Africa, un continente giovane e vivo

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di Pietro Greco, su Rocca.

Alcuni la descrivono come il gigante eternamente addormentato. Altri come un’enorme prigione in cui i carcerati, tutti straccioni, stanno organizzando un’evasione di massa. Nulla di tutto questo. L’Africa è un’altra cosa.
Non che non abbia problemi, grandissimi. Sociali, economici e anche sanitari. Tra i punti critici indicati di recente da Iina Soiri, la ricercatrice finlandese che dirige il Nordiska Afrikainstitutet, l’istituto di ricerca sull’Africa di Uppsala in Svezia, ci sono: un’agricoltura troppo debole; un’economia poco avanzata, ancora troppo basata sulle commodities e sulle materie prime; una classe media ancora modesta; il fallimento del modello neoliberista, spesso imposto dalle grandi istituzioni finanziarie internazionali.
Non bisogna certo sottovalutare il rischio della monocoltura, sia essa il petrolio o un prodotto agricolo. Cinque anni fa, nel 2013, il 60% dell’export del Gabon era costituito da petrolio; una percentuale che saliva all’85% per la Nigeria, mentre i combustibili fossili rappresentavano addirittura il 97 per cento dell’export dell’Angola. È bastato il crollo del prezzo di queste materie prime per scatenare la crisi.
Ma, al netto di tutto questo, l’Africa è un continente giovane e vivo; articolato in 54 diversi stati, tutti con le loro specificità: in rapida crescita: economica e demografica. Da cui pochi vanno via: l’emigrazione netta è inferiore allo 0,04%. Dieci volte inferiore, per intenderci, a quella italiana. E in ogni caso, ad andar via in prevalenza non sono i poveracci, ma la classe media. Proprio come da noi.
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un continente giovane e vivo
Ma andiamo con ordine, perché se non comprendiamo il fenomeno Africa, non usciremo mai da quella falsa percezione del rischio che sta trasformando l’Europa in una fortezza impaurita.
L’economia africana cresce, molto più di quella italiana ma anche più di quella europea. Nel 2017 il prodotto interno lordo dell’intero continente è aumentato del 3,6 per cento, contro il 2,4 dell’Europa e l’1,2 dell’Italia. E nel 2018 si prevede che la crescita subirà una nuova accelerazione e la ricchezza aumenterà del 4,1 per cento. Certo, la base di partenza è bassa. Ma questo non è un ritmo da gigante addormentato. Tanto più che la crescita della ricchezza risulta maggiore nei paesi che puntano più su un’economia di trasformazione che non sulla vendita – spesso sottocosto – delle materie prime. Sintomo, appunto, di un continente non solo vivo, ma anche vegeto. L’Africa sta aumentando la sua ricchezza malgrado il crollo dei prezzi di molte materie prime. Un crollo che ha generato crisi in molti paesi del continente nero – per esempio in Nigeria, che dipende troppo dalla vendita di petrolio. Ma nonostante questo l’Africa cresce.

i nodi dello sviluppo sociale
Non possiamo dire, però, che la crescita economica si stia trasformando in sviluppo sociale. I nodi da sciogliere sono molti. Intanto in molti paesi le tasse rispetto al Prodotto interno lordo sono troppo poche: il che significa che la presenza dello stato è debole. Con conseguenze pesanti su tanti settori, dalla sanità alla sicurezza alle infrastrutture.

