« L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro. La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione. » (Articolo 1 della Costituzione italiana)

REFERENDUM. VINCE IL NO. Il POPOLO si riappropria delle proprie prerogative costituzionali!
E il POPOLO SARDO ESPRIME UN NO STRABILIANTE. E’ bene che Pigliaru ne prenda atto e si dimetta così come ha fatto Renzi. Costruiamo insieme l’alternativa. Ci sono le condizioni per farlo!
chiederò
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sedia di VannitolaLa grande vittoria del NO al referendum respinge un progetto osceno di stravolgimento della Costituzione. Gli elettori hanno detto in modo chiaro e inequivocabile di non essere d’accordo. Non è poco, è moltissimo. Ciò detto, però, direi che è necessario essere molto cauti nel delineare nuovi scenari. La prudenza è d’obbligo. Intanto non è scontata l’uscita di Renzi dalla scena politica. Al di la delle Sue dichiarazioni “a caldo”, l’unica certezza è che oggi pomeriggio il Presidente del Consiglio presenterà le dimissioni al Capo dello Stato. Un altro dato di fatto, condiviso da tutti, è la indispensabilità di riscrivere le leggi elettorali. Richiedere le elezioni subito è desiderio di molti ma è evidente che il “subito” significa non prima di un anno. A troppe forze politiche non conviene misurarsi col confronto elettorale in questa fase. Sarebbe quindi folle ragionare come se avessimo già superato il guado del fiume. Non lo abbiamo ancora fatto. Al massimo possiamo affermare di avere appena cominciato e non sappiamo a che cosa andremo incontro nell’immediato futuro. Domani, passata l’euforia, avremo maggiori elementi di analisi del voto e degli scenari possibili.
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Pigliaru, il tuo tradimento è stato scoperto e sconfitto, ora, dammi retta!, vai a casa!
democraziaoggiAndrea Pubusa su Democraziaoggi

Caro Pigliaru,

tanto palese è stato il tradimento del tuo ruolo e dello Statuto speciale, tanto manifesta è stata la tua genuflessione a Renzi, tanto chiaro e netto è stato il ripudio dei sardi della tua politica e della tua persona. In realtà viene confermato un dato ben noto, e cioé che tu hai il 60% dei consiglieri regionali col 19% del voto dei sardi. Questo spiega anche perché in Sardegna la percentuale dei NO è ben più alta di quella già alta del Paese. E’ la più alta d’Italia. Ora devi trarre soltanto una conclusione: andare a casa. Non so come puoi tu, con Demuro e gli altri, presentarvi in pubblico, guardare in faccia la gente che così fortemente vi ha detto NO e vi avversa.
Caro Francesco, devo confessarti che nel girare nei piccoli centri della Sardegna, la tua persona, i tuoi gesti, le tue comparse con Renzi hanno reso più facile il mio discorso, le ragioni del NO non dovevano neppure essere illustrate tanto eraano chiare nelle espressioni e nei visi della gente. Ma al tempo stesso, ti assicuro che mi sono trovato in imbarazzo nel sentire i giudizi sul tuo conto e, in cuor mio ho provato, perfino dispiacere, nel vedere così vilipesa la cattedra, che per me rimane sempre un luogo di assoluto prestigio e di verità. Così come ho amaramente sentito costituzionalisti del nostro Ateneo, Demuro e Ciarlo, dire tali e tante corbellerie, per compiacere al capo, da rendersi ridicoli perfino agli occhi dei nostri studenti, come quando Demuro ha detto che l’art. 17 dello statuto sardo, quello dell’incompatibilità consigliere regionale/senatore) è superato in forza di un non meglio precisato parere del governo! Una idiozia allo stato puro, che in quasi mezzo secolo di docenza non ho mai sentito dire neppure agli studenti più sprovveduti.
Dissi fin da subito che era buon segno avere come contraddittori Demuro e Ciarlo, perché già nella battaglia contro la Statutaria di Renzi loro avevano detto cose così incredibili da essersi sconfitti da sé. Era facile prevedere che avrebbero fatto il bis!
Caro Francesco, tu, come ti ho già detto, hai tradito i sardi e attentato allo Statuto, ora devi decidere come uscire il meno ingominiosamente possibile di scena. Io, amichevolmente, ti consiglio le dimissioni. Tieni conto che sei circondato da persone che cambiano casacca al cambiare del vento, già da subito si smarcheranno da un cavallo così perdente. Dammi retta, prima di restare solo anche in quell’accozzaglia di consorterie che è oggi il PD, fatti da parte. In fondo puoi tornartene in facoltà e riprendere l’insegnamento. Certo all’inizio, dopo le cose indecorose che hai fatto come presidente, sarà difficile presentarti agli studenti, ma in poco tempo arriverranno le nuove leve che non sanno e puoi rifarti una verginità. L’alternativa è penosa e non te la consiglio: se rimani, sarai abbandonato dai “tuoi” e i sardi verranno di qui a non molto a cacciarti (metaforicamente) coi forconi o, comunque, sarai certamente infilzato dal voto.
A tutti i sardi che hanno votato NO, che hanno mostrato schiena dritta, dico di avere coraggio, di stare in campo, di rimettersi in movimento. Faremo i nostri incontri per analizzare la situazione e poi ripartiremo tutti insieme seguendo la via maestra, la nostra preziosa Costituzione nata dalla Resistenza, che i sardi e gli italiani hanno così valorosamente difeso.

