Oggi mercoledì 21 marzo 2018
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Ganau, non basta il maquillage a fermare i 5S!
21 Marzo 2018
Andrea Pubusa su Democraziaoggi.
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Ganau, non basta il maquillage a fermare i 5S!
21 Marzo 2018
Andrea Pubusa su Democraziaoggi.
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Sulla tomba di Francesco:
Per vedere l’effetto che fa.
di Gianni Loy
La scena: 300.000 fedeli accalcati lungo il percorso; 160 delegazioni ufficiali, re, principi e capi di Stato in tenuta quasi impeccabile, al seguito di un cerimoniale studiato nei particolari; potenti di tutto il mondo, in tutto il loro splendore, che assistono al rito. Due assenti, per la verità, ché inseguiti dal mandato di cattura di uno strampalato Tribunale penale internazionale, hanno preferito non correre il rischio. Il Ministro della giustizia nostrano, per prudenza, aveva evitato di trasmettere l’ordine agli sbirri, ma ogni caso non si sono presentati: non si sa mai. Alcuni dei potenti approfittavano delle brevi pause della liturgia per scambiarsi qualche territorio, acquistare terre rare, o ritoccare la percentuale dei dazi in entrata. Trump e von der Leyen, taccuino alla mano, si davano appuntamento, in data prossima, per aggiornare le regole del gioco.
Solo che, proprio nel momento di porgere l’ultimo saluto al defunto, prima di rinchiuderlo nel loculo da lui scelto per la sepoltura – forzando usanze e tradizioni tramandate da secoli – sono comparsi quaranta improbabili personaggi che, si capiva subito, non provenivano dai quartieri borghesi della capitale: persone senza fissa dimora, detenuti, donne vittime di tratta, prostitute, transessuali … tutti e quaranta con in mano un rosa bianca.
Il copione prevede che siano loro – mentre i signori e le signore incominciano ad abbandonare il presidio, e già consultano l’ora per il rientro – a dare l’ultimo saluto, a deporre un fiore sulla sua tomba.
Potrebbe sembrare la surreale e provocatoria sceneggiatura di un film di Buñuel, ma non è così. Si tratta dell’ultimo copione scritto da un ex emigrato piemontese (nel senso della sua famiglia) che neppure quando ha raggiunto il massimo della carriera ha voluto cambiare le proprie abitudini, difendendo con forza, alcuni spazi della vita personale e la propria rete di amicizie.
Aveva molti amici, provenienti da differenti classi sociali. Tuttavia, l’interpretazione della scena finale ha voluto affidarla a quelle quaranta, belle, persone che era andato a scovare, o aveva casualmente incontrato, nella nuova città dove era andato a vivere; dove era stato chiamato dallo Spirito Santo, certamente, ma anche grazie alle avemarie che Padre Nicolas recitava e faceva recitare ai fedeli che si affidavano alla sua direzione spirituale, nella casa dei gesuiti di Buenos Aires, alla quinta manzana dell’avenida Callao.
Buñuel avrebbe potuto aggiunge qualche altra scena, come il goffo tentativo di Milei – non riuscito – di introdurre una motosega nel palco riservato alle autorità.
Il defunto, non è la prima volta che accade, ha voluto dettare alcuni aspetti del proprio funerale, come il tragitto lungo le strade di Roma e il luogo della sepoltura, proseguendo nel percorso di progressiva eliminazione delle pompe, avviata già dal Papa buono, un po’ anche da Pio XII, e proseguita con i loro successori.
Possiamo immaginare che l’abbia fatto per ripicca – un piccolo sardonico dispetto – nei confronti di quanti, sin dal primo giorno dell’investitura, cercavano di modificare le sue abitudini e di fargli abbracciare un galateo più consono alla nuova carica.
Solo che quel gesuita, che tanto per incominciare aveva scelto di chiamarsi Francesco, come il poverello, riteneva che non ci fosse ragione alcuna per modificare le abitudini apostoliche praticate a Buenos Aires. Quindi, aveva scelto un alloggio più modesto di quello che gli veniva proposto e aveva rifiutato i calzari rossi.
