Non si affatto esaurito l’effetto propulsivo delle teorie di Karl Marx, se liberate da ogni dogmatismo e da pretese ortodossie

marx-family_and_engels
Karl Marx (1818-1883): pensiero e azione per cambiare il mondo
di Pietro Maurandi*

Il cinque maggio cade il duecentesimo anniversario della nascita di Marx, colui che probabilmente ha più influenzato la filosofia, l’economia, la politica del mondo contemporaneo.
Marx era nato nel 1818 a Treviri, in Prussia, da una famiglia agiata di origine ebraica, si era laureato in filosofia nel 1841. Perseguitato per i suoi articoli, era stato costretto a lasciare la Germania per rifugiarsi prima a Parigi, poi a Bruxelles, e infine a Londra, dove resterà per tutta la vita. Strinse amicizia con Friedrich Engels, figlio di un industriale tedesco con interessi in Gran Bretagna. Con lui iniziò una stretta collaborazione che durerà per tutta la vita, come il sostegno materiale che l’amico gli fornirà. Nel 1848 scrivono insieme un documento per la Lega dei Comunisti: è il Manifesto del partito comunista, il pamphlet politico che più ha influenzato la storia del mondo.
Nella biblioteca del British Museum, Marx studia l’economia politica. Frutto di questi studi è Per la critica dell’economia politica del 1859, e Il Capitale, che porta come sottotitolo Critica dell’economia politica. Nel 1867 esce il primo libro, l’unico pubblicato con Marx vivo. La stesura del secondo libro alla morte di Marx è completa ma non pronta per la stampa, il terzo libro è in una stesura non definitiva ed è incompiuto; il manoscritto si interrompe dopo poche righe del cinquantaduesimo capitolo, intitolato Le classi.
La teoria economica di Marx si può esporre partendo dalla seguente domanda: nella società borghese, in cui gli uomini sono uguali e il lavoro è libero, esiste lo sfruttamento? La risposta di Marx è positiva e l’intera sua teoria economica è rivolta a spiegare i processi di trasformazione attraverso i quali una realtà semplice e immediata offusca una realtà complessa e meno percepibile; ciò richiede l’adozione di un apparato analitico, la critica dell’economia politica. Una scienza critica perché supera i limiti teorici dell’economia politica e perché penetra la vera natura del capitalismo. La trasformazione del lavoro sfruttato in lavoro libero è quindi la risultante di numerosi processi di trasformazione: del lavoro concreto in lavoro astratto, dei valori in prezzi, del plusvalore in profitto, dei prodotti in merci, dei rapporti fra gli uomini in rapporti fra le cose.
L’origine dello sfruttamento sta, secondo Marx, nella natura di una merce particolare, la forza lavoro, venduta dal lavoratore e comprata dal capitalista. Il suo valore di scambio è inferiore al suo valore d’uso. La differenza, cioè il plusvalore, va al capitalista e rappresenta appunto lo sfruttamento,
La teoria del valore lavoro, secondo cui il valore di una merce è dato dalla quantità di lavoro impiegato per produrla, solleva immediatamente una serie di problemi, che Marx cercò di spiegare, ma in termini non soddisfacenti
Si aprì così la questione se e in quale misura la teoria dello sfruttamento fosse coinvolta nelle difficoltà incontrate dalla teoria del valore lavoro. In questa discussione si assiste a un ampio spettro di posizioni: dal rifiuto della teoria dello sfruttamento come conseguenza del fallimento della teoria del valore lavoro, all’idea di separare nettamente la teoria dello sfruttamento dalla teoria del valore.
Sotto diversi aspetti l’interpretazione del pensiero di Marx si presta a conclusioni contrastanti, dovute sia al fatto che Il Capitale è un’opera incompiuta, sia alle forti implicazioni sociali e politiche che ogni aspetto della teoria di Marx comporta. In particolare la discussione si accese, con toni a volte dogmatici e faziosi, sulla questione della fine del capitalismo, se essa fosse da intendere come l’effetto di trasformazioni ed evoluzioni intrinseche o invece il risultato dell’intensificarsi della lotta di classe..
Quello che sembra chiaro è che Marx non intendesse tanto occuparsi delle modalità della fine del capitalismo, su cui peraltro non aveva dubbi, ma volesse analizzare i caratteri delle trasformazioni cui il sistema è esposto.
Espansione e crisi si susseguono, sfociando in processi di concentrazione che trasformano il capitalismo da concorrenziale in monopolistico e nel dominio del capitale finanziario sul capitale industriale, con crisi sempre più frequenti e profonde. Fenomeni contradditori, che evidenziano processi di trasformazione e di impoverimento generale e che presentano la concentrazione di ricchezza come un processo di sviluppo ordinato e progressivo.
Così intesa, la teoria di Marx è esente da profezie sul futuro; liberata da dispute dottrinarie e da interpretazioni dogmatiche, resta un potente strumento di analisi per comprendere i processi che investono la struttura e la dinamica dell’economia capitalistica, un sistema che ha mostrato più vitalità di quanto Marx avesse immaginato.
Nonostante le difficoltà e i problemi che la sua teoria presenta, per potenza di visione e per profondità analitica Marx non ebbe rivali nella sua epoca e ne ebbe pochi in altre. Le sue idee ispirarono grandi movimenti e non c’è dubbio che, liberate da ogni dogmatismo e da pretese ortodossie, abbiano ancora molte cose da dire per chi vuole cambiare il mondo.
———
*Pietro Maurandi (5 maggio 2018, su fb)
————————–
karl_marxgramsci
Rifondare il pensiero di sinistra? Riscopriamo Marx e Gramsci
di Andrea Pubusa, su Democraziaoggi e su Aladinews.

