Elezioni siciliane e dintorni

sicilia-al-votoPensieri sparsi (qualcuno potrebbe definirli scarsi) sulle elezioni siciliane.
E dintorni: tocca anche a me rimettere i piedi per terra.
di Tonino Dessì, su fb.

Ripensando a un’animata recente discussione sulla legge elettorale sarda, mi è caduto l’occhio sui risultati prodotti dal meccanismo della legge elettorale siciliana, che si basa sul l’elezione diretta del Presidente, sul voto disgiunto e su una premialità maggioritaria sostanzialmente coincidente con l’assegnazione al candidato presidenziale vincitore dei sei seggi di un listino regionale.
Con trentasei seggi assegnati al centrodestra, venti al M5S, tredici alla coalizione a guida PD, uno alla sinistra, balza agli occhi che la maggioranza a Palazzo dei Normanni, sede dell’Assemblea Regionale Siciliana, è appesa a due voti di vantaggio, il che, conoscendo le turbolenze della politica italiana anche nelle sedi locali, non è che garantisca grande coesione nè lineare coerenza interna, salva la deterrenza del meccanismo dissolvente, che vige anche da loro. I sostenitori del proporzionale secco potranno obiettare che, anche qualora esiti analoghi si determinassero senza elezione diretta e senza premio di maggioranza, la vitalità del gioco parlamentare sarebbe sempre in grado di produrre coalizioni, maggioranze, intese.
A me viene in mente che se ciò accadesse in Sicilia con la situazione di quelle rappresentanze, non esiteremmo a riesumare polemicamente il fantasma del Milazzismo.
La competizione presidenziale, sembra di capire, è stata determinata dalla facoltà del voto disgiunto. Nonostante le opinioni prevalenti inclinino a difendere questa facoltà come ampliamento della libertà di scelta dell’elettore, io continuo a chiedermi se invece essa non rappresenti piuttosto uno strumento che premia oltre misura il personalismo politico a scapito della coincidenza tra voto presidenziale e voto di coalizione, da cui forse deriverebbero risultati più trasparenti e magari politicamente più stabili.
L’altra cosa che mi ha colpito nel profondo è che il tema dell’autonomia non sembra, da quel che ho potuto leggere e sentire, aver sfiorato nemmeno un po’ la campagna elettorale.
Fa una certa impressione che ciò sia potuto accadere nella Regione speciale italiana dotata costituzionalmente della forma più forte di autonomia.
Anche la più malata, a dir di tutti: sarà per questo, tanto reticente silenzio.
Sicilia ridotta, insomma, al rango politico di una lontana, anche se popolosa provincia, terra di razzia dei partiti italiani, la cui residua specificità sembrerebbe coincidere, semmai, solo nelle contrastanti valutazioni sull’incidenza della criminalità organizzata più nota del mondo. La Mafia (esiste?), la cui esistenza e la cui minaccia anche in termini di democrazia autonomistica non sembra nemmeno esser stata particolarmente neanch’essa al centro del confronto fra le forze politiche, visti tra l’altro i risultati complessivi.
Poi ci si interroga sul perché più della metà degli elettori nemmeno è andata a votare.
Mala tempora currunt quindi, se la specialità più significativa è ridotta così.
Da dove mai attingere a mo’ di esempio?
Da noi stessi?
Non si direbbe.
Mentre si trascina una delle più grigie (prefettizia, l’ha definita qualcuno) esperienze politico-istituzionali della storia sarda contemporanea, confusi movimenti si colgono in vista di elezioni nemmeno troppo lontane, sullo sfondo vago di suggestioni e di abbagli indotti dalla scottante vicenda catalana.
Due mesi fa abbiamo visto l’establishment consociativo istituzionalmente prevalente celebrare la vacuità di se stesso a Siamaggiore, officiante il PSd’Az.
Un’altra iniziativa ha visto concelebranti il massimo ancorché stagionato leader regionale del PD e il leader del PDS.
Un’ulteriore iniziativa del PSd’Az e de La Base ha chiamato a proprio supporto Vittorio Sgarbi.
Ieri, apparentemente a latere, ma non troppo, mi pare che si sia celebrata a Cagliari, con sull’altare il noto politico-imprenditore di Sanluri e alcuni intellettuali della sua corte, una messa funebre in suffragio dell’indipendentismo.
Messa mesta anche per l’autonomia, mi è parso di capire (non poteva essere diversamente, visto il “capitolo” orante).
Per di più in qualche modo si è voluto consumare un rito “corpore praesenti”, con la partecipazione diaconale di alcuni esponenti vecchi e nuovi di un’area che nemmeno saprei più se continuare a etichettare come indipendentista, considerati discorsi a livello di attempati studenti fuori sede di cui apprendo e ragionamenti da grillini di seconda mano che leggo (ma a quel punto, quando sarà il momento, si farà il confronto con gli originali).
Intanto Salvini si fa fotografare con gadget dei Quattro Mori.
Non so più nemmeno se valga più la pena che io continui a sbattermi scrivendo di cose sarde.

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