DIBATTITO. POLITICA ITALIANA: il contratto gialloverde

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di Roberta Carlini, su Rocca

Un programma non è ancora un governo, così come un elenco della spesa non è ancora la pietanza finale che arriverà poi a tavola. Ma di certo è una visione del mondo, di fronte alla quale – tutti – gli italiani che l’hanno votata, e quelli che non l’hanno fatto – devono chiedersi: è quello che vogliamo per il nostro futuro? Dunque, è bene entrarci dentro, superando la stanchezza per il lunghissimo e farsesco processo di formazione del programma (e dell’eventuale governo) e lo scetticismo sulla concreta realizzabilità del «cambiamento» promesso nel contratto firmato, con tanto di autenticazione delle firme (come se ci fossero dubbi sull’identità dei firmatari). A partire proprio dalla formula scelta: quella del contratto, che richiama a impegni individuali e sanzioni in caso di inadempienza, come un commercio privato tra un «Capo Politico» e un «Segretario» che detta le sue forme alla programmazione pubblica. Sancendo così che, nella crisi di fiducia generalizzata che ha investito la politica nel mondo e in particolare in Italia, la vera vittima sia la dimensione pubblica della vita, con i suoi riti e le sue formule legate alla concezione novecentesca della democrazia.

il reddito di cittadinza (solo per gli italiani)
Ma entriamo nei contenuti. Nella fusione a freddo tra un partito storico dall’identità politica precisa di destra – la Lega, non più connotata dalla collocazione geografica a Nord ma precisamente individuata dal suo slogan «Prima gli italiani» – e un movimento giovane che si autodefiniva né-di-destra-né-di-sinistra, senza valori portanti se non quelli della onestà e della democrazia diretta, ha vinto la prima. Non perché i Cinque Stelle abbiano dovuto rinunciare alla loro bandiera, il reddito di cittadinanza, considerata una misura sociale e dunque in grado di intercettare il disagio e il consenso della parte precarizzata e martoriata della popolazione. Il fatto è che l’hanno dovuto dettagliare, un po’ di più di quanto non fosse stato fatto in campagna elettorale. Sarà un sostegno economico dato a chi è a rischio di povertà (non si specifica la soglia, ma si può intuire che sarà un po’ più alta di quella che dà accesso all’attuale Rei, reddito di inclusione attiva) e sarà condizionato alla disponibilità a lavorare: chi entra nel programma deve accettare il lavoro che gli propongono i Centri per l’impiego, pena l’esclusione dall’assistenza al terzo rifiuto in due anni. Il «reddito di cittadinanza», nella formulazione utopica che è anche quella letterale della proposta, è invece un sostegno di base per tutti, universale e incondizionato. Quello che hanno proposto i Cinque Stelle, e che è entrato nell’accordo con Salvini, è selettivo e condizionato; e soprattutto la «condizione» ha bisogno, per essere attuata e verificata, di Centri per l’impiego funzionanti. Problema enorme, visto lo stato dei Centri in quasi tutto il nostro Paese: ma si tratta di un problema che caratterizza anche lo stesso Rei, e che può essere superato con tempo e costanza, e molti fondi, dalla riforma dell’amministrazione. Quel che davvero differenzia il reddito di Di Maio-Salvini dal Rei è la nazionalità dei destinatari: solo «cittadini italiani», è scritto nel programma, laddove del Rei beneficiano anche gli stranieri lungosoggiornanti. Ma non è detto che l’esclusione di persone che lavorano e pagano le tasse nel nostro Paese regga a una verifica di costituzionalità.

la flat tax (per ricchi)
Dunque, il programma Lega-M5S prevede un’assistenza per gli italiani poveri, legata a condizioni di molto difficile verifica e realizzazione, e – come altre parti del programma – non stanzia soldi per farvi fronte. Dall’altra parte della scala sociale, per i più benestanti, c’è un sostegno ben più forte: l’enorme beneficio fiscale della «flat tax», che non è più piatta bensì a due aliquote, e calmierata da un sistema di deduzioni fisse, ma ciononostante mantiene la sua impronta regressiva, nel senso che beneficia in misura crescente chi ha di più. Chi ha un reddito famigliare sotto gli 80.000 euro l’anno pagherà un’aliquota del 15%, chi è sopra pagherà il 20%. Il risparmio, per una famiglia con due redditi da 80.000 euro l’anno complessivi e due figli, sarà di circa 9.000 euro l’anno; per chi invece sta sui 40.000 euro sarà di circa 250 euro l’anno; chi sta ancora più sotto andrebbe a perderci, e resterà in pari solo perché si prevede che scatti la clausola del trattamento più favorevole (cioè si applicheranno le regole pre-riforma). Questi calcoli, fatti dagli economisti Massimo Baldini e Leonzio Rizzo su lavoce.info, dimostrano che la flat tax premia i più ricchi, e di molto. Così come saranno premiati dalla flat tax societaria al 15% i profitti d’impresa. Nell’insieme, la riduzione delle imposte sui redditi più alti e sui profitti delle società che esce dal contratto Di Maio-Salvini è molto simile alla riforma fiscale di Trump. E come quest’ultima conta sull’effetto della riduzione delle tasse per auto-finanziarsi: ossia si pensa, o si spera, che l’alleggerimento delle tasse sui ricchi comporterà di per sé uno stimolo all’economia che a sua volta farà crescere redditi e futuro gettito. Un’attesa messianica del miracolo; qualora questo non arrivasse, il finanziamento – dopo il primo anno, per il quale si conta su un condono per il passato – sarebbe in deficit, ossia in tasse future che prima o poi qualcuno dovrà innalzare.
Perché lo fanno? Negli anni Ottanta, quando dall’America di Reagan e dall’Inghilterra di Thatcher arrivò la stessa ricetta, il messaggio era chiaro: «affamare lo Stato», costringerlo a dimagrire e tagliare la spesa sociale, rimettere in discussione il patto sociale costruito dal Dopoguerra, liberare l’economia e il mercato dalla presenza pubblica. C’era un’ideologia, dietro, e c’erano degli interessi. Adesso, in Italia, qual è l’ideologia che sorregge il nuovo contratto fiscale? Le parole d’ordine richiamano quelle del passato, ma il mondo non è quello degli anni Ottanta. Allora la visione era «arricchitevi», adesso è «evitiamo di impoverirci». E a spedire i due contraenti alla guida della nuova era fiscale è stato uno strano mix tra Nord benestante e arrabbiato, Sud disoccupato, e – soprattutto – un popolo precario impaurito e incerto, da Nord a Sud, dalle metropoli alle province, dai vecchi ai giovani.

