Negli ultimi trent’anni l’economico ha coperto tutti gli spazi della vita e ha finito per svuotare di senso del lavoro, della solidarietà, del vivere insieme. La crisi economica che ha segnato l’ultimo decennio, ci obbliga a porci degli interrogativi sul modello di sviluppo segnato dalla globalizzazione e fondato sull’ideologia neo-liberista che ha caratterizzato l’Occidente ha generato una visione economicistica della vita e delle relazioni interpersonali e la convinzione che il progresso o meglio il futuro sarebbe stato segnato da una crescita illimitata generata dall’auto capacità regolativa dei mercati e dalla immissione nei sistemi di produzione di sempre nuove e pervasive innovazioni tecnologiche. (…) Poiché la maggioranza dei problemi sono stati generati dall’uomo e che se non si agisce in tempo c’è la possibilità di arrivare a un punto di non ritorno, occorre avere la forza e il coraggio di ripensare il nostro modo di vivere, di produrre e di consumare.

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di Savino Pezzotta

ECONOMIA, LAVORO E SVILUPPO UMANO
12 maggio, 2017 di Savino Pezzotta, sul suo blog
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Sabato scorso ho partecipato a un interessante convegno della Caritas di Cagliari. Un incontro molto interessante che ha visto la partecipazione di molti ragazzi delle scuole, oltre ai miei amici della Cisl. Non essendo per ragioni di tempo riuscito a sviluppare il mio intervento, lo pongo qui anche per dare agli amici della Caritas di Cagliarli di conoscere integralmente quanto avrei voluti dire. Un grazie vero e di cuore per l’accoglienza ricevuta.

Appunti per Intervento

Per poter parlare con attenzione e sensibilità sociale di sviluppo umano non possiamo non fare alcune annotazioni sull’economia e il suo rapporto con la dimensione etica.

Negli ultimi trent’anni l’economico ha coperto tutti gli spazi della vita e ha finito per svuotare di senso del lavoro, della solidarietà, del vivere insieme.

La crisi economica che ha segnato l’ultimo decennio, ci obbliga a porci degli interrogativi sul modello di sviluppo segnato dalla globalizzazione e fondato sull’ideologia neo-liberista che ha caratterizzato l’Occidente ha generato una visione economicistica della vita e delle relazioni interpersonali e la convinzione che il progresso o meglio il futuro sarebbe stato segnato da una crescita illimitata generata dall’auto capacità regolativa dei mercati e dalla immissione nei sistemi di produzione di sempre nuove e pervasive innovazioni tecnologiche.

Non sono contro la scienza e la tecnologia, né mi colloco sul versante neo-luddista, anzi continuo ad emozionarmi e compiacermi dinnanzi alle scoperte scientifiche e alla loro declinazione tecnologica, ma rifiuto di affidare loro un compito prometeico e non condivido che possano sostituirsi al potere dell’uomo. Gli strumenti che possono aiutare l’uomo nello sviluppo della personalità soggettiva, nel lavoro e nella cura, come nella produzione di beni, di scambi e di relazioni deve essere governato dall’umano e pertanto sempre riferito a criteri etici e sociali e non solo a quelli puramente economici.

Avendo da sempre rifiutato l’idea che il denaro fosse “lo sterco del demonio”, preferendo la quanto scritto da Leon Bloy che diceva che il danaro era “il sangue del povero” e per questo deve essere rispettato e usato come strumento di solidarietà, di aiuto, di carità e per consentire una vita dignitosa. Per la sua natura intrinsecamente sociale e relazionale, il denaro non può diventare un idolo e forma di potere, di un accumulo che sottrare risorse ai più deboli, che tenda moltiplicarsi tramite sé stesso.

La finanziarizzazione dell’economia ha prodotto tanti guai al mondo e ha contribuito fortemente a estendere le disuguaglianze, a mortificare il lavoro e a introdurre nelle democrazie elementi negativi, dico questo non perché sono contro la finanza che continuo ritenere strumento utile e necessario per il buon funzionamento delle nostre società, ed è proprio che per questo che deve essere sempre uno strumento trasparente affidato, alla politica e alla dimensione sociale.

