Oggi martedì 13 dicembre 2016

Punta de billete per mercoledì 14 dicembre La Scuola Popolare di Is Mirrionis a La Collina.
Scuola Popolare a La Collina 14 dic 16
- La pagina fb dell’evento.
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democraziaoggiMannaggia! L’Assemblea costituente sarda vorrei presiederla… ma non posso!
Andrea Pubusa su Democraziaoggi.
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Renzi, briglie strette su governo e Pd
Norma Rangeri su il manifesto
EDIZIONE DEL 13.12.2016

Renzi, briglie strette su governo e Pd
Norma Rangeri su il manifesto
EDIZIONE DEL 13.12.2016PUBBLICATO
12.12.2016, 23:59

Si può anche avvolgere la dura realtà con i versi del poeta, come ha fatto Renzi, leggendo alla direzione del Pd la poesia di Fernando Sabino che invita a rimettersi in cammino dopo una sconfitta.

Si può anche raccontare su facebook che sotto gli abiti dell’uomo di potere batte un cuore di padre che fa ritorno a casa e rimbocca le coperte ai figli come nei film. Ma non bastano a camuffare il passo indietro quando poi i fatti, assai poco poetici e molto prosaici, dicono che Renzi ne ha fatti due in avanti.

Non c’è niente di poetico nell’operazione, a metà tra sottobosco e fanteria, di questo cambio di cavallo a palazzo Chigi, avvenuto a tambur battente una settimana dopo la batosta del No al referendum costituzionale. Come se niente fosse successo.

Abbiamo capito che Renzi lascia momentaneamente il governo, giusto il tempo di fare i conti nel Pd con un congresso che farà ballare il Ministero Gentiloni, e indire nuove primarie-trampolino verso un bis a palazzo Chigi.

Alla sinistra interna con Roberto Speranza che chiedeva se chi ha votato No ha ancora cittadinanza nel partito, Renzi ha risposto ricordandogli come il 40 per cento la sinistra non lo ha mai visto «nemmeno col binocolo».

Un modo bullesco per mettere le opposizioni davanti alla storia di un declino ventennale e all’attualità di nessun leader alle viste che possa riunirle e condurle a un competitivo scontro congressuale.

In questo clima da resa dei conti, Paolo Gentiloni, il flemmatico attraversatore di molte stagioni e famiglie politiche della sinistra, come lampo di fulmine ha battuto tutti i record per la velocità di riciclaggio del pacchetto ministeriale.

Tuttavia e a onor del vero, bisogna dire che non è tutto merito suo: se la composizione del governo non è una perfetta fotocopia di quello lasciato in eredità da Renzi è solo perché la vena creativa del futuro gabinetto è finita nelle mani del nuovo, improbabile capo delle feluche, Angelino Alfano, trasmigrato dagli interni agli esteri. Più che una giovane promessa una collaudata minaccia per le gaffes e gli incidenti diplomatici verso cui è irresistibilmente attratto.

Il controllo del sottogoverno resta invece affidato ai due pretoriani del renzismo: Lotti e Boschi.

I due fedelissimi comprimari del disastro referendario restano a guardia del nuovo esecutivo, lui guadagna il ministero dello sport, lei un posto di sottosegretario. E meno male che per rispetto di quella «dignità» rivendicata a se stesso da Gentiloni nel discorso di rito dell’accettazione dell’incarico, la delega per i servizi segreti viene tenuta lontana dal “giglio magico” e assunta con l’interim dal presidente del consiglio.

Poco commendevole è invece l’attaccamento al governo dell’altra grande sconfitta del 4 dicembre, l’ex ministra Boschi ora passata nel ruolo chiave di unica sottosegretaria alla presidenza del consiglio, postazione decisiva per la girandola delle nomine pubbliche. Né gli scandali bancari, né le sconfitte elettorali le sembrano ragioni sufficienti a mollare la presa.

Ce n’è a sufficienza perché il governo Gentiloni calzi come un guanto alla mano che lo guida. La mano del segretario che ha azionato il timer sotto la scrivania del presidente del consiglio, innescando il conto alla rovescia verso la data di scadenza delle elezioni anticipate.

Seppure non salutato dal fatidico “Enrico stai sereno”, tuttavia quel “buon lavoro” inviato da Renzi a Gentiloni un po’ ne fa le veci. Nel suo intervento a chiusura dell’aspro confronto politico nella direzione di ieri, Renzi ha precisato che dopo le danze congressuali, in votazione all’assemblea del partito di domenica, all’ordine del giorno «dei prossimi mesi sappiamo che ci saranno le elezioni». Dunque un governo con qualche mese appena di vita. E del resto anche il presidente del Pd, Orfini, lo ha voluto seccamente ricordare a chi dovesse immaginare, dentro e fuori il Pd, scenari diversi: «La legislatura è finita».

Eppure, nonostante il controllo renziano su governo e partito, il terremoto del 4 dicembre ha aperto sotto i piedi del Pd profonde faglie sociali, più forti della forsennata propaganda che tentava di esorcizzarle. Fratture di classe di cui la sinistra, non solo in Italia, sembra non riconoscere le traiettorie, né trovare la forza per intercettarne il linguaggio e abbozzare qualche risposta credibile.