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L’illusoria capacità ridistributrice della “mano invisibile” di Adam Smith
Incontro del 10 dic 2016
———————————–FOGLIAdi Gianfranco Sabattini, su il manifesto sardo.

Jioseph Stiglitz, economista premio Nobel e saggista di fama internazionale, nel piccolo saggio “Un’economia per l’uomo”, scritto in occasione di un suo intervento alla XVIII sessione dell’Accademia Pontificia per le Scienze Sociali, con all’ordine del giorno la discussione sul tema della “Pacem in Terris“, l’eciclica promulgata l’11 aprile del 1963 da Papa Givanni XXIII, tratta di “alcune importanti questioni etiche nel contesto del comportamento economico”; tali questioni sono sollevate, a parere di Stiglitz, dalla necessità “di creare armonia fra uomo e uomo fra natura e uomo”, considerando l’economia come un mezzo orientato a soddisfare le esigenze esistenziali dell’uomo e non un fine in sé; nel convincimento, cioè, che l’uomo non esista per “servire l’economia”, ma al contrario sia l’economia al servizio della crescita e dello sviluppo dell’uomo.

L’occasione della sua partecipazione alla XVIII sessione dell’Accademia Pontificia ha offerto il destro a Stiglitz per sottolineare come, nel corso del dibattito svoltosi durante la diffusione degli effetti della crisi scoppiata nel 2007/2008, non siano stati considerati con sufficiente attenzione due aspetti di natura etica, riguardanti, da un lato, la condotta moralmente deprecabile di molti operatori finanziari, in particolare dalle banche, e dall’altro lato, le rimunerazioni che molti operatori finanziari hanno ricevuto, nonostante la crisi; rimunerazioni non proporzionali al “contributo complessivo” reso al sistema sociale all’interno del quale essi operavano.

Riguardo alle banche, Stiglitz afferma che sono ormai molto ampie le prove del fatto che esse si sono approfittate dei gruppi sociali meno informati e meno accorti, al solo scopo di massimizzare i propri profitti; a rendere più severo il giudizio sul loro comportamento sta anche la circostanza che, quando sono loro “esplosi in mano gli ordigni che loro stesse avevano creato, il governo è intervenuto a salvarle, lasciando invece coloro che erano stati vittime in balia di se stessi”. In conseguenza di ciò, le banche, che avrebbero dovuto avere l’accortezza di gestire i rischi attraverso l’offerta di “prodotti finanziari adeguati”, in sottoscrizione ai risparmiatori, hanno invece “tradito la fiducia” loro accordata.

