chiaro
Andrea Pubusa su Democraziaoggi.
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Fra i lavoratori lo scasso di Renzi è più chiaro.
4 Ottobre 2016

Andrea Pubusa su Democraziaoggi.
Può sembrar strano, ma nella periferia la pregnanza e l’insensatezza dello scasso Renzi-Boschi-Verdini si coglie meglio. Il fatto è che i guasti di quel testo si notano con più nitidezza, vengono esaltati dall’esperienza concreta. L’altro giorno a Carbonia ho partecipato ad un’affollata assemblea per il NO e mi hanno colpito alcuni interventi. Per esempio, l’attacco alla rappresentanza in periferia è colto con più immediatezza. Quando ho detto che il senato ipotizzato da Renzi limita la rappresentanza dei territori, perché consente che solo quelli più forti (Cagliari e Sassari) abbiano senatori, il messaggio è stato rilanciato da un intervento che ha fatto il punto sulle province. Bene o male le province elettive rappresentavano i territori nel loro insieme. Ora, coi commissari regionali a capo delle province, quella rappresentanza è venuta meno. Le popolazioni sono più sole, più isolate, i loro immani problemi hanno meno possibilità di filtrare nei processi decisionali regionali e nazionali. Quindi, modificare le province, aggiornarne le funzioni era necessario, ma la loro esistenza come enti dipendenti dalla Regione, come appendice regionale, anziché come espressione dell’autonomia dei territori, è una perdita secca di peso politico, di capacità delle popolazioni locali di far valere le proprie ragioni.
L’attacco alla rappresentanza è stato ripreso poi da alcuni lavoratori, sempre presenti nelle lotte di fabbrica di questi decenni. Uno di loro ha messo in luce come questo attacco al carattere rappresentativo delle province e ora perfino del Senato abbia la sua origine nel drastico ridimensionamento degli organismi di difesa dei lavoratori nei luoghi di lavoro. L’eversione dello Statuto dei lavoratori disposta col Job act ne è la riprova. A cosa mira la soppressione dell’art. 18 se non a questo? La reintroduzione del licenziamento facile costituisce l’antidoto più forte alla partecipazione dei lavoratori alle lotte nei luoghi di lavoro, li riconduce sotto il tallone dell’imprenditore che ridiventa padrone. C’è poi la compressione della contrattazione sindacale, da quella aziendale a quella nazionale, a cancellare la rappresentanza dei lavoratori, il loro potere, se non decisionale, partecipativo.
Un altro lavoratore mette in luce come questo processo di svilimento della rappresentanza nelle istituzioni e nei luoghi di lavoro incide sulla prima parte della Costituzione, contrariamente a quanto sostengono i sostenitori del sì. Questo è il modo per infilzare insieme non solo il principio lavorista (l’Italia è una repubblica …fondata sul lavoro), ma anche il principio democratico (L’Italia è una repubblica democratica…) perché il carattere democratico è dato dalla uguale capacità di diritti dei cittadini e dalla loro capacità di partecipare all’organizzazione economica, sociale e politica del Paese. E’ un affossamento dell’art. 3 Cost. che pone appunto il principio di uguaglianza e della partecipazione. Il principio fondamentale che ispira le norme costituzionali in materia di lavoro “è consacrato nell’art. 2, nella parte in cui riconosce ad ogni uomo valore di fine in sé e perciò attribuisce ad esso, in quanto essenza dotata di una propria maturale dignità”, la titolarità di diritti, “inviolabili”, ossia “intangibili”. Questo diceva Mortati, grande costituzionalista e padre costituente nelle sue mirabili pagine sul lavoro nella Costituzione. E, questi lavoratori di Carbonia, pur senza essere costituzionalisti. intuiscono e desumono dalla loro esperienza concreta che tutto si tiene e le modifiche di Renzi alla Carta e alla legislazione ordinaria sul lavoro ha come effetto diretto ed evidente un rinsecchimento dei principi fondamentali, incidendo perfino sulla sovranità popolare, che torna ad essere sovranità dei gruppi economici forti e di un ceto politico che ne è in larga misura espressione, dati i processi di nomina dall’alto.
Calamandrei diceva che la Costituzione è nata non nel chiuso delle aule di ricerca ma nel vivo della lotta di Liberazione, in ogni luogo dove si è versato del sangue per la libertà. Le discussioni con i lavoratori, immersi nella grande difficoltà della crisi e prime vittime della restrizione degli spazi democratici, ne sono la conferma. Nei luoghi di lavoro e nelle periferie, dove i problemi sono più gravi e incidono più immediatamente sulla carne della gente, il senso del testo Renzi-Boschi-Verdini viene colto in tutta la sua portata antipopolare. Questo, contrariamente a quanto pensano molti e lo stesso Renzi, fa pensare che ogni barzelletta di Renzi in TV anziché portargli voti, gliene faccia perdere. Risulta indisponente agli occhi di chi è in diffcoltà il capo del governo, che enuncia, ridendo, mirabolanti progressi del Paese. Chi la crisi la vive sulla propria pelle o la vede intorno, a casa di perenti, amici e conoscenti, ad ogni uscitas di Renzi in TV s’incavola. In fondo l’arma non tanto segreta del NO è lo stesso Renzi.
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Sondaggio referendum 3 ott 16IL SONDAGGIO
Referendum, il No avanti al 52%
Al Sud la maggioranza dei contrari
Ma un elettore su due ancora non sa cosa farà. Al Centro-Sud il Sì è indietro di 16 punti
Tra chi vota Forza Italia il 40% è a favore della riforma (poco conosciuta nei contenuti)
di Nando Pagnoncelli

La lunghissima campagna referendaria che ha preso avvio nel mese di gennaio, a due mesi dal voto, presenta una situazione di grande incertezza e continua a essere caratterizzata da un modesto livello di conoscenza della riforma votata dal Parlamento. Solo un cittadino su 10, infatti, dichiara di conoscere nel dettaglio i contenuti della riforma costituzionale, il 44% la conosce a grandi linee, il 38% ne ha sentito vagamente parlare e l’8% non sa nemmeno che ci sarà un referendum.

