Poli industriali, Eurallumina e dintorni Un piano straordinario per lavoro, a partire dalle bonifiche e dalla messa in sicurezza del territorio sardo, dedicato soprattutto alle giovani generazioni

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di Fernando Codonesu
Certo una riflessione a giochi ormai fatti sul progetto recentemente approvato dall’ultima Conferenza dei Servizi decisoria dell’otto marzo sul progetto di rilancio dello stabilimento sulcitano di Eurallumina, va fatta.
Detto in termini manzoniani, con riferimento voluto alla Regione nel suo complesso, possiamo dire che alla richiesta di autorizzazione del progetto della Rusal “la sciagurata rispose”, con tutto ciò che ne conseguì nel libro del grande lombardo e che ne consegue per la nostra martoriata regione, cioè per tutti noi.
Bene ha fatto Giacomo Meloni della CSS a rimarcare tutte le criticità del progetto presentato da Eurallumina-Rusal per il suo rilancio produttivo, un progetto basato dal punto di vista energetico sull’uso del carbone e sulla riproposizione della produzione di allumina, con lo stabilimento Alcoa chiuso da anni. Così come altrettanto bene hanno fatto associazioni e gruppi ambientalisti come Legambiente, il GrIg e numerosi altri che si sono pacatamente e motivatamente opposti all’autorizzazione del progetto.
Intanto va osservato che venuta meno la presenza di Alcoa nell’area, la ripresa della produzione di Eurallumina, a differenza del periodo di piena attività del polo industriale, vede ora l’operatività di un solo segmento della filiera, anzi di un singolo “punto produttivo” che non costituisce filiera per definizione, che sarà alimentato con materia prima proveniente via nave, così come avverrà via nave l’approvvigionamento del carbone, essendo venuta meno la produzione di carbone nella vicina miniera. Quindi una filiera inesistente e un rilancio produttivo che fa solo gli interessi temporanei della Rusal che a tempo debito (tre anni, forse cinque), dopo aver realizzato la centrale, confezionerà un “pacco” da mettere sul mercato rifilandolo a qualche altro operatore.
E allora riprenderà la trafila per richiedere ancora qualche intervento basato sull’assistenzialismo di industrie decotte e non in grado di stare sul mercato?
Una cosa è la protezione dei lavoratori in aree e periodi di crisi, altro è finanziare attraverso la collettività industrie esogene che nulla hanno a che vedere con le vocazioni territoriali della Sardegna, obsolete in quanto ferme da ben otto anni, inquinanti come ampiamente noto e non in grado di stare sul mercato.
Altro sarebbe stato creare un polo produttivo di riciclo dell’alluminio come suggerito dal GrIG che avrebbe avuto anche il merito di emissioni ridotte del 90% rispetto alla produzione di alluminio da minerale.
Il progetto, in sintesi, prevede la realizzazione di una caldaia di cogenerazione di energia elettrica e vapore, l’adeguamento della raffineria per utilizzare bauxiti tri-idrate come materia prima per la produzione dell’allumina e l’ampliamento del bacino dei fanghi rossi ancora sotto sequestro della magistratura, con investimenti di circa 170 milioni e un impatto occupazionale tra diretti e indotto di circa 500 lavoratori.
Siamo sicuri sia questa la via più efficace per la salvaguardia dell’occupazione e lo sviluppo del già martoriato Sulcis?
A giudicare dalla situazione di grave inquinamento ambientale, come sottolineato efficacemente da Legambiente, la risposta è totalmente negativa: si immette ulteriore inquinamento ambientale che si somma a quello esistente a fronte di profitti certi per un breve periodo per la multinazionale di turno e futuro molto incerto per i lavoratori di cui si vedrà a breve termine l’esito.

