Sulle Madri Costituenti

img_4588madri-costit Trascrizione dell’intervento di Luisa Sassu nel Convegno sul 70° della Costituzione, tenutosi lunedì 15 gennaio, promosso dall’Anpi e dal Comitato d’Iniziativa Costituzionale e Statutaria.
26731320_1668507713187236_933646325137583279_nSulle Madri della Costituzione
di Luisa Sassu
La definizione Madri Costituenti o Madri della Costituzione è diventata, da alcuni anni, di uso comune e affianca quella più consueta di Padri Costituenti.
Entrambe le definizioni esprimono significati molto evocativi, ad alto valore semantico, perché richiamano, attraverso la metafora del padre e della madre, la genesi di quel processo democratico che ha consegnato la Carta Costituzionale al nostro Paese.
Tuttavia, pur nel quadro di questo valore semantico generale, la definizione di Madri Costituenti esprime qualcosa di più, poiché rappresenta l’ambizione di restituire alle donne il ruolo che hanno svolto nella storia democratica del Paese, e, nel contempo, di restituire alla storia democratica del Paese il ruolo svolto dalle donne, in una sorta di restituzione reciproca in cui è stata resa giustizia alle donne e completezza d’analisi (quindi verità) alla storia.
Fin dal 2014 l’ANPI del territorio di Cagliari promuove occasioni di approfondimento dedicate alle donne della Resistenza e alle Madri della Costituzione, in una collana con questo titolo che ci ha permesso di scoprire biografie straordinarie di donne straordinarie anche nella normalità della loro vita quotidiana (abbiamo ricordato Nilde Jotti, Nadia Spano, Teresa Noce, le protagoniste del voto alle donne, e alcune partigiane e antifasciste che non hanno partecipato alla Costituente, ma ne hanno condiviso il percorso, come Lidia Menapace e Bianca Sotgiu).
Queste occasioni di approfondimento tematico ci hanno permesso, inoltre, di cogliere e valorizzare il fatto che l’agire politico di quelle donne presentava delle peculiarità rispetto all’agire politico degli uomini; abbiamo potuto cogliere e valorizzare il modo in cui sono uscite dal contesto delle mura domestiche per contribuire prima alla Liberazione del Paese, poi per esigere ed esercitare il diritto di voto, e, infine , all’alba della Repubblica, per scrivere la Costituzione. Ma anche, negli anni a seguire, per promuovere una legislazione ordinaria che si conformasse ai valori e ai principi costituzionali faticosamente conquistati.
Osservando quel contesto storico, si può dire che le Madri della Costituzione sono state molto più numerose delle Madri Costituenti (se mi si consente una articolazione concettuale), perché nell’ottenimento dei diritti e dei principi costituzionali, quel piccolo gruppo di 21 Madri Costituenti raccoglieva il testimone e la rappresentanza di tutte le donne che, della Costituzione, avevano creato le condizioni e le premesse.
È così approdata, nella Assemblea Costituente, quella dialettica continua, incessante e inesauribile, tra la differenza di genere e la tensione verso la piena espansione del principio di uguaglianza.
L’analisi specifica dell’agire politico delle donne nei contesti storici di cui oggi parliamo, sebbene fossero contesti per molti aspetti eccezionali e irripetibili, ha favorito l’utilizzo di categorie analitiche peculiari, diverse ma ancora attuali, che posano uno sguardo di genere in una materia, quella politica e istituzionale, che manteneva e mantiene una forte connotazione maschile.
Una di queste categorie di analisi è il valore della consapevolezza. [segue]
Faccio alcuni esempi concreti: all’indomani della liberazione, nel periodo in cui si andava definendo il percorso della democrazia, le donne dovettero vigilare e ancora lottare per l’ottenimento del diritto di voto. A rileggere i documenti politici, le petizioni diffuse capillarmente e perfino gli articoli pubblicati sulle riviste femminili di quei mesi, il filo conduttore di quella battaglia era la consapevolezza delle donne di poter partecipare a pieno titolo alla vita politica del Paese che avevano contribuito a liberare. Il senso di quei documenti era più o meno questo “se abbiamo dato il nostro contributo alla Liberazione e alla Resistenza, talvolta anche imbracciando i fucili e andando in montagna, non esiste alcuna ragione per negarci il diritto di voto”, un diritto che evidentemente non era così scontato. Ciò è tanto vero che il primo decreto legislativo luogotenenziale che riconosceva il voto alle donne aveva dimenticato di prevedere, oltre che il diritto di votare, anche quello di essere votare ed elette. Per l’ottenimento dell’elettorato passivo fu infatti necessaria l’adozione di un altro decreto. Ai ripiegamenti conservatori sempre in agguato, si sommava poi una arretratezza culturale molto radicata, che si esprimeva anche nel diffuso scetticismo sull’interesse delle donne nei confronti del diritto di voto: uno scetticismo che fu clamorosamente smentito dall’altissima percentuale di donne che si recarono al voto sia in alcune elezioni amministrative che si svolsero nella marzo del 1946, sia nel referendum delle 2 giugno col quale si sceglieva tra la Repubblica e la monarchia.
Anche in sede Costituente (nell’assemblea e nelle sue articolazioni) il valore della consapevolezza ha rappresentato un filo conduttore: consapevolezza femminile di poter svolgere dei ruoli pubblici, nelle istituzioni e nelle carriere, di poter partecipare attivamente alla vita economica e al mercato del lavoro… in definitiva, consapevolezza di poter uscire dalle mura domestiche (come ho già sottolineato) che non erano soltanto un luogo fisico, ma anche una metafora dell’esclusione delle donne da tutti i ruoli diversi ed estranei al contesto familiare.