Nel bicentenario della nascita di Karl Marx voglio sommessamente rendergli omaggio con una mia riflessione di 10 anni or sono su questo blog intervenendo in un dibattito incentrato su un quesito: su quali idee forza costruire una sinistra in Italia? I contributi muovevano da un assunto, e cioè la critica alla propensione statalista della sinistra nelle forme in cui si è manifestata storicamente sia nella versione socialista sia in quella comunista.
Sulla questione balza agli occhi un paradosso. Il pensiero di sinistra e socialista è nato in molte delle sue correnti principali (non solo nella versione anarchica) con una propensione dichiaratamente antistatalista per poi inverarsi, nel Novecento, nel suo esatto contrario. Ma è proprio qui che bisogna dar fondo alla memoria. Ad esempio, una delle lezioni più dimenticate di Marx è proprio questa: la sua critica radicale allo Stato e la sua ferma convinzione che la democrazia avanza proporzionalmente alla sua regressione fino a dispiegarsi pienamente con la sua estinzione. Ed, in effetti, l’alto tasso di verità di questa impostazione lo cogliamo analizzando l’esperienza del comunismo reale, proprio con gli occhi del barbuto di Treviri. Una gigantesca e pervasiva macchina statale, creata per soddisfare i bisogni delle masse, diventa ben presto uno strumento poco efficiente nell’erogare prestazioni e un apparato di repressione anziché di liberazione.
Dunque, la critica allo statalismo, oggi appannaggio dei neocons e delle destre, in realtà è stata una delle armi del pensiero della sinistra. Certamente – come molti hanno autorevolmente notato – Marx non ha sviluppato una teoria dello Stato; non ci ha detto quale Stato avrebbe voluto. Ma in realtà – a ben vedere – l’obiezione nasconde una intima incomprensione del pensiero dell’esule tedesco. Proprio perché Marx si piccava di non essere un utopista non si è mai avventurato nella costruzione di una società ideale: non era “marxista”, così come non lo era abbozzare comunque i lineamenti di uno Stato, posto che per Marx la democrazia compiuta era pensabile solo con la scomparsa di un apparato distinto e sovrapposto ai cittadini.
E se qualcuno ha la curiosità di rivedersi le riflessioni acutissime che Marx fece sulla Comune di Parigi, si renderà conto che gli aspetti che più lo colpiscono sono quelli volti ad eliminare i corpi tradizionali dello Stato per riassorbirli nella società, per rimetterli in mano ai cittadini: l’esercito è così sostituito dai comunardi in armi; i burocrati e i magistrati di carriera da funzionari elettivi e revocabili e senza stipendi di favore (pagati come gli operai); anche per i parlamentari s’ipotizza il vincolo di mandato e la revoca. La critica è tagliente e vale anche oggi: la democrazia non si esercita ogni cinque anni e solo nelle urne; postula un esercizio continuo. Lo Stato ha poi una struttura decisamente federalista, con un forte tasso di sussidiarietà dal basso.
Ma perché questa rilettura di un classico ora un può demodé? Perché in effetti in esso c’è una preziosa indicazione di un possibile approccio per la ricostruzione di un pensiero di sinistra. E cioè partire dall’idea che una spinta egualitaria non solo non cozza, ma ha come indefettibile fattore propulsivo l’estensione della democrazia e che il suo realizzarsi sposta a livello sociale pezzi di potere dello Stato del Welfare e contende le decisioni ai grandi gruppi economici del super capitalismo odierno. Insomma, il punto di partenza dev’essere la persona e le formazioni sociali in cui essa si realizza. Ecco che così l’individuo e i gruppi sociali non sono solo i destinatari di erogazioni e prestazioni dello Stato, ma divengono loro stessi gli attori del loro benessere e della loro eguaglianza. Questo sembra ad esempio il filo seguito da Zapatero nella nuova legge sull’amministrazione digitale (ossia sulla nuova amministrazione), dove il punto di riferimento è il cittadino e non l’amministrazione; contrariamente a quanto tradizionalmente si fa quando si pensa alla riforma della macchina burocratica, nella quale il soggetto è sempre la macchina stessa e non i cittadini che devono guidarla e servirsene. In parte è così anche nella nostra, pur importantissima, legge 241/1990.
