DIBATTITO: SardegnaCheFare?

sardegna-comuniunicaLa tessitura del nuovo
di STEFANO PUDDU CRESPELLANI

La difficoltà non consiste nel trovare idee nuove,
ma nel liberarsi dalle vecchie.
Albert Einstein

Il test elettorale delle comunali sarde lascia aperte quasi tutte le incognite sullo scenario politico futuro. I dati di tendenza sono da leggere con molta cautela. L’unico vincitore chiaro è l’astensione, che supera di media il 40%. Per il resto, nessuno convince. Nemmeno le proposte fuori dai poli. Ci sono, certo, alcune lodevoli eccezioni. Dove si è lavorato bene, l’astensione scende. L’elettore, come testimonia l’esempio di Bauladu, dà volentieri il voto a chi ha saputo meritarsi la sua fiducia con i fatti. Ma il resto non esprime tanto consenso quanto stanchezza e assuefazione.
Le forze bipolari, che si contendono il centro politico, a questo turno sono riuscite a “reggere”, come potrebbe farlo una pianta sull’orlo di un precipizio. Malgrado l’erosione implacabile del suolo, un esteso intrico di radici permette loro di tenersi ancora in piedi. In fondo è proprio a livello locale dove la trama delle conoscenze e dei favori funziona al meglio. Per riuscire a scalzare questo groviglio ci vuole tempo e molto lavoro serio.
Le forze “alternative”, sia le liste a 5stelle, sia soprattutto quelle sarde, più o meno indipendentiste, hanno intercettato solo debolmente il desiderio di cambiamento. La logica di andare da soli non ha dato frutto.
La classe politica sarda ha mostrato, finora, poca pratica di tessitura e di cucito. Sarà perché spesso si è rimasti a uno stadio precedente, legato alla preponderanza del maschio e ai suoi metodi di negoziazione “virili” (che sono più che altro metodi di negazione). Per fortuna il mondo cambia, e il beneficio di un approccio diverso alla diversità e ai conflitti sta arrivando anche da noi.
In ogni caso, il lavoro per una alternativa è ancora lì che attende. Per impegnarsi seriamente bisogna essere disposti a ragionare sul medio termine. Ci vorrà continuità e costanza, più di quanta non ce ne sia stata finora. Il che non significa rinunciare a un approccio intelligente e pratico alla sfida elettorale che si avvicina. Ci vuole un ordito di pazienza e di lavoro a medio termine, su cui però tessere una trama, cioè un disegno, colorato e ambizioso, a breve. Questo disegno non è altro che una proposta di governo alternativo, in stile sardo. Abbiamo pressoché la garanzia di non poter fare peggio di quel che è stato fatto nelle due ultime legislature, in cui le due forze principali hanno fatto a gara per stabilire record di inefficienza e asservimento alle logiche italiane. Tuttavia, bisogna prepararsi al compito con metodo, serietà e pazienza. E bisogna costruire il telaio, con perizia. Precisamente, questo è il punto in cui ci troviamo.
L’intelligenza politica oggi ci dice che nessuno, da solo, ce la può fare a spostare gli equilibri, forse neanche a entrare in forze nel Parlamento sardo (come sarebbe giusto chiamarlo). Nessuno, inoltre, a questo giro può fare da contenitore degli altri. Non abbiamo, insomma, una forza egemone. Questo può essere un inconveniente, o un vantaggio. In generale, dovrebbe ispirare a tutti una posizione di ascolto e di dialogo.
Un elemento a favore è che la legge elettorale mette ciascuna delle forze politiche davanti al rischio dell’irrilevanza, per non dire della figuraccia. Piuttosto che sparire, o ottenere risultati risibili, meglio trovare degli accordi sensati.
Il momento è propizio, perché l’insoddisfazione e il disagio della cittadinanza sarda non erano mai stati così acuti. I poli tradizionali reggono soltanto in virtù delle loro trame assistenziali, costruite in decenni di gestione del potere. Ma non convincono più, da tempo, non suscitano nessuna fiducia nell’elettore. Non regge più nemmeno il discorso del male minore. Sono troppo simili tra loro, cioè sono lo stesso male, due specchi che si fronteggiano e che moltiplicano all’infinito l’immagine di un unico modello di dipendenza distruttivo per la Sardegna. La loro egemonia è in disfacimento. Sono giunti al culmine di un processo di desertificazione accelerata. Hanno perso rappresentatività in ogni settore; perfino le clientele sono ormai senza fiducia. E tuttavia reggono, perché l’alternativa non c’è ancora.
È quindi tempo di prendere ago e filo, telaio e spola, e lavorarci. Cucire posizioni, anzitutto: per non andare alle elezioni in ordine sparso e sbrindellati.
Una proposta alternativa ha soprattutto un obbligo: quella di essere diversa. E di riuscire a comunicarlo. Diversa nelle proposte, nel linguaggio utilizzato, nei metodi, nei gesti.