Per quanto concerne le superrimunerazioni dei manager delle istituzioni finanziarie, Stiglitz osserva che un sistema sociale all’interno del quale alcune categorie di soggetti ricevono una rimunerazione correlata, non tanto al “contributo effettivo apportato alla collettività”, quanto piuttosto alla capacità di catturare guadagni, attraverso la disinformazione che loro stessi concorrono a diffondere tra il pubblico, non è un sistema sociale “giusto”.

Ovviamente, a parere di Stiglitz, non è sufficiente fare riferimento alla sola morale pubblica, per assicurare condizioni di giustizia nei rapporti tra gli uomini, sebbene le politiche pubbliche debbano contribuire a sensibilizzare tutti i componenti del sistema sociale delle possibili conseguenze negative che possono derivare dalle scelte individuali. Alle regole morali deve essere associata l’introduzione di ”sistemi di regolamentazione”, imponendo l’obbligo, per chi con i propri comportamenti danneggia gli altri, a pagarne le conseguenze. L’obiettivo dei sistemi di regolamentazione dovrebbe essere quello di evitare, ad esempio, che le scelte individuali comportino l’”imposizione di esternalità negative”, cioè di effetti negativi causati dai danni ambientali, sugli altri. Sennonché, sussiste la prevalente tendenza, da parte di estese “aree imprenditoriali e finanziarie”, ad opporsi ai tentativi di armonizzare, attraverso le regolamentazioni, i comportamenti dei diversi componenti del sistema sociale; oppure, esiste la tendenza che le regolamentazioni siano ignorate persino nelle pratiche di governo, nonostante sia l’attività di governo ad introdurre le regole.

Ciò accade perché i governi sono sempre protesi a massimizzare il Prodotto Interno Lordo (PIL), piuttosto che il “benessere reale della società”; sennonché, notoriamente, il PIL non è un valido indicatore del benessere sociale: il PIL pro capite può aumentare, ma a seguito di tale aumento i componenti del sistema possono essere messi nella condizione di dover affrontare maggiori disagi, tali da comportare una spesa pro capite ben maggiore dell’aumento originario del PIL; inoltre, il prodotto lordo pro capite può aumentare, ma possono anche parallelamente aumentare le conseguenze negative delle maggiori disuguaglianze distributive; oppure può accadere che l’aumento del PIL induca le generazioni attuali a condurre uno standard di vita che varrà a sacrificare le stesse opportunità alle generazioni future.

La possibilità che i sistemi di regolamentazione non consentano di armonizzare i comportamenti dei diversi membri del sistema sociale è aumentata con la crescita del livelli di integrazione a livello globale delle economie nazionali. Secondo Stiglitz, la globalizzazione di solito viene giustificata sostenendo che essa è valsa ad aumentare la produttività economica a vantaggio di tutti i Paesi, sia di quelli economicamente avanzati, che di quelli arretrati. In alcuni Paesi ciò è sicuramente avvenuto, in altri invece le conseguenze sono state negative, al punto che molti individui all’interno di questi ultimi sono venuti a trovarsi in condizioni ben peggiori di quanto non lo fossero alcuni decenni prima. Inoltre, chi sostiene la validità della globalizzazione afferma che essa potrebbe essere fonte di maggiori effetti positivi sul piano della produttività economica, se il mercato fosse meno condizionato dalle regolamentazioni.

Al riguardo – Stiglitz afferma – che nessuna ”idea ha avuto più influenza nella teoria economia della nozione della mano invisibile di Adam Smith, cioè dell’assunto che l’inseguimento del proprio interesse (profitto) porti, come se guidato da una mano invisibile, al benessere della società”. Ma l’assunto smithiano è stato oggetto di analisi di approfondimento negli ultimi cinquant’anni; tali analisi hanno evidenziato che “fintanto che l’informazione è imperfetta e asimmetrica, fin tanto che i mercati sono incompleti (per esempio, non esistono mercati assicurativi che coprano tutte le eventualità), fin tanto che i mercati non sono completamente competitivi, la ricerca del proprio interesse non porta all’efficienza economica”; poiché l’informazione è sempre imperfetta e asimmetrica e i mercati sono sempre incompleti e non sempre competitivi, la ricerca esclusiva della massima soddisfazione dell’interesse individuale non può mai portare all’efficienza economica e alla massimizzazione del benessere collettivo.