In questi ultimi anni, innanzi al crescere della disoccupazione, al peggioramento degli stili di vita dei ceti medi e popolari, al crescere delle disuguaglianze e delle povertà, ce la siamo presa con l’austerità, la flessibilità e, in definitiva, con l’Europa. Quando invece si sarebbe dovuta sviluppare con rigore una riflessione sul modello liberista e sui danni che esso ha provocato e come attraverso l’indebolimento dell’economia sociale di mercato, messa in atto anche in Europa, si è finito per restringere il benessere delle nostre società.

Andava aperta una linea di credito verso la sobrietà, poiché a parer mio oggi la crescita economica, su cui si spendono attualmente -a proposito e sproposito- molte parole, deve essere piegata su una logica di sviluppo umano. Mi rendo conto che questo esige un ordine politico stabile e fortemente integrato a livello europeo. Un ordine che sia in grado di esercitare la responsabilità di fissare priorità comuni, criteri di redistribuzione delle risorse, regole di ingaggio e investimento sul futuro e di negoziare il proprio rapporto con il mondo e, soprattutto, nei confronti della politica del nuovo presidente americano.

C’è un bisogno reale di più Europa e non di meno e l’obiettivo che si intende perseguire è quello dello sviluppo umano e non semplicemente della crescita economica. I singoli paesi europei non saranno e non sono in grado di affrontare singolarmente la questione del lavoro e, in particolare, il problema dell’arrivo di richiedenti asilo e di migranti in cerca di una vita decente.

Siamo entrati in un momento in cui bisogna iniziare ad impadronirsi del futuro. Abbiamo il dovere di far proiettare l’ombra del futuro sul nostro presente se vogliamo costruire percorsi di sviluppo integrale. Bisogna prendere atto delle problematiche che condizioneranno le forme del nostro vivere per andare oltre il mantra liberista, l’ortodossia ordoliberista e il populismo emergente.

Non è facile avanzare una visione critica dell’economicismo attuale. In tal senso, prima ancora che una prospettiva economica, la “sobrietà” riguarda la sfera del pensare, i nostri stili di vita e di consumare, l’ambiente e il paesaggio del vivere comune.

Indubbiamente bisogna partire dai poveri, dai deprivati, da coloro che sono marginalizzati ed esclusi e farli divenire protagonisti del dibattito, del confronto e della decisione politica. In questa direzione va recuperato il concetto di emancipazione, perché lo sviluppo umano si determina quando ai deboli si restituisce la parola, li si libera dalla passività e dall’assistenzialismo e li si rende soggetti attivi, portatori di storie, risorse, desideri e sogni facendo combaciare l’impegno per sviluppo umano integrale con l’idea/desiderio di crescita/dignità della persona.

Nello stesso tempo avverto la necessità di immettere nel nostro cuore una riflessione ampia e approfondita che ci aiuti ad inquadrare lo sviluppo umano integrale ​nella “cura della casa comune” come indicato nell’enciclica di Papa Francesco “Laudato Si’”.

Papa Francesco invita ad assumere con urgenza il destino della “famiglia umana” e a custodire il “bene comune” del creato che attualmente passa nella lotta contro il cambiamento climatico, nell’impegno più deciso per la pace, il governo della mobilità umana e la ridistribuzione globale della ricchezza prodotta anche attraverso l’uso delle nuove tecnologie. La rivoluzione digitale, l’industria 4.0 non può limitarsi a produrre un incremento della scala del valore solo a vantaggio di pochi.

Per agire su questo terreno non basta il pensiero economico è politico, ma dobbiamo senza pudori attingere laicamente alle risorse delle tradizioni religiose, spirituali e culturali dei popoli.