Come in tanti, troppi altri casi, è il coraggio delle scelte che manca e l’epilogo di questa vicenda ne costituisce l’ulteriore riprova.
E’ stato appurato fin dai primi anni ’90 che l’attività industriale attraverso le emissioni gassose e polverulente, gli scarichi idrici e le discariche di rifiuti ha rappresentato la principale sorgente di rischio per la popolazione residente e per la qualità dell’ambiente, al punto di aver definito un piano di disinquinamento e incluso tutta l’area nella nella perimetrazione del SIN (Sito di interesse nazionale per le bonifiche) ‘Sulcis-Iglesiente-Guspinese’ nell’anno 2003 .
E veniamo ad alcuni dati attuali sull’inquinamento ambientale che dovrebbero essere al centro dell’agenda della Regione, così come del sistema sanitario e di tutta la popolazione non solo del Sulcis, ma dell’intera Sardegna.
L’inquinamento è così diffuso che si fa fatica ad immaginare quante risorse finanziarie dovranno essere trovate per bonificare e ripristinare le zone individuate.
Trascuriamo per il momento i dati dell’inquinamento del suolo della zona industriale di Portovesme, su cui spesso sono intervenute le ordinanze di divieto del consumi di ortaggi, latte, formaggi e altro da parte del sindaco di Portoscuso, e concentriamo l’attenzione sull’inquinamento della falda acquifera. A tale riguardo, in data 27 gennaio 2013 sul quotidiano l’Unione Sarda è stato pubblicato un articolo con i dati di fonte ministeriale riportati nelle due tabelle che seguono:

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Tab. 1: Inquinamento falda acquifera superficiale area industriale Portovesme. Fonte: Ministero dell’Ambiente
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Tab. 2: Inquinamento falda acquifera profonda area industriale Portovesme. Fonte: Ministero dell’Ambiente