Se il perseguimento dell’interesse personale non può portare alla massimizzazione del benessere generale, occorre che i comportamenti dei singoli componenti il sistema sociale non prudano esiti indesiderati per altri. L’etica pubblica, pertanto, afferma Stiglitz, riveste un ruolo importante, anche se un “giusto” funzionamento del sistema sociale non può essere basato esclusivamente sulle scelte etiche dei singoli soggetti. E’, questo, il motivo per cui si impone la necessità che i governi agiscano per porre rimedio alle “falle dei mercati”; poiché anche i governi possono essere vittime di un’imperfetta informazione, ogni sistema sociale bene ordinato deve prevedere anche la possibilità di interventi straordinari per fare fronte ai limiti dell’azione regolatrice del proprio governo.

L’azione governativa è di solito imperniata su un mix di azioni, che in parte assume la forma di spesa governativa e, in parte, quella di regolamentazione governativa, soprattutto se l’obiettivo da perseguire consiste nell’assicurare al sistema sociale una distribuzione del prodotto sociale desiderabile, cioè una distribuzione reddituale equa e giusta; ovvero, una distribuzione volta a contenere e a rimuovere le disuguaglianze, o quantomeno a conservarle entro i limiti in cui, secondo la prospettiva di analisi rawlsiana, esse sono vantaggiose per le fasce sociali economicamente più deboli, oppure quando costituiscono la condizione necessaria ad assicurare un miglioramento economico per tutti.

Esiste, a parere di Stiglitz, anche una ragione più generale a favore delle politiche pubbliche volte a contenere e a rimuovere le disuguaglianze distributive; queste sono all’origine di inefficienze che determinano molti “fallimenti di mercato”, cioè situazioni in cui le “ricompense dei singoli e i contributi al benessere della collettività non sono allineati; gli esempi più significativi sono quelli che originano dal ricorrere delle esternalità, che si verificano, come si è visto, in tutti i casi in cui il comportamenti dei singoli causa un danno ambientale che, pur traducendosi in un danno per altri, colui che ha provocato il danno non viene chiamato a sostenere il costo. La regolamentazione delle esternalità, perciò, costituisce un presupposto perché i mercati funzionino correttamente e consentano la realizzazione dell’”armonia tra uomo e uomo e fra uomo e natura”.

L’accettazione dell’ideologia del libero mercato, osserva Stiglitz, non deve assolvere dalla responsabilità che siano attuate le politiche pubbliche più appropriate per regolamentare le esternalità; ciò è reso necessario perché i mercati, fallendo, consentono la formazione di prezzi che non riflettono il costo che ciascun operatore, con le proprie decisioni, trasferisce sugli altri; ciò rileva soprattutto con riferimento all’ambiente, in quanto molte risorse naturali non hanno un prezzo o, se l’hanno, spesso manca d’essere adeguato. Solo se i componenti dei moderni sistemi economici riusciranno a liberarsi dal “credo” sul fondamentalismo del mercato – conclude Stiglitz – sarà possibile realizzare “una migliore armonia fra uomo e uomo e fra uomo e natura”. A tal fine, si impone certo la necessità di “una regolamentazione forte ed efficace, ma è ancora più importante inculcare una bussola morale più forte e delle etiche aziendali conseguenti”.

L’obiettivo dell’armonia nelle relazioni intersoggettive può diventare un obiettivo realmente conseguibile nelle società moderne, non solo nella difesa dei diritti civili e politici, ma anche di quelli economici, così come sancisce la Dichiarazione Universale dei diritti Umani, redatta dopo la seconda guerra mondiale; ciò potrà accadere soltanto se le società civili nei Paesi democratici riusciranno a svolgere un ruolo più efficace di quanto non sia stato sinora, nella difesa del benessere collettivo, inteso come bene pubblico. A tal fine, sarà necessaria una risposta collettiva; perché questa risulti efficace, occorre però che ogni soggetto sia portatore di una responsabilità morale a non sacrificare con le proprie scelte il livello di benessere degli altri e nel contempo sia anche portatore della responsabilità morale di aiutare gli altri a godere dello stesso livello di benessere del quale egli dispone all’interno dei sistema sociale cui appartiene.