GUARDA IL GRAFICO
IL VANTAGGIO DEL NO
ORA È AL 52%

Quanti conoscono la norma
Rispetto al sondaggio realizzato nel luglio scorso, gli italiani che ne sanno qualcosa aumentano solo di 3 punti (da 51% a 54%): è un dato sorprendente, tenuto conto che i mezzi di informazione ogni giorno ci parlano del referendum. Ma ne parlano prevalentemente riportando più il rumore di fondo (le polemiche e i conflitti tra i due schieramenti), mentre l’approfondimento del merito della riforma è merce rara, probabilmente perché risulta ostico agli elettori.

Il Sì in flessione
Quanto agli orientamenti di voto si registra una flessione di due punti del fronte del Sì (da 25% a 23%), la stabilità di quello del No (25%) e l’aumento sia degli indecisi (da 7% a 8%) che degli astenuti (da 42% a 44%). Per effetto di questi cambiamenti il No prevale sul Sì, ma la distanza non è significativa e si mantiene nell’ambito dell’errore statistico. Escludendo dal computo indecisi e astensionisti, oggi il No si attesta al 52% e il Sì al 48%.

Gli elettori per partiti
È interessante osservare gli orientamenti nei differenti elettorati. Iniziamo dalla partecipazione alla consultazione: i più mobilitati appaiono gli elettori del Pd (tre su quattro dichiarano di volersi recare alle urne), mentre tra gli elettori di M5S, Lega, Forza Italia e i centristi circa due su tre intendono votare. Gli elettori del Pd, inoltre, si mostrano più coesi di quanto si potesse immaginare, tenuto conto del duro scontro tra maggioranza e minoranza del partito: il Sì prevale largamente (81% a 19%). Anche tra gli elettori centristi il Sì è in testa, ma in misura meno netta (59% a 41%). Tra gli elettori dei partiti d’opposizione prevale il No ma è interessante osservare che circa uno su cinque tra i grillini (19%) e i leghisti (21%) e ben il 40% tra i sostenitori di Forza Italia voterebbe Sì. D’altronde, alcuni dei temi della riforma incontrano una sensibilità diffusa anche tra chi osteggia il governo.

Per aree geografiche: al Nord prevale il Sì
L’orientamento di voto appare molto diversificato nelle diverse aree geografiche del Paese: nelle regioni del Nord ovest e in quelle del Centro Nord prevale il Sì, nel Nordest prevale di poco il No mentre nelle regioni del Centro Sud e nelle Isole il No ha un vantaggio piuttosto ampio.

I punti della riforma
Quando si entra nel merito della riforma, enunciando i sette principali punti in cui si sostanzia, il grado di accordo per ciascun aspetto considerato prevale sempre sul disaccordo, talora in misura molto netta come nel caso della riduzione dei senatori (62% i favorevoli, 20% i contrari), della fine del bicameralismo paritario (51% contro 24%), la soppressione del Cnel (49% contro 18%). Il vantaggio è più contenuto solo nel caso delle modalità di elezione del Senato: 39% i favorevoli alla scelta contestuale al voto regionale, 31% i contrari che preferirebbero poter scegliere con un voto di preferenza. L’accordo medio espresso per i sette punti della riforma è pari al 48% ma quando, successivamente, agli stessi intervistati si chiede di esprimere il favore per la riforma nel complesso, il consenso è più basso: il 42% si dichiara molto o abbastanza d’accordo, perché la personalizzazione e l’orientamento politico prevalgono sul merito delle questioni. D’altra parte, come già evidenziato, per il 53% degli interpellati gli italiani voteranno pensando di approvare o bocciare il governi Renzi.

Il rischio personalizzazione
Il premier sta riducendo la personalizzazione del referendum. Sembra una scelta saggia. In uno scenario tripolare, infatti, la personalizzazione può risultare una strategia ad alto rischio perché i due elettorati antagonisti sono indotti ad allearsi contro il premier, indipendentemente dal merito del referendum, per «dare una spallata» al governo. Mancano nove settimane al voto e la partita è davvero aperta: la distanza tra No e Sì è minima e gli indecisi saranno determinanti. Tra questi ultimi la metà circa (47%) pur dichiarando di voler andare a votare non sa esprimere un parere sulla riforma, il 32% si dichiara favorevole e il 21% contrario.

Mobilitazione ferma al 56%
In questo scenario è auspicabile che il confronto, spesso influenzato dagli allarmi evocati — da una parte, nel caso di affermazione del No, le catastrofiche conseguenze sul piano economico-finanziario, politico e sociale; dall’altra, se vincesse il Sì, la concentrazione dei poteri, l’attentato alla democrazia e alla libertà dei cittadini — e dal tifo da stadio, si trasformi in una sana dialettica sui contenuti effettivi. Il dibattito televisivo su La7 tra il premier Renzi e il professor Zagrebelsky va in questa direzione: è stato un contraddittorio utile e molto civile che ha consentito agli ascoltatori di approfondire le ragioni a favore e contro la riforma. E un confronto argomentato e pacato potrebbe favorire una maggiore mobilitazione dei cittadini, oggi ferma al 56%. È un dato che fa riflettere perché si tratta di un referendum sulla Costituzione, e la Costituzione è di tutti, indipendentemente dalle opinioni sulla riforma.
Corriere della Sera online, 2 ottobre 2016 (modifica il 3 ottobre 2016 | 11:10)

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