La vita di ciascun essere umano e dell’umanità nel suo complesso deve potersi svolgere in totale equilibrio con le risorse naturali che riceviamo alla nostra nascita e che abbiamo il dovere di trasmettere senza degrado alle generazioni che verranno dopo di noi

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L’enciclica Laudato Sì’
Un punto di vista laico alla luce della natura intesa come casa comune.

di Fernando Codonesu

La lettura dell’enciclica “Laudato Sì’”, per un laico costituisce un banco di prova e un grande stimolo al confronto. Intanto va salutata innegabilmente come un approdo felice all’ecologia e alla tutela dell’ambiente e più in generale della Terra considerata come la nostra casa comune che, oggi più che mai, sta attraversando una fase di pericolo che rischia di mettere definitivamente fine alla maggior parte degli ecosistemi presenti nelle diverse latitudini del pianeta.
E’ un pericolo, quello che si sta vivendo, che è il portato dell’antropocentrismo esasperato e delle modalità in cui l’homo sapiens ha caratterizzato le varie fasi della sua conquista e di espansione su tutto il pianeta con la distruzione di intere specie, a partire dai progenitori neanderthaliani, e di interi ecosistemi. Si stima che degli ecosistemi creati sulla terra a partire dagli albori della comparsa delle prime forme di vita, oggi il 50% non esista più, il 47% risulta fortemente compromesso ed appena il 3% viene ancora ritenuto integro.
Ora, se i dati sono questi, si potrebbe obiettare che la traiettoria dell’autodistruzione di gran parte dell’umanità sia tracciata e su questa constatazione si può sicuramente convenire. Ciò nonostante non va ritenuta irreversibile, purché ci sia una grande alleanza tra gli esseri umani volta alla “custodia e coltivazione” del bene comune e su questo un contributo importante può essere dato oltre che dai vari attori laici, organizzazioni locali, nazionali e sovranazionali, anche dalle grandi religioni, tra queste sicuramente la religione cattolica proprio a partire dalla recente enciclica Laudato Sì’ di Papa Francesco.
Il presupposto nel considerare qualunque pensiero umano da qualunque fonte provenga, compreso un pensiero alto come quello rappresentato da un’enciclica papale, è quello di considerarlo un “punto di vista” e come tale può essere discusso e criticato in qualche punto e talvolta anche nel suo impianto generale. Nel caso specifico, va detto che salvo i riferimenti alla fede e a Dio che necessariamente devono essere presenti nel magistero della Chiesa e a maggior ragione in quello del Papa, elementi questi che vanno rispettati in quanto tali, in tutti i contenuti esposti nell’enciclica che trattano dell’ambiente e della necessità di un’ecologia integrale, è ben tracciato ed evidente un terreno di lavoro e di azione comuni tra credenti e non credenti per i prossimi anni a venire.
Certo, l’enciclica dimentica di dire che la stessa Chiesa cattolica e altre grandi religioni monoteiste hanno avuto un ruolo storico più che dimostrato nella centralità dell’uomo come “dominatore” della natura, con grave nocumento e danno delle altre specie presenti sulla terra e di quanto successo nella storia dell’uomo e del suo sviluppo economico e sociale, con il dominio interspecie, oltre che infraspecie, attraverso i noti conflitti e varie dominazioni documentati dalla storia, per intenderci tutti gli eventi storici che hanno portato al dominio di uomini su altri uomini, spesso realizzati con la croce in una mano e la spada nell’altra.
D’altronde, così come accade per i tre verbi dominare, custodire, coltivare, riportati nella Genesi di cui spesso si dimentica il primo, va detto che anche le tre grandi parole della rivoluzione francese libertà, uguaglianza, fraternità, che da oltre due secoli guidano l’agire di molta parte dell’umanità, a partire dagli Stati occidentali, la terza, la fraternità più che trascurata, spesso viene dimenticata, se non cancellata del tutto.