Ovviamente, il ruolo delle società civili nella difesa del benessere sociale, inteso come bene pubblico, non può essere, come sembra suggerire Stiglitz, solo l’esito dei possibili sistemi di regolamentazione del mercato e degli obblighi morali dei quali potranno essere portatori i singoli componenti del sistema sociale; ai regolamenti delle istituzioni economiche e alle regole morali dei singoli individui occorrerà aggiungere anche “mutamenti” di molti aspetti dell’ordine economico dei sistemi sociali; aspetti che sono stati sinora responsabili dell’insufficiente ruolo attivo delle società civili nella difesa del benessere collettivo.
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Per correlazione: http://www.aladinpensiero.it/?p=58698
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Non possiamo più confidare nelle forze cieche e nella mano invisibile del mercato. La crescita in equità esige qualcosa di più della crescita economica, benché la presupponga, richiede decisioni, programmi, meccanismi e processi specificamente orientati a una migliore distribuzione delle entrate, alla creazione di opportunità di lavoro, a una promozione integrale dei poveri che superi il mero assistenzialismo. Lungi da me il proporre un populismo irresponsabile, ma l’economia non può più ricorrere a rimedi che sono un nuovo veleno, come quando si pretende di aumentare la redditività riducendo il mercato del lavoro e creando in tal modo nuovi esclusi.

papa-francescoEconomia e distribuzione delle entrate*
di Francesco, papa

202. La necessità di risolvere le cause strutturali della povertà non può attendere, non solo per una esigenza pragmatica di ottenere risultati e di ordinare la società, ma per guarirla da una malattia che la rende fragile e indegna e che potrà solo portarla a nuove crisi. I piani assistenziali, che fanno fronte ad alcune urgenze, si dovrebbero considerare solo come risposte provvisorie. Finché non si risolveranno radicalmente i problemi dei poveri, rinunciando all’autonomia assoluta dei mercati e della speculazione finanziaria e aggredendo le cause strutturali della inequità,[173] non si risolveranno i problemi del mondo e in definitiva nessun problema. L’inequità è la radice dei mali sociali.

203. La dignità di ogni persona umana e il bene comune sono questioni che dovrebbero strutturare tutta la politica economica, ma a volte sembrano appendici aggiunte dall’esterno per completare un discorso politico senza prospettive né programmi di vero sviluppo integrale. Quante parole sono diventate scomode per questo sistema! Dà fastidio che si parli di etica, dà fastidio che si parli di solidarietà mondiale, dà fastidio che si parli di distribuzione dei beni, dà fastidio che si parli di difendere i posti di lavoro, dà fastidio che si parli della dignità dei deboli, dà fastidio che si parli di un Dio che esige un impegno per la giustizia. Altre volte accade che queste parole diventino oggetto di una manipolazione opportunista che le disonora. La comoda indifferenza di fronte a queste questioni svuota la nostra vita e le nostre parole di ogni significato. La vocazione di un imprenditore è un nobile lavoro, sempre che si lasci interrogare da un significato più ampio della vita; questo gli permette di servire veramente il bene comune, con il suo sforzo di moltiplicare e rendere più accessibili per tutti i beni di questo mondo.

204. Non possiamo più confidare nelle forze cieche e nella mano invisibile del mercato. La crescita in equità esige qualcosa di più della crescita economica, benché la presupponga, richiede decisioni, programmi, meccanismi e processi specificamente orientati a una migliore distribuzione delle entrate, alla creazione di opportunità di lavoro, a una promozione integrale dei poveri che superi il mero assistenzialismo. Lungi da me il proporre un populismo irresponsabile, ma l’economia non può più ricorrere a rimedi che sono un nuovo veleno, come quando si pretende di aumentare la redditività riducendo il mercato del lavoro e creando in tal modo nuovi esclusi.