Per esemplificare questa consapevolezza mi piace ricordare, per il suo carattere quasi emblematico, il dibattito che si sviluppò intorno al tema dell’accesso delle donne alla magistratura.
Nonostante il principio di uguaglianza (nell’art. 3) e quello della parità di accesso alle cariche e alle funzioni pubbliche (art. 51) fossero già acquisiti, alcuni padri costituenti cercarono di introdurre nella Costituzione l’esclusione delle donne dalla magistratura, argomentando da quelle peculiarità biologiche e ormonali che ostacolerebbero (soprattutto in alcuni giorni del mese) (!), la razionalità delle donne e quindi il corretto esercizio delle funzioni giudiziarie. Ecco, queste argomentazioni che oggi fanno sorridere, anche perché sono totalmente prive di fondamento scientifico, hanno tuttavia introdotto nella Costituente dei ripiegamenti conservatori, per non dire reazionari, che hanno richiesto una convinta azione di contrasto da parte di alcune donne che militavano nello stesso partito politico di chi sosteneva quegli argomenti. Maria Federici, democristiana, si oppose fieramente a questi tentativi reazionari con argomenti di ironica disobbedienza, di irriverenza che, senza intaccare la disciplina di partito, volevano introdurvi elementi dialettici importanti. Alcuni brani degli interventi di Maria Federici: “Se una donna ha ricevuto dalla Provvidenza talenti speciali, che la Provvidenza è ben libera di seppellire in un cervello femminile, quale diritto avete voi per impedire che questa donna possa sfruttare i talenti che ha ricevuto e che è suo dovere mettere a profitto ?” e, ancora: “Onorevoli colleghi, se qualcuno che siede qui ha la propria moglie che a casa fa la calza, non ritengo questo un argomento valido per invogliare una donna che chiede una toga ad accettare, anziché una toga, una calza”.
Per apprezzare pienamente il significato di queste parole, occorre immaginare il contesto politico, solenne e culturale in cui furono pronunciate: soltanto una assertiva consapevolezza poteva consentire un simile strappo argomentativo.
Fu l’azione trasversale delle Madri Costituenti a scongiurare l’esclusione delle donne dall’accesso alla magistratura, sebbene quell’azione non valse ad ottenere l’obiettivo massimo che era (all’opposto) quello di costituzionalizzare tale accesso nella parte che disciplina l’ordinamento giurisdizionale.
Quest’ultima considerazione introduce un’altra categoria di analisi dell’agire politico delle Madri Costituenti: il metodo della trasversalità, quella decisione spesso spontanea di condividere gli obiettivi anche prescindendo dalle appartenenze ai rispettivi partiti. Un metodo che ha fatto dire, a tante di quelle donne, che perfino senza accordarsi preliminarmente sulla condotta tenere in aula, a volte bastava uno sguardo fra di loro per muoversi insieme, nella convinzione che non fossero lì soltanto per rappresentare i partiti ai quali erano iscritte, ma per rappresentare tutte le donne. Spesso, nel dibattito costituente, emerge chiarissima la responsabilità di questa rappresentanza estesa non contemplata dallo schema dell’appartenenza ad un partito.
Naturalmente, la trasversalità produsse i suoi effetti più significativi nel dibattito su alcuni argomenti (il lavoro e le carriere, per esempio), ma è corretto sottolineare che ci furono dei temi (molto problematico quello della famiglia) in cui le divergenze culturali e di orientamento politico delle donne determinarono la difficoltà di agire insieme per l’ottenimento di risultati condivisi.
La trasversalità delle donne è un metodo che ha mantenuto la sua efficacia anche negli anni successivi alla scrittura della Costituzione, nonostante le lacerazioni seguite alle elezioni politiche del 1948 e nonostante la guerra fredda. Questo metodo è stato essenziale per orientare una legislazione ordinaria che accogliesse i principi costituzionali riguardanti le donne.
Quindi, il valore della consapevolezza e il metodo della trasversalità si impongono come categorie di analisi dell’agire politico delle Madri Costituenti e, per molti aspetti, queste due chiavi di lettura consentono di interpretare le battaglie delle donne almeno fino alla fine degli anni 70, quando il femminismo maturo adotta la pratica dell’autocoscienza e conia la categoria della doppia militanza, intendendo con questa definizione la diffusa condizione di contestuale (spesso vivacemente dialettica) di contestuale appartenenza ai partiti e ai movimenti femminili.
Un video documentario molto bello, prodotto negli anni scorsi dall’UDI (Unione Donne Italiane) e intitolato “Il novecento delle donne”, racconta in modo efficace e solidamente ancorato alla storia, l’evoluzione dell’agire politico delle donne: seppure in una logica di mutamento, il valore della consapevolezza e il metodo della trasversalità, nel loro nucleo essenziale, hanno conservato per tanto tempo la loro funzione.
Oggi, che viviamo una fase storica di grave recessione dei diritti, di aumento delle povertà e delle disuguaglianze, di scarso radicamento delle idee, forse l’’esperienza delle Madri Costituenti, così straordinaria per il tempo e per il luogo in cui si è svolta, può ancora insegnare qualcosa; può permetterci di leggere il presente e può consegnarci una speranza per il futuro. Di certo, è molto importante parlarne.

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