Dobbiamo maturare e far crescere nella società e nell’opinione pubblica la consapevolezza che l’insieme dei problemi che oggi angustiano il mondo e in particolare quelli che derivano dalla questione climatica, non possono essere affrontati solo ricorrendo a standard di tipo tecnico o ad azioni esclusivamente tecnologiche e finanziarie, ma si devono mettere in azione le risorse etiche e spirituali. La popolazione umana è numerosa e tenderà a cresce e avrà sempre più bisogno di cibo, di cure, di istruzione e di lavoro, ma tutti questi bisogni sono oggi confinati nell’incerto. L’acqua potabile diventa ogni giorno risorsa scarsa, l’atmosfera e i mari sempre più inquinati, il clima si sta modificando in modi che non sempre sono propizi alla vita. Poiché la maggioranza dei problemi sono stati generati dall’uomo e che se non si agisce in tempo c’è la possibilità di arrivare a un punto di non ritorno, occorre avere la forza e il coraggio di ripensare il nostro modo di vivere, di produrre e di consumare.

C’è bisogno di una mappa per orientarci per non cadere in visioni apocalittica per questo ci serve un pensiero aperto che sia, come scrive il Papa, nell’esortazione apostolica “Evangelii Gaudium”, poliedrico e non circolare.

235. Il tutto è più della parte, ed è anche più della loro semplice somma. Dunque, non si dev’essere troppo ossessionati da questioni limitate e particolari. Bisogna sempre allargare lo sguardo per riconoscere un bene più grande che porterà benefici a tutti noi. Però occorre farlo senza evadere, senza sradicamenti. È necessario affondare le radici nella terra fertile e nella storia del proprio luogo, che è un dono di Dio. Si lavora nel piccolo, con ciò che è vicino, però con una prospettiva più ampia. Allo stesso modo, una persona che conserva la sua personale peculiarità e non nasconde la sua identità, quando si integra cordialmente in una comunità, non si annulla ma riceve sempre nuovi stimoli per il proprio sviluppo. Non è né la sfera globale che annulla, né la parzialità isolata che rende sterili.

236 Il modello non è la sfera, che non è superiore alle parti, dove ogni punto è equidistante dal centro e non vi sono differenze tra un punto e l’altro. Il modello è il poliedro, che riflette la confluenza di tutte le parzialità che in esso mantengono la loro originalità. Sia l’azione pastorale sia l’azione politica cercano di raccogliere in tale poliedro il meglio di ciascuno. Lì sono inseriti i poveri, con la loro cultura, i loro progetti e le loro proprie potenzialità. Persino le persone che possono essere criticate per i loro errori, hanno qualcosa da apportare che non deve andare perduto. È l’unione dei popoli, che, nell’ordine universale, conservano la loro peculiarità; è la totalità delle persone in una società che cerca un bene comune che veramente incorpora tutti.
Quindi, al di là delle considerazioni di ordine globale, dobbiamo cercare di vedere la società come formata da una serie di diversità e specialmente guardarla dal punto di vista dei poveri, in modo che possiamo riflettere su come trasformare il nostro stile di vita.

Nell’enciclica “Laudato Si’” sulla salvaguardia del creato, Papa Francesco invita a assumere una visione di ecologia integrale capace di valutare tutte le componenti ambientali, economiche, culturali per costruire una ecologia della vita quotidiana che ponga al suo centro la dignità inalienabile della persona umana.

L’enciclica “Laudato Si’“ ci invita a riflettere su una serie di aspetti: coscienza e responsabilità, discernimento o scelta critica, creatività, capacità e limiti.

COSCIENZA E RESPONSABILITA’

203. Accade ciò che già segnalava Romano Guardini: l’essere umano «accetta gli oggetti ordinari e le forme consuete della vita così come gli sono imposte dai piani razionali e dalle macchine normalizzate e, nel complesso, lo fa con l’impressione che tutto questo sia ragionevole e giusto”. Tale paradigma fa credere a tutti che sono liberi finché conservano una pretesa libertà di consumare, quando in realtà coloro che possiedono la libertà sono quelli che fanno parte della minoranza che detiene il potere economico e finanziario. In questa confusione, l’umanità postmoderna non ha trovato una nuova comprensione di sé stessa che possa orientarla, e questa mancanza di identità si vive con angoscia. Abbiamo troppi mezzi per scarsi e rachitici fini.