Per sovvertire la situazione elettorale, l’unico fattore di variazione significativo sta in quel 40% di persone che scelgono di astenersi, perché del voto futile non ne vogliono più sapere. Nello spazio d’ombra dell’astensione ci sono molte elettrici e elettori orfani di una proposta credibile, che stanno aspettando appunto questo: una proposta credibile. Qualcosa che non assomigli a ciò che già esiste. Che non funzioni secondo le stesse logiche puerili. Una proposta che pensi più ai bisogni degli elettori che ai bisogni di chi si candida.
Per arrivare agli astensionisti non serve tirarsi i piatti in testa. Funzionano molto meglio le strategie di accordo. Soprattutto se si basano su militanze che conducono insieme lotte comuni, più che su segreterie che firmano patti. L’alternativa si tesse sul serio quando reti diverse si rendono reciprocamente compatibili. La chiave sta nel mettere in comune gli esperti di ogni gruppo, per sviluppare insieme proposte. Ciascuno continua a lavorare alla propria rete, com’è giusto fare; cambia solo un piccolo dettaglio: che si impara a interagire con reti diverse dalla propria. Ci si stimola, si scambiano le idee, si avanza nella stessa direzione. Il cambiamento dev’essere questo.
Negli anni ’80, di questo fenomeno se ne diceva “contaminazione”. È stata senza dubbio una stagione fertile. Tutto il contrario dell’idea sterile di coltivare solo il proprio orticello. Molte delle lezioni di quegli anni sono state dimenticate, ma restano vive come ipotesi latenti. Questo è il momento di recuperarle, se si vuole cambiare discorso, e governo.
L’alternativa ai conglomerati di potere gestiti da poche mani passa per le reti, cioè per includere le persone escluse dal potere, che sono oggi la grande maggioranza, e dare valore alle loro relazioni. L’obiettivo delle reti è quello di attivarsi. Il compito di chi vuole costruire una alternativa è quello di riuscire a stimolarle e integrarle. Renderle comunicanti, insomma.
C’è, qui, un gran lavoro da fare in termini di intelligenza e generosità. A ciascuno è richiesto il coraggio di mettere da parte l’abitudine alla diffidenza, e affinare invece le proprie capacità di costruire la fiducia. C’è da dire che è l’unica strada percorribile, oltre al fatto che è di gran lunga la più interessante.
Abbiamo il compito di costruire un polo alternativo, con programmi che propongano soluzioni fattibili, elaborati e sostenuti da gruppi di lavoro misti, ben organizzati, capaci di esprimere persone preparate, che godano della fiducia di tutte le parti. Può sembrare un percorso più lungo. In realtà, si procede con meno intoppi.
Il fatto che da molte parti si stiano attivando processi di aggregazione va visto come positivo. Avvicinamenti nell’area indipendentista; accostamenti tra settori sovranisti e indipendentisti; dialoghi con quelle forze che ancora meritano di essere chiamate di sinistra; aperture a chi, finora, ha manifestato il proprio bisogno di alternativa in area cinquestelle. Senza dimenticare, come si diceva prima, il mondo astensionista, che è sempre la cartina di tornasole di una proposta alternativa. Se questa non riesce a intercettare minimamente la zona d’ombra del non voto, vuol dire che di alternativo ha ben poco. È soltanto un terzo contendente a dare le stesse gomitate per spartirsi lo stesso piatto.
Oggi c’è bisogno di maggiore riconoscimento, maggiore comunicazione e maggiore generosità tra tutte le componenti che aspirano a proporre una alternativa ai sardi e alle sarde. L’invidia e il risentimento, sul piano politico, non pagano. Ci vuole semplicemente coraggio e senso pratico. Impariamo a parlare chiaramente tra noi dei problemi e delle proposte, senza offendersi. È anche vero che non andrebbe poi male lasciare la suscettibilità a casa. Ci sono cose più importanti dell’amor proprio su cui mettersi d’accordo.
In questo momento, l’invito da rivolgere a tutti è quello di cucire relazioni per il bene della Sardegna. Stimolare scambio e dibattito. Aprirsi all’idea del cambiamento. L’alternativa è possibile, ma solo se avremo il coraggio del nuovo. Gli equilibri della vecchia politica si possono superare, a patto di esplorare cammini diversi. L’oligarchia si può vincere solo con un coinvolgimento ampio, mettendo in campo la partecipazione. La pulsione di potere può essere superata solo dall’intelligenza delle reti. L’alternativa ai capibastone sta in quella dimensione comunitaria che vogliono a tutti i costi farci perdere. È proprio su questo che dobbiamo lavorare, insieme.
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STEFANO PUDDU CRESPELLANI·GIOVEDÌ 22 GIUGNO 2017
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unicacomunica_2L’illustrazione è (arbitrariamente) tratta da ComunicareUnica2017.

One Response to DIBATTITO: SardegnaCheFare?

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