Trump

usa 1I primi 100 giorni di Trump: ed è subito «establishment»
American Psycho. Il presidente eletto si concentra su tasse e immigrazione coinvolgendo petrolieri e lobbisti

di Simone Pieranni
il manifesto, EDIZIONE DEL 13.11.2016

- segue –
Il presidente eletto degli Stati uniti Donald Trump, dopo l’incontro alla Casa bianca e i primi ammonimenti al presidente uscente Barack Obama, ha rilasciato le sue prime due interviste.
Oltre a questo – insieme al lavoro del suo comitato di transizione – sono stati puntualizzati gli obiettivi più importanti – in 18 punti – dei primi 100 giorni della sua presidenza, mentre proseguono le indiscrezioni sulla probabile squadra di governo.

IL TEAM FUTURO Al di là dei nomi proposti per il futuro esecutivo, che vedrà presumibilmente in un ruolo di primo piano il vice presidente Mike Pence, Donald Trump appare già diverso rispetto alla campagna elettorale: il suo programma e le sue prime ammissioni sul da farsi sono decisamente su altri livelli dialettici, rispetto ai toni e ai proclami utilizzati durante la campagna elettorale.

Tanto che ormai perfino il Washington Post mette in evidenza il bluff circa il suo essere «outside the box», ovvero un personaggio «anti-establishment» (Se pensavate di votare Trump perché è anti-establishment, indovinate un po’: siete stati ingannati, è il titolo di un editoriale apparso ieri sul quotidiano americano).

Al di là dei toni più «moderati» di Trump, quanto emerge è una totale linea di continuità – invece – con la consueta proposta repubblicana, lasciando se possibile ancora più spazio alle derive xenofobe e razziste di quell’amalgama di suprematisti e nuove destre che hanno accompagnato il percorso elettorale del tycoon. Il suo futuro team, infatti, sarà legato a doppio filo a banche d’affari, petrolieri, affaristi, magnati, lobbisti. Chi ha creato la crisi nel 2008, si ritrova ora a beneficiarne gli esisti politici (oltre che economici). Non era difficile prevederlo: «The Donald», così affascinante per molti, è pur sempre un miliardario.

IL PROGRAMMA Il «contratto con gli americani» che Trump ha sottoposto al suo team e ai media si snoda attraverso 18 punti tra i quali la rinegoziazione o il ritiro dall’accordo commerciale Nafta tra Usa-Canada-Messico, la rinuncia all’accordo transpacifico (Ttp), la necessità di dare mandato al segretario al Tesoro per etichettare la Cina come manipolatore valutario (e dovrebbero anche essere previsti dazi al 45% contro le merci di Pechino), deportare gli oltre due milioni di «immigrati illegali criminali» e cancellare i visti con i paesi che non vogliono riprenderseli. Trump, inoltre, nell’intervista al Wall Street Journal (ne ha concessa una seconda alla rete Cbs, in onda oggi) ha glissato sulla possibilità di nominare un procuratore per indagare Hillary (lodando addirittura Bill Clinton) mentre ha confermato la sua intenzione di abrogare gran parte della riforma sanitaria di Obama, pur volendone conservare alcune parti, come il divieto alle assicurazioni sanitarie di negare la copertura per condizioni patologiche pre-esistenti e la possibilità per i giovani adulti di beneficiare delle polizze dei genitori.

LA POLITICA ESTERA Trump, definito dall’analista Robert D. Kaplan sul Washington Post come un «post letterato», un uomo «dell’età digitale, dove nulla è verificato, non esiste contesto e proliferano le bugie», ha anche parlato di politica estera, argomento nel quale non sembra granché preparato, anche perché è ipotizzabile che il nuovo presidente si dedicherà soprattutto alle questioni interne («Le mie priorità – ha specificato – sono la sanità, i posti di lavoro, il controllo delle frontiere e la riforma delle tasse») lasciando ad altri il ruolo di ridefinire una politica globale americana.

La bussola sarà il concetto di «America first», anche a costo di sacrificare rapporti internazionali. Il problema è eventuale chi potrebbe andare a coprire eventuali buchi lasciati dagli Usa. Nelle interviste si è espresso per lo più sulla Siria, lasciando intendere l’avvio di una nuova stagione di rapporti con la Russia, attraverso un asse comune con Assad per combattere l’Isis, abbandonando il sostegno ai ribelli moderati anti regime.

IL NODO SIRIANO Trump ha detto – smentendo anni di finanziamento di Washington – di non sapere bene neanche chi siano i fantomatici «ribelli»: «La Russia è allineata con la Siria, e adesso c’è l’Iran, che sta diventando potente. A causa nostra si è allineato sulla Siria…Ora stiamo appoggiando i ribelli contro la Siria, e non abbiamo idea di chi sia questa gente». Dopo aver riferito di non aver ancora sentito il presidente cinese Xi Jinping, al contrario di tanti altri leader mondiali (Trump ha detto di aver ricevuto una «bellissima lettera» da Putin), non ha espresso valutazioni sul nodo del Pacifico, anche se è poco credibile un disimpegno in un’area che pesa – e tanto – nella bilancia commerciale del paese.

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