In questo paragrafo viene sottolineato che oggi abbiamo più risorse del necessario e che ci concentriamo troppo sui mezzi e non riflettiamo abbastanza sugli obiettivi e sui fini che vogliamo perseguire o raggiungere, e che più che tendere alla “vita buona” ci accontentiamo di ricercare la “bella vita”. Già Romano Guardini cinquant’anni fa aveva sottolineato come i progressi tecnologici non siano stati accompagnati dallo sviluppo della responsabilità umana, dai valori e dalla consapevolezza. Mentre l’essere umano anela a una sempre maggiore autonomia, le innovazioni tecnologiche non sempre rendono le persone più libere e indipendenti.

Quello che dobbiamo fare non è demonizzare la tecnica, agire con attenzione sulla sua usabilità, mettendo in atto un discernimento collettivo sugli obiettivi che si vogliono raggiungere con l’innovazione tecnologica e sul come impiegare la stessa su obbiettivi collettivi: la cura delle persone, l’accompagnamento della crescita dei bambini, l’assistenza degli anziani, il riscatto dalle povertà, per la sanità, l’istruzione, i trasporti e la produzione sostenibile di energia.

A volte siamo costretti a renderci conto che strumenti che potrebbero produrre progetti e percorsi di liberazione e di emancipazione individuale e sociale, vengono impiegati solo per il profitto privato. Prendiamo per esempio quello che si sta verificando sul terreno del lavoro, l’automazione dei processi produttivi, l’impiego di robot in molteplici attività dalla produzione alla medicina, le nanotecnologie, le biotecnologie potrebbero liberare le persone dalla fatica, dalla routine, dalla alienazione, mentre dobbiamo costare che esse vengono orientate al profitto privato e al potere di pochi con costi sociali (disoccupazione) molto alti che rendono i poveri e gli esclusi maggiormente vulnerabili.

Inoltre molte volte avanza un certo cinismo, soprattutto quando si esalta l’innovazione tecnologica perché dovrebbe consentire di non avere i problemi che normalmente nascono dagli esseri umani (nessuna rivendicazione, scioperi, sindacato).

Camminare su questi sentieri pone la questione di una certa visione del vivere insieme e del come organizzare la vita sociale.

Il Papa inoltre insiste molto sulle disuguaglianze che segnano le società attuali e che investono, anche se in modi diversi, le società ricche e quelle povere. Si pone il problema della ricchezza creata in tutta la catena del valore, dalle catene di produzione globale, dalla gestione dei rifiuti dei paesi ricchi che non possono per denaro essere scaricati sui paesi poveri. Tanto sono gli esempi di collocazione dei rifiuti tossici e dei problemi che stanno creando alle popolazioni e che molte volte incrementano modelli corruttivi e/o criminogeni (mafie). Va anche tenuto presente che la ricerca esclusiva del business ha portato anche a situazioni di pesante sfruttamento della manodopera compreso il lavoro minorile, in molte parti del mondo.

Andrebbe aperta una riflessione sulla cosiddetta catena del valore e valutarla anche in termini di compatibilità sociale e ambientale.

Nel complesso queste distonie vengono presentato all’interno di un processo di deindustrializzazione dei paesi occidentali, come una nuova modo di fare produzione che tiene conto della evoluzione tecnologica e delle condizioni della concorrenza internazionale. Non sempre si tiene conto delle persone e dell’ambiente. Oggi sempre più si avverte la necessità di una responsabilità d’impresa che non si limiti ai dipendenti diretti o all’ambiente della sua localizzazione, ma anche degli effetti che la sua attività produce nei luoghi e nei confronti delle persone ovunque essi siano.

CREATIVITA’

Nella Enciclica il Papa non si limita a denunciare con vigore le ricadute di ingiustizia che o nostri modelli finanziari che agisco sul breve termine provocano, ma propone un impegno creativo.

