Dibattito su reddito di cittadinanza e dintorni

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I fondamenti etico-politico, giuridico-costituzionale ed economico-sociale del “reddito di cittadinanza”

di Gianfranco Sabattini

Il volume “Manifesto sull’uguaglianza” di Luigi Ferrajoli, professore emerito di Filosofia del diritto nell’Università di “Roma Tre”, rappresenta un contributo, oltre che all’approfondimento del “principio di uguaglianza”, anche alla corretta definizione del tanto discusso “reddito di cittadinanza”; Ferrajoli differenzia quest’ultimo da altre forme di reddito di sostegno, per l’impatto che esso, se attuato, potrebbe avere sul piano politico, sociale, economico, nonché su quello costituzionale.
E’ interessante seguire l’analisi svolta in questo “Manifesto”, con particolare riferimento al difficile problema del finanziamento del reddito di cittadinanza; le considerazioni dell’autore sul “costituzionalismo dei beni” suggeriscono una soluzione appropriata, che potrebbe valere a “tranquillizzare” tutti coloro che si dimostrano preoccupati degli esiti economici negativi che potrebbero verificarsi se il finanziamento del reddito di cittadinanza fosse realizzato attraverso l’inasprimento della tassazione.
Quello di uguaglianza – afferma Ferrajoli – “è il principio politico dal quale, direttamente o indirettamente, sono derivabili tutti gli altri principi e valori politici. Esso equivale all’uguale valore associato a tutte le differenze di identità e al disvalore associato alle disuguaglianze nelle condizioni materiali di vita”. Tale principio è il presupposto della solidarietà sociale e, per questo, “è il termine di mediazione delle tre classiche parole della Rivoluzione francese”. La sua mancata attuazione (o, se si vuole, il parziale smantellamento di quanto è stato sinora attuato al riguardo con la costruzione, a partire soprattutto dalla fine del secondo conflitto mondiale, del welfare State) e l’approfondimento delle disuguaglianze già esistenti, causato dall’aumentata globalizzazione delle economie nazionali, anche in quelle ad economia avanzata, sono all’origine “di tutti i problemi che stanno oggi minacciando le nostre democrazie e la convivenza pacifica”.
La crescita delle discriminazioni personali e delle disuguaglianze materiali è dovuta, secondo Ferrajoli, al crollo della politica, per avere “abdicato al suo ruolo di tutela degli interessi generali e di governo dell’economia” e per essersi assoggettata alle leggi del mercato non regolato. Perché, egli si chiede, il principio di uguaglianza è cosi importante da risultare sancito da tutti gli ordinamenti costituzionali avanzati? La risposta del filosofo del diritto è che la ragione è duplice: innanzitutto, perché gli uomini sono “differenti”, nel senso che hanno identità personali diverse; in secondo luogo, perché gli uomini che “vivono insieme” presentano condizioni di vita materiale differenti. Quindi, l’uguaglianza sancita dagli ordinamenti costituzionali è giustificata dal fatto che “siamo differenti e disuguali”, per cui essa corrisponde alla necessità che siano tutelate le differenze personali e contrastate le disuguaglianze materiali.
Infatti, a parere di Ferrajoli, quello di uguaglianza include due principi diversi: da un lato, il principio dell’uguale valore associato a tutte le “differenze che formano l’identità di ciascuna persona”; dall’altro lato, il principio di disvalore associato “alle eccessive disuguaglianze economiche e materiali, dalle quali anche l’uguale valore delle differenze risulta di fatto limitato, o peggio negato”. In entrambi i casi, sostiene il filosofo del diritto, è una ”égalité en droit“, cioè un’uguaglianza stabilita in “punto di diritto”, perché è tramite il diritto che essa viene garantita. Dei due principi di uguaglianza, il più violato allo stato attuale è il secondo (quello dell’uguaglianza sociale e materiale), non solo tra i diversi gruppi sociali all’interno dei singoli Paesi, ma anche tra i diversi Paesi, a livello internazionale.
Le attuali dimensioni della disuguaglianza materiale, che non hanno precedenti nella storia, sono di solito giustificate dall’ideologia neoliberista sulla base di diverse assunzioni prive di fondamento: innanzitutto – si afferma – esse sarebbero una conseguenza delle differenze di merito, per cui la loro conservazione favorirebbe un aumento complessivo dei livelli di benessere e agirebbero come stimolo della crescita economica; infine, non esisterebbero altre politiche alternative a quelle attuali, compatibili con le ferree leggi del marcato. Si tratta di giustificazioni “false”, perché smentite dall’esperienza. Al contrario, quest’ultima evidenzia l’esistenza di una stretta correlazione positiva tra il “grado di uguaglianza sostanziale”, da un lato, e dall’altro, rispettivamente, il “grado di uguaglianza delle differenze personali”, il “grado di democrazia”, il “grado di benessere collettivo” e il “grado di sviluppo dell’economia”.