Sono convinto che sia caratteristica dell’uomo, in tutti i ruoli ricoperti durante la propria esistenza, utilizzare solo una parte delle cose e dei riferimenti ideali tramandati, in genere il più vicino al proprio agire, il più utile come giustificazione di ciò che si pensa, di ciò che si è, di ciò che si fa.
Poiché ognuno di noi si rapporta al mondo con il proprio punto di vista, va detto che il punto di vista di un laico riguarda il ruolo della scienza nella comprensione della natura, della struttura intima della materia, dell’infinitamente grande e dell’infinitamente piccolo, con la consapevolezza che la scienza è il faro che oggi illumina il buio e l’ignoranza di ieri e ci può permettere domani di illuminare il buio e l’ignoranza di oggi. In poche parole, ciò che oggi non comprendiamo o non comprendiamo del tutto, grazie al metodologia della scienza e all’evidenza sperimentale, può essere compreso domani.
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Allora, anziché prendere in considerazione i vari aspetti dell’enciclica che, qui si ripete, deve essere considerata come una pietra miliare della consapevolezza umana sulla responsabilità che ciascuno di noi deve sentire nella cura dell’ambiente in cui viviamo, alla pari se non di più dell’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile deliberata dalla Nazioni Unite, qui mi interessa fare una semplice considerazione sul ruolo degli uomini sulla terra, prendendo spunto innanzitutto da due citazioni.
Nel secondo libro dei madrigali a cinque voci di Claudio Monteverdi, Venezia 1590, su testo di Torquato Tasso, in un verso di Dolcemente dormiva la mia Clori, si fa riferimento al tempo come segue: “tempo perduto non s’acquista mai”. Nell’enciclica Laudato Sì’ di Papa Francesco, dedicata all’ambiente come casa comune di tutti gli uomini e non solo, nel punto 178, afferente a “Il dialogo verso nuove politiche nazionali e locali”, a proposito del tempo, riprendendo una citazione dell’Evangelii gaudium si legge “Si dimentica così che il tempo è superiore allo spazio”, un concetto, questo, che alla luce della fisica moderna appare come una contraddizione in termini in quanto lo si mette in relazione al concetto di spazio come entità a sé stante, in quanto entità differenti tra loro. Oltre un secolo fa, Albert Einstein ci ha fatto capire che spazio e tempo non esistono separatamente, ma sono un tutt’uno che chiamiamo “spazio-tempo”, per cui possiamo dire che la limitatezza del tempo, anche se rapportato alle sensazioni, pensieri e azioni dell’uomo, è sempre accompagnata dalla proporzionale limitatezza dello spazio. Ciò è tanto più vero se si ragiona alla luce delle ultime teorie che indagano sugli spazi infinitamente grandi e sulla struttura infinitesimale della materia, l’astrofisica da un lato e la fisica delle particelle dall’altra, con particolare riferimento alla meccanica quantistica e alla gravità quantistica, con le ultime evidenze sperimentali che, ancorché parziali, sono molto incoraggianti nei confronti delle ultime conquiste della scienza nella comprensione della materia. Lo spazio-tempo è creato e definito punto per punto dalle masse che vi gravitano dentro, si tratti di particelle, pianeti, stelle, galassie o quanto altro.
Il fisico Carlo Revelli nel libro “La realtà non è come ci appare” (ed. Cortina, 2014) ci ricorda che alla scala della lunghezza di Planck, cioè per numeri estremamente piccoli, lo spazio e il tempo cambiano natura e diventano “spazio e tempo quantistici” per i quali non è mai possibile che li si possa determinare separatamente, come ci insegna il principio di indeterminazione di Heisenberg. In poche parole più si è precisi nel misurare la posizione di una particella, più tale particella si allontana dall’osservatore e ciò accade perché è dotata di una grande energia. Tale energia, per la teoria della relatività di Einstein, fa incurvare lo spazio. Lo spazio senza tempo, perciò, non esiste e se si concentra troppa energia in uno spazio piccolo, il risultato è che tale spazio si può curvare così tanto da diventare un buco nero e la particella che vi sprofonda diventa invisibile. Se la particella non c’è più, non ne individuiamo la posizione e ciò ci impedisce anche di vedere il “suo spazio”. Il “molto tempo” riportato nell’enciclica o il “tempo perduto” del Tasso, perciò, di fatto non esistono senza lo spazio che, a sua volta è tanto o poco perché fa parte della stessa trama spazio temporale determinata dalle masse che vi gravitano.