Inoltre l’aumento della ricchezza non si sta trasformando in aumento dell’occupazione. Non allo stesso ritmo, almeno. Tra il 2000 e il 2008, per esempio, il numero degli occupati è aumentato in media del 2,8 per cento annuo: la metà del prodotto interno lordo. Solo in cinque paesi – Algeria, Burundi, Botswana, Camerun e Marocco – l’occupazione è aumentata con una media superiore al 4,0 per cento annuo. Vero è che tra il 2009 e il 2014 l’occupazione è aumentata del 3,1 per cento annuo, in media. Ma è ancora di 1,2 punti percentuali inferiore alla crescita del Prodotto interno lordo.
Questa diversità di velocità tra crescita della ricchezza e crescita dell’occupazione significa una sola cosa: sta aumentando anche la disuguaglianza sociale. La maggiore produzione va a vantaggio di pochi e lascia in condizioni di povertà, talvolta estrema, troppi. A pagare le conseguenze maggiori del fenomeno sono le donne e i giovani, di età compresa tra i 15 e i 24 anni.
Certo, la popolazione povera è diminuita, in termini relativi, passando dal 56 per cento del 1990 al 43 per cento del 2012. Nello stesso periodo in Cina la povertà è diminuita del doppio. Inoltre in Africa, come dicevamo, è aumentata la disuguaglianza sociale: l’indice di Gini che la misura, infatti, è passato da 0,52 nel 1993 (un valore che indica un tasso di disuguaglianza elevatissimo) a 0,56 nel 2008. La disuguaglianza è così estrema, da risultare non solo iniqua, ma anche un potente freno alla corsa dell’economia.

la crescita demografica grande banco di prova
Alla disordinata, iniqua, frammentata crescita economica fa riscontro una più generale crescita demografica nei 54 paesi dell’Africa. La popolazione del continente ha ormai raggiunto quota 1,3 miliardi: praticamente quanto la Cina. La curva di crescita sembra di tipo esponenziale. Gli africani erano 229 milioni nel 1950, con un tasso di crescita annuo del 2,01 per cento. Sono saliti a 635 milioni nel 1990, con un tasso di crescita annuo del 2,74 per cento. E sono più che raddoppiati negli ultimi ventotto anni: oggi il tasso di crescita risulta del 2,55 per cento su base annua. Il che significa che quella africana è una popolazione giovane. L’età media è di appena 19,4 anni. Molto meno della metà di quella italiana, che è ormai di 44,9 anni. E anche di quella europea, la cui età media è di 42,2 anni.
Il peso demografico dell’Africa nel mondo sta crescendo. La popolazione del continente nero negli ultimi sessant’anni è passata dal 10 al 17 per cento del totale mondiale. E diventerà il 27 per cento entro il 2050. Questo peso, dunque, continuerà a crescere. L’Africa è e sarà a lungo il continente più giovane del mondo. Oggi i ragazzi e le ragazze tra i 15 e i 24 annisono 226 milioni, ma cresceranno del 42% da qui al 2030, quando saranno 321 milioni. I demografi non hanno dubbi. L’Africa è non solo il continente più giovane ma, di qui a fine secolo, diventerà il più popolato al mondo. La sua forza lavoro passerà dai 620 milioni del 2013 agli oltre 2 miliardi del 2063.

nessun esodo biblico
Ma non spaventatevi. Tutti questi africani non cercheranno di uscire dall’Africa per invadere l’Europa e il resto del mondo. Resteranno nel loro continente. Gli esperti delle Nazioni Unite, infatti, prevedono che l’emigrazione netta annuale dall’Africa nei prossimi trent’anni resterà al di sotto delle 500.000 unità, esattamente quant’è oggi. Nessun esodo biblico, dunque.
Se tutti gli emigranti africani previsti approdassero in Europa, occorrerebbero dieci anni per raggiungere il numero di 5 milioni (l’1% della popolazione europea) e cento anni per raggiungere i 50 milioni (10% della popolazione europea). Percentuali decisamente inferiori a quelle degli stranieri già oggi presenti nell’Europa, continente senza ragione impaurito.
La crescita demografica sarà invece un grande banco di prova per il continente nero. Se verrà ben gestita e se gli aiuti di altri paesi (europei o asiatici, come la Cina) non saranno predatori, allora la ricchezza in Africa – in particolare nelle regioni sub-sahariane – non solo potrà aumentare con i ritmi attuali, se non superiori. Ma potrà essere meglio distribuita e trasformarsi in sviluppo sociale e civile.
Al contrario, se le pressioni esterne – europee, nordamericane e asiatiche – tenderanno a riproporre le strade dello sfruttamento, allora la crescita economica sarà inferiore a quella demografica, con il paradosso che il Prodotto interno lordo africano aumenterà mentre la ricchezza media pro capite diminuirà. E i poveri torneranno ad aumentare non solo in termini assoluti, ma anche in termini relativi.

Pietro Greco
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