La prima correlazione (tra il grado di uguaglianza sostanziale e quello di effettiva uguaglianza delle differenze personali) evidenzia, per un verso, che la riduzione della disuguaglianza sostanziale costituisce la condizione necessaria per la salvaguardia del pari valore attribuito a tutte le differenze personali; per un altro verso, che il livello di uguaglianza sostanziale realizzato dipende dal grado di effettiva salvaguardia delle differenze personali, strumentali al perseguimento dei differenti progetti di vita. Tra i diritti sanciti a garanzia dell’uguaglianza sostanziale e quelli posti a garanzia delle differenze personali esiste, pertanto – sostiene Ferrajoli – un rapporto di sinergia, nel senso che l’uguaglianza sostanziale forma il necessario presupposto dell’uguaglianza dei diritti personali; i quali, a loro volta, costituiscono “la necessaria condizione dell’esercizio consapevole dei diritti civili e dei diritti politici”.
La seconda correlazione (tra il grado di uguaglianza sostanziale e quello di democrazia) mostra che l’uguaglianza sostanziale costituisce il presupposto della democrazia, oggi compromessa dalla subalternità della politica alle leggi del mercato senza regole. L’assenza di una sfera pubblica autonoma, capace di regolare gli esiti negativi del libero mercato e delle leggi dell’economia, causa inevitabilmente una concentrazione della ricchezza in chi è già titolare di cospicui patrimoni, cui corrisponde un aumento della povertà di tutti gli altri.
La terza correlazione (tra il grado di uguaglianza sostanziale e quello del benessere collettivo) evidenzia che l’uguaglianza sostanziale costituisce la base per la crescita del benessere collettivo, inteso questo, non solo in termini quantitativi (in termini cioè di crescita della disponibilità pro-capite dei beni prodotti), ma anche in termini qualitativi, di progresso civile generato, oltre che “dalla sicurezza della sopravvivenza, dal senso di appartenenza a una comunità di uguali nei diritti [...] che, grazie al senso e alla percezione dell’uguaglianza, formano il necessario sostegno di qualunque democrazia”.
Infine, la quarta correlazione (tra il grado di uguaglianza sostanziale e quello di sviluppo dell’economia) è la più importante; essa contraddice “in toto” gli assunti dell’ideologia neoliberista, in merito ai vincoli che l’uguaglianza materiale imporrebbe alla crescita economica. La spesa pubblica per finalità sociali non è “solo un costo – dice Ferrajoli -, ma anche una condizione esenziale dello sviluppo, cioè [dell’aumento] della produttività individuale e collettiva”. La spesa pubblica finalizzata alla riduzione della disuguaglianza materiale è infatti “un fattore decisivo della crescita economica”, perché, elevando le condizioni di vita, cresce anche la produttività del lavoro. In assenza della spesa pubblica, crescerebbe la disuguaglianza e con essa la povertà. La condizione per contrastare queste due crescite (della disuguaglianza e della povertà), per Ferraioli, è l’abbandono della tesi ideologica neoliberista, secondo cui al contenimento della spesa pubblica, attuato in funzione dello sviluppo quantitativo e qualitativo, non esisterebbero alternative. Occorre, al contrario, contrastare la disuguaglianza materiale, rimuovendo la povertà attraverso l’introduzione di un “reddito di base”.
Al riguardo – afferma Ferrajoli – si possono distinguere due tipi di reddito idonei a sconfiggere la povertà: il “reddito minimo garantito” e il “reddito di cittadinanza”. Il primo è previsto a favore dei soli bisognosi, previo accertamento della mancata disponibilità dei mezzi, e viene erogato in ossequio al diritto alla vita che, dal punto di vista economico, non elimina per il beneficiario lo stigma dello stato di povertà e della costrizione a sottoporsi a procedure umilianti per acquisire la possibilità di ricevere l’”obolo caritatevole”, sia pure di natura pubblica; inoltre, dal punto di vista sociale, esso non esclude la possibilità del rischio del permanere della povertà, diventando la conservazione di questa, a causa dell’”effetto ricchezza sul reddito”, motivo che può indurre il beneficiario a preferire il reddito minimo garantito, anziché un possibile reddito da lavoro.
La seconda ipotesi di reddito è, secondo Ferrajoli, “ben più radicale e ambiziosa”. Essa comporta l’attribuzione di un reddito di base a tutti (perciò, universale), in modo incondizionato, sganciato da ogni obbligo da parte del beneficiario, nel senso che chi lo riceve non è tenuto ad accettare alcuna condizione o l’obbligo di controprestazioni, perché corrisposto a “garanzia della dignità personale”. Ferrajoli ritiene che la rimozione, attraverso l’erogazione del reddito di cittadinanza, dello stigma dell’essere povero all’interno della società, soprattutto se si tratta di una società economicamente avanzata, abbia un triplice fondamento: etico-politico, giuridico-costituzionale ed economico-sociale.