Non risulta che in questi anni si sia proceduto a bonifiche sistematiche dei suoli e della falda perché l’unica attività realmente operativa in capo alle poche aziende produttive dell’area consiste in interventi di “pump and treat”,ovvero niente più di un semplice monitoraggio con piezometri a diverse profondità. Per tale motivo è ragionevole supporre che la situazione non sia affatto migliorata, salvo auspicabile smentita documentata.
Si osserva che sull’inquinamento e sulle aziende alle quali addebitarne i costi e gli oneri continua ad esserci un rimpallo delle responsabilità, ovvero chi ha inquinato, da quando e fin dove: lo Stato prima, Alcoa, Eurallumina e le altre aziende dopo, per cui chi deve pagare? Anche per tali motivi il piano di disinquinamento dopo oltre vent’anni dalla sua prima stesura è ancora fermo al palo: si fa il monitoraggio, ma nessun reale passo avanti concreto verso la messa in sicurezza permanente, la bonifica, il ripristino e il riuso.
Parlare di bonifiche, con i valori su indicati, è pressoché impossibile: se si applicassero rigorosamente le norme bisognerebbe far cessare anche le poche produzioni rimaste in funzione nell’area industriale. Infatti, i valori di inquinamento sono così alti che solo con un periodo di qualche decennio di bonifiche profonde dei suoli è ipotizzabile un’azione di riconversione, riqualificazione, recupero e ripristino dell’area in esame.
E questo, purtroppo, vale anche per numerosi altri siti industriali presenti nell’isola.
E’ appunto il coraggio delle scelte che sembra mancare.
E per tornare al linguaggio manzoniano, quando si è vasi di coccio tra vasi di ferro lo si può anche capire, ma in questo caso c’è solo un vaso di ferro, Rusal, e tanti, troppi vasi di coccio che corresponsabilmente, con le loro decisioni e le loro azioni, alimentano i già gravi danni ambientali, economici e sociali presenti nella nostra regione.
Non vale prendersela con i tecnici che analizzano i progetti e portano avanti le procedure di valutazione ambientale. Spesso fanno il loro lavoro in condizioni di accerchiamento quasi fossero “nemici o avversari”, mentre si tratta di personale competente che, oltre alle pressioni della piazza, si deve adattare a cambiamenti repentini della normativa che cambia in continuazione al punto di non considerare come “rifiuti pericolosi” i fanghi rossi che finiscono nel bacino ancora sotto sequestro della magistratura e le indebite intrusioni della “politica” che, incapace di individuare percorsi alternativi di sviluppo, ha difeso la declassificazione della pericolosità dei fanghi rossi e sposato la possibilità di un’autorizzazione di 25 anni, quando normalmente le autorizzazioni sulle discariche durano 10 anni.
Nello specifico della Conferenza dei Servizi del progetto Eurallumina va dato atto al Mibact, ovvero al soprintendente Martino, di essere stata l’unica voce istituzionale contraria al progetto: tutti gli altri Enti hanno contribuito alla “sciagurata risposta” di Gertrude/Regione.
I lavoratori sotto il ricatto della disoccupazione e della disperazione e privati di qualunque altra prospettiva appaiono non preoccuparsi né dell’ambiente in cui vivono né della salute di se stessi e della popolazione. L’unica preoccupazione sembra essere la difesa con le unghie e con i denti delle poche attività lavorative rimaste, anche con i dati drammatici dell’inquinamento che sono stati evidenziati e quando il lavoro proposto confligge amaramente con la salute.
La politica, infine, è sotto ricatto dal basso (i lavoratori e i sindacati) e dall’alto, la multinazionale di turno e lo Stato, per cui è la rappresentazione plastica del nostro Don Abbondio manzoniano.
Ma ci si può accontentare del fatto che o il coraggio uno ce l’ha o non c’è niente da fare?
Insomma, comunque la si guardi questa vicenda vede solo perdenti ad esclusione della multinazionale Rusal.
In definitiva una brutta pagina per tutti, talmente brutta che si sono registrati anche casi di intimidazioni e gravi minacce ad alcuni esponenti di associazioni e gruppi contrari al progetto.
Per voltare definitivamente pagina è necessario ripensare collettivamente al nostro futuro.
Va individuato un nuovo modello di sviluppo sostenibile a partire dalla considerazione che il lavoro è cambiato e niente più sarà come prima.
Per quanto ci riguarda, anche la grave situazione di compromissione dei suoli inquinati della Sardegna che, con la nuova perimetrazione partita nel 2011 e finalmente conclusa e ratificata dal Ministero dell’Ambiente, ammonta a circa 22 mila ettari, da quel grave problema che è va trasformato in opportunità.
Nella nostra isola abbiamo tutti i tipi di inquinamento ambientale di origine industriale, minerario e militare. Anche a partire da qui abbiamo il dovere di delineare idee e progetti sostenibili finalizzati alla proposta di un piano straordinario per il lavoro che dia prospettive di sviluppo e benessere soprattutto ai nostri giovani, senza costringerli ad emigrare per l’inadeguatezza generalizzata delle classi dirigenti, perché senza i giovani la Sardegna sarà definitivamente senza futuro.
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1 μg = un microgrammo = un milionesimo di grammo

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Poli industriali, Eurallumina e dintorni
Un piano straordinario per lavoro, a partire dalle bonifiche e dalla messa in sicurezza del territorio sardo, dedicato soprattutto alle giovani generazioni
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One Response to Poli industriali, Eurallumina e dintorni Un piano straordinario per lavoro, a partire dalle bonifiche e dalla messa in sicurezza del territorio sardo, dedicato soprattutto alle giovani generazioni

  1. […] —————————————————————————————————- Si è riacceso il dibattito sull’Euroallumina a seguito dell’approvazione del progetto Rusal. Oggi la CSS, a partire dalle 10, nella sua sede di via Roma 72 – p. 1° – a Cagliari, tiene una conferenza stampa. In argomento nell’editoriale di oggi un qualificato contributo al dibattito da Fernando Codone…. […]

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