Che quel sudamericano potesse rappresentare un pericolo per la stabilità del sistema, qualcuno l’aveva intuito, subito incominciando a soffiare sul venticello della calunnia, che ha soffiato sino ad alimentare persino l’iperbole dell’usurpatore, dell’antipapa.
Aveva continuato a frequentare persone emarginate, ad inoltrarsi per le vie di Roma, anche eludendo, beffardamente, l’asfissiante controllo dei guardiani che vigilavano sulla sua sicurezza. A Sergio, – un cartonero, uno dei tanti, famiglie intere, che si guadagnavano la vita raccogliendo carta e cartone tra le montagne di rifiuti che invadevano la città di Buenos Aires – aveva regalato un biglietto aereo per averlo accanto il giorno dell’incoronazione, poi gli aveva battezzato un figlio – di nome Francisco, ovviamente – e l’ha voluto anche al suo funerale.
Francesco, in definitiva, era riuscito a non lasciarsi sopraffare dal ruolo, a mantenere una propria vita personale. E poi, non aveva saltato le pagine del vangelo che parlano di cammelli e di crune dell’ago, e magari, se gli capitava di poter disporre di un edificio, preferiva farne un alloggio per i bisognosi piuttosto che un hotel di lusso.
Credo che avesse anche altre intenzioni, ancor più somiglianti alla radicale dottrina di un suo antico predecessore. Del resto, ciò che andava predicando non era tutta farina del suo sacco, ripeteva parabole già sentite, ripeteva il messaggio di un povero Cristo che prendeva sempre le parti degli emarginati, fossero pubblicani, prostitute, samaritani …. Parabole usurate da un eccesso di interpretazione che, a volte, le hanno annacquate, consentendo ai suoi successori di venire a patti con Costantino – pagandone un prezzo – e di addobbare di troppi orpelli la pietra su cui edificare la memoria di lui. Una credente-non credente, come Giovanna Marini, la definiva pietra “piazzata tra me e lui come una pietra tombale”, Francesco, semplicemente: clericalismo.
Non tutte le intenzioni le ha potute mettere in pratica, perché non era così temerario come a volte dava a vedere; sapeva che anche l’edificio più solido, se sottoposto ad eccessivo stress, potrebbe rompersi.
In ogni caso, è riuscito difendere la sua peculiarità di persona che, prima di tutto, vive le proprie emozioni, le proprie passioni, la sua umanità. Dopo gli ammonimenti contenuti nelle lettere pastorali, nell’ultimo scorcio di tempo, ha voluto, con insistenza, parlarci della sua umanità, della sua famiglia, della sua passione per il tango, della sua squadra del cuore, della passione per il cinema di Fellini, incurante del fatto – ma ne era al corrente – che, almeno in Italia, solo ad entrare in una sala dove si proiettava “La dolce vita” si rischiava l’inferno.
Il cinema, amava il cinema. E non gli difettavano testardaggine, spirito e ironia. Ha incominciato il pontificato rifiutando le scarpe d’ordinanza, e l’ha concluso facendosi seppellire con le scarpe, consunte, di tutti i giorni.
E poi ci ha lasciato quella fantastica scena finale: lo scorrere dei potenti in pompa magna, in mise o in livrea, che assistono al rito – alcuni in tutt’altre faccende affaccendati – e poi l’improvviso irrompere dei servi, dei samaritani, delle prostitute, dei transessuali, dei pubblicani, degli immigrati a lui tanto cari, dei senza tetto, dei lebbrosi. Quaranta in tutto che, con una rosa bianca in mano, lo salutano.
È questo il ricordo che, dopo tanta speranza, di lui mi resta.
Me lo immagino sogghignare, divertito, al vedere l’effetto che fa.
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Conclave: uno dei 135 papabili
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https://www.repubblica.it/cultura/2017/10/13/news/luis_antonio_gokim_tagle_gesu_cristo_era_asiatico_e_con_il_sorriso_tornera_in_cina_-178152984/amp/
- Il cardinale Luis Antonio Tagle
Pubblicato a Cagliari il 3/3/2012
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