192. …un percorso di sviluppo produttivo più creativo e meglio orientato potrebbe correggere la disparità tra l’eccessivo investimento tecnologico per il consumo e quello scarso per risolvere i problemi urgenti dell’umanità; potrebbe generare forme intelligenti e redditizie di riutilizzo, di recupero funzionale e di riciclo; potrebbe migliorare l’efficienza energetica delle città; e così via. La diversificazione produttiva offre larghissime possibilità all’intelligenza umana per creare e innovare, mentre protegge l’ambiente e crea più opportunità di lavoro. Questa sarebbe una creatività capace di far fiorire nuovamente la nobiltà dell’essere umano, perché è più dignitoso usare l’intelligenza, con audacia e responsabilità, per trovare forme di sviluppo sostenibile ed equo, nel quadro di una concezione più ampia della qualità della vita. Viceversa, è meno dignitoso e creativo e più superficiale insistere nel creare forme di saccheggio della natura solo per offrire nuove possibilità di consumo e di rendita immediata.

Le innovazioni sono spesso fattori di espansione della società dei consumi, mentre sarebbe necessario orientarle verso forme di sobrietà, di cura, di condivisione e di incremento delle relazioni interpersonali e sociali.

Servono nuove forme di economia poiché non possiamo più attestarci sul mono-modello dell’economia capitalista e privatistica, penso alle forme di economia circolare o all’economia sociale che non sono solo teorie o utopie, ma applicazioni molto pratiche

Ponendosi come alternativa al classico modello lineare, l’economia circolare promuove una concezione diversa della produzione e del consumo di beni e servizi, che passa ad esempio per l’impiego di fonti energetiche rinnovabili, e mette al centro la diversità, in contrasto con l’omologazione e il consumismo cieco.

Ma anche a modelli e forme come il carpooling (uso dell’automobile tra più) il coworking (condivisione di un ambiente di lavoro, spesso un ufficio, mantenendo un’attività indipendente), il consumo collaborativo, la mutualità, la cooperazione e la sperimentazione di nuove forme di lavoro che privilegino la partecipazione e la responsabilità rispetto alla subordinazione.

Va ripensato il tema della proprietà e del suo valore individuale e sociale, come si rende necessario ridefinire i confini tra pubblico e privato.

Nei nostri ragionamenti va incluso il tema delle conoscenze e della sua ripartizione come quello dell’insieme dei beni comuni globali che vanno trasmessi alle generazioni future.

Bisogna prendere atto che i nostri attuali modelli di crescita non rappresentano la giusta soluzione dei problemi. La questione politica e culturale che sta davanti a noi ci obbliga a vedere il neoliberismo non come una semplice ideologia o un’idea di politica economica, ma considerarlo prima di tutto come una vera e propria proposta e forma di vita, che tende strutturare la totalità della soggettività di ognuno. Da questa pervasività ideologica ci si deve liberare se si vuole creare una dimensione sociale e condivisa del vivere insieme.

CAPACITA’

Per stimolare la creatività si ha bisogno di dati, di informazioni affidabili e di nuovi strumenti di misurazione, Serve un nuovo indice di sviluppo umano, che tenga conto del PIL pro-capite, ma anche della speranza di vita alla nascita, dell’accesso alla salute, all’istruzione e alla creazione di capacità che consentano all’essere umano di fare e di essere.

Vanno create le condizioni sociali, economiche e politiche basate sull’autonomia e la responsabilità delle singole persone, un’autonomia che non faccia precipitare nell’individualismo egoista, ma che favorisca il formarsi di sempre nuove interdipendenze tra le persone, indipendentemente dalla religione, dalla etnia, dalla cultura e dalle scelte politiche.

SCELTA CRITICA

123. La cultura del relativismo è la stessa patologia che spinge una persona ad approfittare di un’altra e a trattarla come un mero oggetto, obbligandola a lavori forzati, o riducendola in schiavitù a causa di un debito. È la stessa logica che porta a sfruttare sessualmente i bambini, o ad abbandonare gli anziani che non servono ai propri interessi. È anche la logica interna di chi afferma: lasciamo che le forze invisibili del mercato regolino l’economia, perché i loro effetti sulla società e sulla natura sono danni inevitabili.