205. Chiedo a Dio che cresca il numero di politici capaci di entrare in un autentico dialogo che si orienti efficacemente a sanare le radici profonde e non l’apparenza dei mali del nostro mondo! La politica, tanto denigrata, è una vocazione altissima, è una delle forme più preziose della carità, perché cerca il bene comune.[174] Dobbiamo convincerci che la carità « è il principio non solo delle micro-relazioni: rapporti amicali, familiari, di piccolo gruppo, ma anche delle macro-relazioni: rapporti sociali, economici, politici ».[175] Prego il Signore che ci regali più politici che abbiano davvero a cuore la società, il popolo, la vita dei poveri! È indispensabile che i governanti e il potere finanziario alzino lo sguardo e amplino le loro prospettive, che facciano in modo che ci sia un lavoro degno, istruzione e assistenza sanitaria per tutti i cittadini. E perché non ricorrere a Dio affinché ispiri i loro piani? Sono convinto che a partire da un’apertura alla trascendenza potrebbe formarsi una nuova mentalità politica ed economica che aiuterebbe a superare la dicotomia assoluta tra l’economia e il bene comune sociale.

206. L’economia, come indica la stessa parola, dovrebbe essere l’arte di raggiungere un’adeguata amministrazione della casa comune, che è il mondo intero. Ogni azione economica di una certa portata, messa in atto in una parte del pianeta, si ripercuote sul tutto; perciò nessun governo può agire al di fuori di una comune responsabilità. Di fatto, diventa sempre più difficile individuare soluzioni a livello locale per le enormi contraddizioni globali, per cui la politica locale si riempie di problemi da risolvere. Se realmente vogliamo raggiungere una sana economia mondiale, c’è bisogno in questa fase storica di un modo più efficiente di interazione che, fatta salva la sovranità delle nazioni, assicuri il benessere economico di tutti i Paesi e non solo di pochi.

207. Qualsiasi comunità della Chiesa, nella misura in cui pretenda di stare tranquilla senza occuparsi creativamente e cooperare con efficacia affinché i poveri vivano con dignità e per l’inclusione di tutti, correrà anche il rischio della dissoluzione, benché parli di temi sociali o critichi i governi. Facilmente finirà per essere sommersa dalla mondanità spirituale, dissimulata con pratiche religiose, con riunioni infeconde o con discorsi vuoti.

208. Se qualcuno si sente offeso dalle mie parole, gli dico che le esprimo con affetto e con la migliore delle intenzioni, lontano da qualunque interesse personale o ideologia politica. La mia parola non è quella di un nemico né di un oppositore. Mi interessa unicamente fare in modo che quelli che sono schiavi di una mentalità individualista, indifferente ed egoista, possano liberarsi da quelle indegne catene e raggiungano uno stile di vita e di pensiero più umano, più nobile, più fecondo, che dia dignità al loro passaggio su questa terra.

*Tratto da Evangelii Gaudium: Esortazione Apostolica sull’annuncio del Vangelo nel mondo attuale (24 novembre 2013)
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logo-vaticanDal sito web Sala stampa santa sede
ESORTAZIONE APOSTOLICA “EVANGELII GAUDIUM” DEL SANTO PADRE FRANCESCO AI VESCOVI, AI PRESBITERI E AI DIACONI, ALLE PERSONE CONSACRATE E AI FEDELI LAICI SULL’ANNUNCIO DEL VANGELO NEL MONDO ATTUALE.

INDICE – segue –

La Gioia del Vangelo [1]

I. Gioia che si rinnova e si comunica [2-8]

II. La dolce e confortante gioia di evangelizzare [9-13]

Un’eterna novità [11-13]

III. La nuova evangelizzazione per la trasmissione della fede [14-18]

Proposta e limiti di questa Esortazione [16-18]

CAPITOLO PRIMO
LA TRASFORMAZIONE MISSIONARIA DELLA CHIESA

I. Una Chiesa in uscita [20-24]

Prendere l’iniziativa, coinvolgersi, accompagnare, fruttificare e festeggiare [24]

II. Pastorale in conversione [25-33]

Un improrogabile rinnovamento ecclesiale [27-33]