Sotto l’aspetto etico-politico, il reddito di cittadinanza rappresenta la garanzia della vita contro gli esiti negativi della irrazionalità delle leggi che sottostanno al libero funzionamento del mercato; la “disoccupazione crescente e strutturale” dei moderni sistemi economici non può essere contrastata dalle politiche tradizionali del lavoro.
Sotto l’aspetto giuridico-costituzionale, il reddito di base universale e incondizionato è prescritto dalle Costituzioni moderne, inclusa quella italiana, che prevedono il diritto al mantenimento, per chiunque sia inabile al lavoro e non disponga dei mezzi necessari per vivere.
Infine, sotto l’aspetto economico-sociale, il reddito di base è lo strumento col quale è possibile ridurre la disuguaglianza, come condizione dell’inclusione sociale del beneficiario e dello stabile funzionamento del sistema economico.
I tre fondamenti illustrati, che stanno alla base dell’istituzionalizzazione dell’erogazione di un reddito di cittadinanza universale e incondizionato, a parere di Ferrajoli, sono giustificati da diverse ragioni. In primo luogo, l’erogazione di un reddito di base, o di dignità personale, si “accorda con il costituzionalismo” delle democrazie avanzate; in secondo luogo, tale erogazione è affrancata da ogni “connotato caritatevole ed assistenziale”, presente invece nelle prestazioni erogate dall’attuale welfare State; in terzo luogo, l’assegnazione di un reddito di garanzia personale, operando “ope legis”, elimina la mediazione burocratica, partitica e sindacale; infine, l’istituzionalizzazione di un reddito di base universale e incondizionato, determina la necessità di una profonda revisione del welfare State, “sviluppatosi fino ad oggi in forme prevalentemente burocratiche e assistenziali, all’insegna della trasparenza, dell’uguaglianza, dell’universalismo dei diritti e della loro garanzia automatica ex lege”.
Sinora, l’introduzione in Italia del reddito di cittadinanza è stata contrastata anche dai sindacati e dalle forze di sinistra per due ordini di motivi, espressi da una superata ideologia lavorista e dalla presunta indisponibilità delle risorse necessarie a garantirne l’erogazione. Le tesi dell’ideologia lavorista devono essere superate, non solo perché non più rispondenti alle modalità di funzionamento dei moderni sistemi economici ad economia di mercato, ma anche perché il reddito di base non è affatto in contrasto – osserva Ferrajoli – con il valore associato al lavoro, così come indicato all’articolo uno della Costituzione; il reddito di base è infatti lo strumento – egli dice – posto a presidio del “principio che fa del lavoro un fondamento della Repubblica. [...] Non certo sul lavoro come merce, bensì sul lavoro come autodeterminazione e sviluppo della persona, e perciò come espressione delle sue capacità e fattore di realizzazione personale e sociale”.
L’importanza del “Manifesto” di Ferrajoli sta anche nella dimostrazione di quanto sia fuorviante la tesi secondo cui l’istituzionalizzazione del reddito di base sarebbe impossibile a causa dell’insufficienza delle risorse disponibili, in quanto sarebbe impensabile poterle reperite attraverso una maggiore tassazione. A parte l’autofinanziamento, realizzabile attraverso una necessaria riforma dei meccanismi ridistributivi del prodotto sociale e del welfare State tradizionale, è rilevante ciò che Ferrajoli indica come possibile fonte di risorse la necessità di un riordino giuridico dei beni pubblici, fondato sulla distinzione al loro interno della funzione e del ruolo di quelli “fondamentali” e di quelli “patrimoniali”: i primi (i beni comuni) destinati al soddisfacimento dei diritti fondamentali delle persone e, in quanto tali, da sottrarre alle logiche di mercato; i secondi, in quanto di proprietà pubblica (e, dunque, acquisiti dallo Stato con il contributo di tutti) esitabili, ma non trasferibili, sul mercato, non per destinare le rendite alla copertura delle “esigenze di cassa” delle maggioranze politiche di turno, ma per la costituzione di un “fondo” da utilizzare come ulteriore finanziamento del reddito di cittadinanza universale e incondizionato.
Il discorso di Ferrajoli merita attenzione, perché spesso, nel dibattito politico corrente, le critiche portate contro la fattibilità del reddito di cittadinanza sono fuorvianti, in quanto riferibili, quasi sempre, a un reddito di sostegno alla vita che non ha i caratteri dell’universalità e dell’incondizionalità; gli unici, questi caratteri, che assegnano al reddito di cittadinanza il triplice fondamento etico-politico, giuridico-costituzionale ed economico-sociale, come chiaramente emerge dalle puntuali considerazioni formulate da Ferrajoli.
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