Nella stessa frase il Papa indica con chiarezza che è la stessa logica che agisce per i crimini privati (sfruttamento sessuale dei bambini e abbandono degli anziani), che sta alla base di ogni economia predatoria delle risorse naturali.

I modello economici che sono stati introdotti dalla rivoluzione industriale son stati costruiti sull’idea che ci sarà sempre abbastanza e di più. Solo che la crisi economica che abbiamo vissuto e che ancora stiamo vivendo si è incaricata di smentire questo ottimismo e ci pone problemi di equità e di distribuzione della ricchezza in direzione del lavoro e del mantenimento dei beni pubblici.

Abbiamo appreso dalla crisi che le risorse sono limitate e che non possiamo più ragionare come se ci fosse davanti a noi una torta collettiva illimitata e che la redistribuzione debba riguardare solo ciò che non abbiamo consumato.

Questa logica è mortale, è quella che fa costruire i muri, rimettere le frontiere, espellere e confinare, generare esclusioni. Di fronte ai gravi problemi che ci si pongono non possiamo rispondere solo valutando i costi, ma recuperando la domanda di senso e collegarla alla questione di nuovi stili di vita.

194. Affinché sorgano nuovi modelli di progresso abbiamo bisogno di «cambiare il modello di sviluppo globale», [136] la qual cosa implica riflettere responsabilmente «sul senso dell’economia e sulla sua finalità, per correggere le sue disfunzioni e distorsioni». [137] Non basta conciliare, in una via di mezzo, la cura per la natura con la rendita finanziaria, o la conservazione dell’ambiente con il progresso. Su questo tema le vie di mezzo sono solo un piccolo ritardo nel disastro. Semplicemente si tratta di ridefinire il progresso. Uno sviluppo tecnologico ed economico che non lascia un mondo migliore e una qualità di vita integralmente superiore, non può considerarsi progresso. D’altra parte, molte volte la qualità reale della vita delle persone diminuisce – per il deteriorarsi dell’ambiente, la bassa qualità dei prodotti alimentari o l’esaurimento di alcune risorse – nel contesto di una crescita dell’economia. In questo quadro, il discorso della crescita sostenibile diventa spesso un diversivo e un mezzo di giustificazione che assorbe valori del discorso ecologista all’interno della logica della finanza e della tecnocrazia, e la responsabilità sociale e ambientale delle imprese si riduce per lo più a una serie di azioni di marketing e di immagine.

In molti ci hanno spiegato che lo sviluppo umano dipende in larga parte non solo e non tanto sul piano del supporto allo sviluppo, bensì in una logica win-win, cioè di vantaggi reciproci, di mutua crescita, di convergenza di interessi economici e culturali. Sono diverse le rilevazioni statistiche che ci hanno mostrato che così non è e non è stato, anzi la spinta verso il profitto individuale a scapito dei molti ha consentito l’ampliarsi delle disuguaglianze, dello sfruttamento e di forme di delocalizzazione che hanno impoverito le realtà di primo insediamento.

Osservando la situazione e l’andamento dell’economia globalizzata siamo portati a chiederci quale valore umano può avere la nozione di crescita che non tiene conto dello sviluppo umano e che si basa solo sul Pil pro capite che non può essere considerato l’unico indicatore di benessere, il suo tasso di variazione annua non può essere considerato una misura di sviluppo, nonostante questa sia la prassi dominante.

L’aumento del PIL pro capite riflette essenzialmente la crescita economica ed è un concetto puramente quantitativo, mentre il termine “sviluppo” indica un processo di trasformazione a vari livelli del sistema economico e della società, indirizzato a favorire l’aumento del benessere comune. Il persistere della prassi di misurare il benessere e lo sviluppo solo attraverso il PIL p.c. implica che lo scopo della politica, dalla massimizzazione del benessere collettivo, si riduca esclusivamente a favorire la crescita continua e indiscriminata dell’economia di mercato. A questo punto ci viene da domandarci a cosa serve aumentare la torta collettiva quando gli ingredienti necessari di questo aumento non rispettano criteri di giustizia, di equità e di sostenibilità? Non è vero che le maree alzando il vascello fanno il bene di tutti i naviganti. Dobbiamo imparare a guardare oltre la quantità per valutare meglio in termini di qualità il nostro modo di creare ricchezza.