Anche sull’eguaglianza ex ante ed ex post vedo una forzatura: se i due momenti sono scissi, è difficile ipotizzare l’eguaglianza dei punti di partenza che presuppongono l’esistenza di un sistema di regole e di mezzi che l’abbiano realizzata, ossia di una forma di eguaglianza ex post base di partenza per una eguaglianza ex ante. Mi pare che i due elementi stiano fra loro in un inscindibile nesso dialettico. Pertanto penso alla uguaglianza e alla libertà come ad un moto perenne libertà – uguaglianza, libertà – uguaglianza- libertà e così in eterno. Si supera in questomodo l’astrattezza di una pura eguaglianza ex ante che non sia l’esito di un’eguaglianza ex post e, nel contempo, l’idea tanto nefasta di pensare ai cittadini come meri e passivi destinatari di un’eguaglianza propinata da altri, il partito o l’amministrazione, che finisce sempre per creare nuove sudditanze e nuovi autoritarismi, e dunque un’odiosa nuova disuguaglianza (il comunismo reale docet; ma non sono da meno certe forme di Welfare inefficace, sprecone e clientelare).
E l’uso della forza? Qui il riferimento a Gramsci è d’obbligo. Il pensatore sardo è forse quello che più ha interpretato creativamente il marxismo, poiché ha tolto dal conflitto (pur sempre necessario) il terribile volto delle armi per ricondurlo a quello delle idee. E’ l’egemonia culturale a creare la forza politica necessaria ai processi di riforma democratica. E quanto sia vera e utile questa “pensata” lo vediamo oggi paradossalmente a nostre spese: abbandonata dalla sinistra anche italiana la teoria dell’egemonia è coscientemente applicata dagli intellettuali neocons che su di essa hanno fondato e fondano la vittoria del neoliberismo. Anche l’idea che il conflitto sia obsoleto, in fondo, è una forma di egemonia del supercapitalismo attuale sulle forze democratiche e del lavoro. In casa nostra anche il berlusconismo è una forma di egemonia culturale e lo si vede bene oggi, ch’esso pervade anche larghi strati della “opposizione”. Il veltronismo ne è una versione più evidente, anche quando ipotizza più la collaborazione come motore della storia che il conflitto.
In conclusione, oggi, come nell’Ottocento di Marx e nel Novecento di Gramsci, il punto di partenza e di arrivo è la battaglia democratica, che spezza e ridimensiona lo Stato come escrescenza repressiva o compressiva, anche quando sembra soddisfare diritti. In questa rifondazione del pensiero e dell’azione della sinistra forse un ancoraggio sicuro c’è già, e sta nella nostra Costituzione, che certo và reinterpretata e aggiornata, ma alla luce di quella dialettica fondamentale fra art. 1 (sovranità popolare, democraticità dell’ordinamento e lavoro), art. 2 (diritto inviolabili, dell’individuo e delle formazioni sociali), e art. 3 (eguaglianza finalizzata alla partecipazione dei lavoratori all’organizzazione sociale, economica e politica del Paese e partecipazione finalizzata a nuovi livelli di eguaglianza). Riscopriamo la passione di alimentare il moto perpetuo libertà-eguaglianza!

————————————–
engels
Approfondimenti in particolare su Engels

One Response to Non si affatto esaurito l’effetto propulsivo delle teorie di Karl Marx, se liberate da ogni dogmatismo e da pretese ortodossie

  1. […] e azione per cambiare il mondo. Rifondare il pensiero di sinistra? Riscopriamo Marx e Gramsci. Interventi di Pietro Maurandi e Andrea Pubusa. […]

Lascia un Commento

L'indirizzo email non verrà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

*

È possibile utilizzare questi tag ed attributi XHTML: <a href="" title=""> <abbr title=""> <acronym title=""> <b> <blockquote cite=""> <cite> <code> <del datetime=""> <em> <i> <q cite=""> <strike> <strong>