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L’albero cavo di via Sant’Efisio.
di Anonimo stampacino

8291911f-ea63-4427-8cac-cd134e3e1b09 Fino alla fine degli anni 60 nello slargo della via Sant’Efisio prospicente le scalette di Santa Restituta vi erano due grandi alberi. Da quel tempo, non ricordo di preciso il mese e l’anno, ne sopravvive solo uno, come si vede nella foto (del 19 luglio 2018) rigoglioso e ben saldo. L’albero gemello, nel caso fosse esistito a tutt’oggi, forse non godrebbe di altrettanta buona salute, ma la causa della sua anticipata dipartita fu una sconsiderata azione umana. Che ora vi racconto. [segue] Il tronco dell’albero presentava una considerevole cavità che incuriosiva quanti si soffermavo nei suoi pressi. E a soffermavici eravamo soprattutto noi, un gruppo di cinque-sei ragazzetti, tutti maschi, dell’età media di dieci-undici anni. I due alberi erano sovente presi, l’uno o l’altro, come “chiesa” del gioco del nascondino o comunque come riferimento della sosta del gruppo quando la sera l’associazione chiudeva, almeno per i più giovani, e la giornata per noi continuava fino al rientro per la cena ciascuno nella propria casa. In una sera d’inverno (o forse di fine estate), non so chi del nostro gruppo ebbe la poco brillante idea di inserire nella cavità dell’albero carta di giornali e incendiarla, forse con lo scopo di svelare quanto era cavo il tronco vedendo dove sarebbe uscito il fumo. L’operazione fu completata, non ricordo con quali esiti. Sta di fatto che qualcuno si accorse che l’ora era tarda e che dovevamo lasciarci per tornare a casa. Il fuoco fu spento e il gruppo rapidamente si sciolse.
Ma evidentemente lo spegnimento non fu completo e accurato, tanto è che durante la notte il fuoco riprese vigore fino a incendiare completamente il povero albero. Non sappiamo chi durante la notte spense le fiamme, probabilmente i pompieri, anche impedendo che si propagasse all’altro albero. Difficilmente poteva succedere qualcosa di peggio, considerando che lo spazio circostante era vuoto, non ancora adibito a parcheggio delle auto, a quel tempo rare. Certo è che l’indomani del nostro albero era rimasto ben poco. Al ritrovarci la sera del giorno dopo chiedemmo cos’era successo al sig. Pinuccio, che lavorava nella vicina falegnameria: “Calincunu balossu da donau fogu custa notti” fu la risposta. Solo allora capimmo di essere noi i balossi in questione. Senza passarci parola la linea comune fu quella omertosa. Non potevamo certo essere condannati, minorenni e comunque bravi ragazzi, ma magari qualcuno avrebbe preteso un risarcimento dalle nostre famiglie, nessuna delle quali quanto a finanze se la passava bene.
Quel che restava dell’albero bruciato fu in seguito rimosso dagli operai del Comune (e mai sostituito) e nessuno si preoccupò di svolgere indagini per l’individuazione del/dei colpevole/i. Forse l’albero fu considerato di salute cagionevole, tanto che l’incendio ne aveva solo accelerato il decesso. Chissà! Sta di fatto che solo oggi a distanza di 60 anni o poco meno riveliamo l’accaduto, sperando che eventuali reati siano prescritti, stante comunque il fatto che non abbiamo dato elementi per individuare il colpevole, meglio i colpevoli, in quanto la responsabilità giustamente sarebbe dovuta cadere su tutto il gruppo. In alternativa perlomeno a risarcire il danno avrebbero potuto chiamare il presidente dell’associazione parrocchiale (la Giac G. Toniolo), di cui tutti noi del gruppo facevamo parte.

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