Lo sviluppo della tecnologia digitale, la formazione di industria 4.0 può affascinare e personalmente ne sono ammaliato, anche perché può generare un nuovo modo di organizzare il lavoro intrecciando lavoro produttivo e lavoro di cura. Può contribuire a ridurre la fatica fisica, ma nonostante l’incantamento mi domando se essa può contribuire a rendere la vita e il lavoro umanamente dignitosi.

Se dalla rivoluzione digitale non scaturisce anche una ripartizione del tempo e della ricchezza che favorisca la possibilità per le persone di avere cura di se, della loro famiglia, della comunità e dell’ambiente in cui vivono e abitano, dei bambini e degli anziani e renda la parità uomo donna una dimensione concreta del nostro vivere, ma se si riduce solo alla dimensione tradizionale del fare profitto o del trarre solo ed esclusivamente vantaggi personali, allora la cosiddetta quarta rivoluzione diventa una dimensione che non risponde alle esigenze di sviluppo umano.

VINCOLI

Per essere all’altezza delle grandi trasformazioni che la dimensione tecnologica e scientifica sta producendo dobbiamo metterci nella condizione di poter trasformare complessivamente anche l’economia, e non solo limitarci a sperimentazioni virtuose.

Sono convinto che le forme dell’economia sociale che riusciamo a implementare siano molte utili per far passare nella nostra cultura nuovi paradigmi e aprire la strada a nuove possibilità.

Agire in una logica di sviluppo umano significa porci all’interno di una logica di ecologia umana.

L’immagine della casa che l’enciclica ha avanzato non si riferisce unicamente alla dimensione dello spazio fisico e naturale, ma richiama a una dimensione più generale capace di far interagire la salvaguardia del creato, con il rispetto dell’umano e della sua integrità e delle sue possibilità e alle interazioni tra gli esseri. Ci viene proposta l’urgenza di elaborare una percezione originale del mondo come realtà «in cui tutti possono trovare il proprio posto e sentirsi “a casa”, perché è “cosa buona”»

Si rimanda, pertanto, a una modalità di fare esperienza del reale che si radica su un fondo antropologico. E in virtù di questo radicamento non può far a meno di riferirsi all’identità del soggetto umano, nell’interazione complessa con tutto ciò che definisce (ambiente/relazioni/cura di sé e degli altri) il proprio vivere. Senza dimenticare che tale operazione inizia da uno sguardo attento che l’uomo è chiamato a rivolgere su di sé per definire la qualità delle proprie emozioni e dei pensieri che danno impulso alle azioni.

In un tempo in cui sembrano predominare le visioni apocalittiche, in un mondo in cui è tornato ad agitarsi la minaccia della bomba atomica e dove si è generata una confusione tra i disastri causati dalla natura, tra naturale e artificiale, di fronte al riscaldamento globale, al crescere dell’inquinamento, delle guerre, delle disuguaglianze, delle persone che si sono messe in cammino per sfuggire alla violenza della guerra, delle persecuzioni e dalle privazioni economiche e che fanno fatica a trovare una porta aperta, occorre che ognuno di noi faccia quanto è nelle sue possibilità e disponibilità perché un vero sviluppo umano si realizzi.
——–

Non possiamo più confidare nelle forze cieche e nella mano invisibile del mercato. La crescita in equità esige qualcosa di più della crescita economica, benché la presupponga, richiede decisioni, programmi, meccanismi e processi specificamente orientati a una migliore distribuzione delle entrate, alla creazione di opportunità di lavoro, a una promozione integrale dei poveri che superi il mero assistenzialismo. Lungi da me il proporre un populismo irresponsabile, ma l’economia non può più ricorrere a rimedi che sono un nuovo veleno, come quando si pretende di aumentare la redditività riducendo il mercato del lavoro e creando in tal modo nuovi esclusi
- Papa Francesco, Evangelii Gaudium

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