Così, alla fine, il M5Stelle, con il trucco di semplificare questioni complesse (sfiorando la Lega di Salvini su immigrazione e Unione europea), agitando la piazza e usando la rete, ottiene ascolto e voti.
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Mannaggia! L’Assemblea costituente sarda vorrei presiederla… ma non posso!
13 Dicembre 2016
Andrea Pubusa su Democraziaoggi.

Antony Muroni nel suo blog mi ha indicato come possibile presidente dell’Assemblea costituente sarda. Io, ovviamente lo ringrazio per l’attestato di stima e poi, in fondo, confesso sentirmi un Umberto Terracini in salsa sarda mi inorgoglisce. Tuttavia, osservo che non si può presiedere un organo che non esiste. Ma, direte, non esiste, ma esisterà, come Antony ed altri auspicano. Sarà, tuttavia ho la vaga sensazione che il mio scranno rimarrà vuoto, anzi neppure verrà costruito. E ciò anzitutto per questioni formali ineludibili: la revisione dello Statuto ha una sua procedura disciplinata dallo Statuto stesso all’art. 54. Non esiste alternativa, salvo che non si voglia fare un’azione propagandistica o di mobilitazione. Qui, però, vedo un altro ostacolo e non esterno ai sovranisti o indipendentisti che dir si voglia. Questa costellazione, semplificando, può dividersi in due grandi famiglie. Anzitutto, quella di chi si è alleato col PD ed ha fruito della legge elettorale truffa regionale per mandare qualche esponente in Consiglio. Non me ne vogliano questi amici, ma chi va col truffatore e si spartisce il bottino dell’imbroglio non ha i titoli morali prima che politici non dico per toccare lo Statuto, ma neanche per sfiorarlo col pensiero. Direte: quanta rigidezza! La politica è l’arte del possibile. D’accordo, ma non l’arte della dell’opportunismo di bassa lega. Non è questione di rigidità, è che – come la storia insegna – riescono a fare cose grandi e durature per i loro popoli quelle forze che sono mosse da grandi valori e che li inverano con azioni coerenti, dotate per questo solo di un alto valore morale. Chi partecipa ad una rapina ai danni degli elettori (anche ai miei che non ho votato Pigliaru o Cappellacci) e poi gode pro quota del maltolto non appartiene proprio a questa categoria. Quindi, mi perdonino per la sincerità, tutti i sovranisti alleati col PD alle ultime elezioni regionali, sia che stiano in giunta sia che ne escano precipitosamente adesso, non hanno alcun titolo per parlare di Statuto. Dicano il vero, una volta tanto! Visto che il carro su cui son saliti rischia d’essere perdente, si smarcano o ne scendono alla svelta e cercano altrove collocazione elettorale.
Ci sono poi i sovranisti esterni alla Giunta regionale. Beh, ammetto che costoro sono più credibili. Ma quale è il livello d’intesa al loro interno? Perché se sono divisi e frazionati, l’idea addirittura di toccare lo Statuto diventa pio desiderio o, se preferite, pura follia.
Devo confessare che, al momento, quella sovranista più che una costellazione mi sembra, avrei detto “un’accozzaglia”, ma la parola porta sfiga a chi la pronuncia e quindi dico una simpatica armata brancaleone. Armata sconclusionata e inconsapevole perché è sotto gli occhi di tutti, almeno di chi da qualche decennio va per congressi politici o giuspubblicisti vhe in Italia c’è avversione verso la specialità regionale. In Italia si è saldato un fronte anti-Regioni speciali che va da FI al PD, passando per i partiti intermedi. Tutto il costituzionalismo nostrano, salvo qualche singolo, quello del sì e quello del no, sono accomunati dall’idea che la specialità regionale sia un reperto archelogico da riporre in una teca museale. Se qualcuno apre il procedimento di revisione noi sardi siamo fritti. Veniamo travolti da uno tsunami livellatore che cancella la nostra disciplina differenziata. Solo Pigliaru e Demuro potevano dire il contrario per servilismo o per insipienza.
Per pensare a qualcosa di diverso occorrerebbe creare in Sardegna un sommovimento ideale e sociale da scuotere, pacificamente ma fermamente, l’opinione pubblica nazionale e le dirigenze dei partiti italiani. Ma questa mobilitazione profonda, gandhianamente rivoluzionaria, non è alle viste. E certo non si può pensare che concorra a questo esito il mio amico Paolo che, anziché ponti e strade verso l’indipendenza, blinda il boia dell’autonomia, quel PD renzian-pigliaruano, truffaldino e accentratore. Come se Lenin per fare la Rivoluzione fosse diventato ministro dello zar! E così finora i Rossomori, che scappano perché la nave affonda. Gli altri, prima di ambire ad unire i sardi, dovrebbero unire se stessi. Ma il dibattito non è incoraggiante, è ancora pieno di veleni e sospetti. Ci vorrà un bel tempo, e io, ahimé!, per ragioni anagrafiche, non posso attendere. Che tristezza! Mannaggia! L’Assemblea costituente dei sardi vorrei presiderla… ma non posso!

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