III. Dal cuore del Vangelo [34-39]

IV. La missione che si incarna nei limiti umani [40-45]

V. Una madre dal cuore aperto [46-49]

CAPITOLO SECONDO
NELLA CRISI DELL’IMPEGNO COMUNITARIO

I. Alcune sfide del mondo attuale [52-75]

No a un’economia dell’esclusione [53-54]
No alla nuova idolatria del denaro [55-56]
No a un denaro che governa invece di servire [57-58]
No all’inequità che genera violenza [59-60]
Alcune sfide culturali [61-67]
Sfide dell’inculturazione della fede [68-70]
Sfide delle culture urbane [71-75]

II. Tentazioni degli operatori pastorali [76-109]

Sì alla sfida di una spiritualità missionaria [78-80]
No all’accidia egoista [81-83]
No al pessimismo sterile [84-86]
Sì alle relazioni nuove generate da Gesù Cristo [87-92]
No alla mondanità spirituale [93-97]
No alla guerra tra di noi [98-101]
Altre sfide ecclesiali [102-109]

CAPITOLO TERZO
L’ANNUNCIO DEL VANGELO

I. Tutto il Popolo di Dio annuncia il Vangelo [111-134]

Un popolo per tutti [112-114]
Un popolo dai molti volti [115-118]
Tutti siamo discepoli missionari [119-121]
La forza evangelizzatrice della pietà popolare [122-126]
Da persona a persona [127-129]
Carismi al servizio della comunione evangelizzatrice [130-131]
Cultura, pensiero ed educazione [132-134]

II. L’omelia [135-144]

Il contesto liturgico [137-138]
La conversazione di una madre [139-141]
Parole che fanno ardere i cuori [142-144]

III. La preparazione della predicazione [145-159]

Il culto della verità [146-148]
La personalizzazione della Parola [149-151]
La lettura spirituale [152-153]
In ascolto del popolo [154-155]
Strumenti pedagogici [156-159]

IV. Un’evangelizzazione per l’approfondimento del kerygma [160-175]

Una catechesi kerygmatica e mistagogica [163-168]
L’accompagnamento personale dei processi di crescita [169-173]
Circa la Parola di Dio [174-175]

CAPITOLO QUARTO
LA DIMENSIONE SOCIALE DELL’EVANGELIZZAZIONE

I. Le ripercussioni comunitarie e sociali del kerygma [177-185]

Confessione della fede e impegno sociale [178-179]
Il Regno che ci chiama [180-181]
L’insegnamento della Chiesa sulle questioni sociali [182-185]

II. L’inclusione sociale dei poveri [186-216]

Uniti a Dio ascoltiamo un grido [187-192]
Fedeltà al Vangelo per non correre invano [193-196]
Il posto privilegiato dei poveri nel Popolo di Dio [197-201]
Economia e distribuzione delle entrate [202-208]
Avere cura della fragilità [209-216]

III. Il bene comune e la pace sociale [217-237]

Il tempo è superiore allo spazio [222-225]
L’unità prevale sul conflitto [226-230]
La realtà è più importante dell’idea [231-233]
Il tutto è superiore alla parte [234-237]

IV. Il dialogo sociale come contributo per la pace [238-258]

Il dialogo tra la fede, la ragione e le scienze [242-243]
Il dialogo ecumenico [244-246]
Le relazioni con l’Ebraismo [247-249]
Il dialogo interreligioso [250-254]
Il dialogo sociale in un contesto di libertà religiosa [255-258]

CAPITOLO QUINTO
EVANGELIZZATORI CON SPIRITO

I. Motivazioni per un rinnovato impulso missionario [262-283]

L’incontro personale con l’amore di Gesù che ci salva [264-267]
Il piacere spirituale di essere popolo [268-274]
L’azione misteriosa del Risorto e del suo Spirito[275-280]
La forza missionaria dell’intercessione [281-283]

II. Maria, la Madre dell’evangelizzazione [284-288]

Il dono di Gesù al suo popolo [285-286]
La Stella della nuova evangelizzazione[287-288]

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