la paura che si fa rabbia
Precarietà, paura e incertezza potranno avere mai una soluzione dalla ricetta magica che promette meno tasse per tutti e poi di fatto le riduce solo ai ricchi, per di più aumentando il peso del debito futuro? La risposta è certamente negativa, ma il dubbio è sul tempo necessario all’elettorato per accorgersene. Intanto, precarietà paura e incertezza caratterizzano tutte le altre parti del contratto politico tra Lega e Cinque Stelle. Nel quale l’altro tema forte è la lotta all’immigrazione, o – chiamando le cose con il loro nome – agli immigrati. A parole la guerra è all’immigrazione illegale: ma, come si è visto a proposito del nuovo reddito per i poveri, si comincia con il togliere i diritti a quelli legali (si parla anche di dare nuovi aiuti per gli asili nido solo ai bambini italiani).
La paura domina anche la parte più dettagliata del programma, quella sulla sicurezza, i reati, le carceri: allargare la legittima difesa togliendo il vincolo della proporzionalità tra l’offesa e la reazione, aumentare le pene per i reati come furto e rapine, bloccare le misure per ridurre la popolazione carceraria e costruire nuove galere, cancellare le misure specifiche per le devianze sociali dei più giovani, chiudendo in carcere tutti. La paura, per quanto giustificata, si fa rabbia e la rabbia cerca un obiettivo contro il quale sfogarsi. È una società triste, incattivita e cupa quella che traspare dal contratto che una quindicina di uomini (c’era una sola donna al tavolo) ha scritto in stanze segrete, e che si avvia a diventare programma di governo. L’unica speranza è che tutto esca alla luce del sole, e questa aiuti tutti a vedere meglio e anche a preparare una visione diversa di futuro.

Roberta Carlini
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19. REDDITO DI CITTADINANZA E PENSIONE DI CITTADINANZA
Reddito di cittadinanza
Il reddito di cittadinanza è una misura attiva rivolta ai cittadini italiani al fine di reinserirli nella vita sociale e lavorativa del Paese. Garantisce la dignità̀ dell’individuo e funge da volano per esprimere le potenzialità lavorative del nostro Paese, favorendo la crescita occupazionale ed economica. La misura si configura come uno strumento di sostegno al reddito per i cittadini italiani che versano in condizione di bisogno; l’ammontare dell’erogazione è stabilito in base alla soglia di rischio di povertà calcolata sia per il reddito che per il patrimonio. L’ammontare è fissato in 780,00 Euro mensili per persona singola, parametrato sulla base della scala OCSE per nuclei familiari più numerosi. Al fine di consentire il reinserimento del cittadino nel mondo del lavoro, l’erogazione del reddito di cittadinanza presuppone un impegno attivo del beneficiario che dovrà aderire alle offerte di lavoro provenienti dai centri dell’impiego (massimo tre proposte nell’arco temporale di due anni), con decadenza dal beneficio in caso di rifiuto allo svolgimento dell’attività lavorativa richiesta. La misura si basa su due direttrici guida che sono da un lato la tipologia di professionalità del lavoratore in questione e dall’altro la sinergia con la strategia di sviluppo economico mirato all’obiettivo della piena occupazione, innescata dalle politiche industriali volte a riconvertire i settori produttivi, così da sviluppare la necessaria innovazione per raggiungere uno sviluppo di qualità. Tale percorso prevede un investimento di 2 miliardi di euro per la riorganizzazione e il potenziamento dei centri per l’impiego che fungeranno da catalizzatore e riconversione lavorativa dei lavoratori che si trovano momentaneamente in stato di disoccupazione. La pianificazione di un potenziamento generale di tutti i centri per l’impiego sul territorio nazionale è finalizzata a: incrementare la presenza, efficienza e qualità dei servizi per l’impiego; identificare e definire idonei standard di prestazione dei servizi da erogare; adeguare i livelli formativi del personale operante. Andrà avviato un dialogo nelle sedi comunitarie al fine di applicare il provvedimento A8-0292/2017 approvato dal Parlamento europeo lo scorso 6 ottobre 2017, che garantirebbe l’utilizzo del 20% della dotazione complessiva del Fondo Sociale Europeo (FSE) per istituire un reddito di cittadinanza anche in Italia (unico paese europeo oltre la Grecia a non prevedere tale misura), anche invitando la Commissione europea a monitorare specificamente l’utilizzo del FSE per la lotta alla povertà e all’esclusione sociale.
Pensione di cittadinanza
È necessario assegnare una pensione di cittadinanza a chi vive sotto la soglia minima di povertà. La nostra proposta è rappresentata da un’integrazione per un pensionato che ha un assegno inferiore ai 780,00 euro mensili, secondo i medesimi parametri previsti per il reddito di cittadinanza.

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