Ma torniamo al nostro vivere nel mondo percepito dai nostri sensi. Intanto noi esseri umani pensiamo e viviamo sempre il presente. Per l’essere umano il futuro che siamo capaci di pensare viene sempre vissuto al presente. Un presente che si sostanzia di ricordi (passato) e di attese (futuro), ma sempre vissuto al presente. Il nostro tempo, perciò, è per noi la nostra eternità. Qui torna utile ricordare il pensiero filosofico o il grande poeta e scrittore lusitano Fernando Pessoa: “Siamo quel che siamo grazie a ciò che siamo stati” e ciò è ulteriormente provato dalla consapevolezza che viviamo l’istante presente in un continuum di ricordi e di attese, cioè di proiezioni, rispettivamente, verso il passato e il futuro, per cui ogni istante della nostra vita è parte della nostra eternità.
Allo stesso tempo, però, come uomini consideriamo il tempo e lo spazio attraverso la limitatezza dei nostri sistemi biologici neurosensoriali e questi ci fanno comunque misurare il tempo, con il suo passare inesorabile dal primo istante del mondo (ad oggi noto come Big bang), allo scorrere delle unità di misura da noi scelte e individuate negli apparati di misurazione più o meno precisa, dai secondi, alle ore, ai giorni, ai mesi e anni delle fasi della nostra vita, perché è ben noto che su questa terra si nasce, si vive, si muore.
Nelle fasi della nostra esistenza lo scorrere del tempo è inesorabile e per ciascuno di noi, almeno con la nostra realtà sensoriale, siamo coscienti che il tempo è la nostra risorsa individuale più limitata: è il vivere il nostro poco tempo che ci procura gioia e dolore, soprattutto nel constatare il tempo che passa e che ci porta via la nostra vita, il nostro essere “eterni” per avere avuto il privilegio di aver calpestato questa Terra. E allora, in questo nostro passaggio sulla Terra, ricordiamoci di non ferire ciò che ci fa vivere, l’ambiente in cui viviamo e che per tutti gli esseri viventi è rappresentato dalla biosfera che è l’unico spazio costituito dal suolo calpestabile, dalle profondità dei mari e da uno strato di atmosfera per noi vitale, ovvero i primi 10 km di altitudine. Insomma uno spazio tutto sommato sì grande, ma fin troppo piccolo e fragile perché costituito da appena una porzione di circa 20 km comprensivo di profondità marine, suolo terrestre e appunto il primissimo strato dell’atmosfera, e così interconnesso nelle sue componenti acqua, aria, terra, che dobbiamo preoccuparci del nostro incedere sul pianeta, un incedere che non deve lasciare ferite, un incedere che deve essere “leggero” e che faccia del nostro essere parte della natura la consapevolezza prima che la vita di ciascun essere umano e dell’umanità nel suo complesso deve potersi svolgere in totale equilibrio con le risorse naturali che riceviamo alla nostra nascita e che abbiamo il dovere di trasmettere senza degrado alle generazioni che verranno dopo di noi.
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- Iniziativa sulla Laudato si’ del 16 maggio 2018.
——-Lunedì 28 maggio 2018——–
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L’incontro-dibattito su Democraziaoggi.

One Response to La vita di ciascun essere umano e dell’umanità nel suo complesso deve potersi svolgere in totale equilibrio con le risorse naturali che riceviamo alla nostra nascita e che abbiamo il dovere di trasmettere senza degrado alle generazioni che verranno dopo di noi

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