Papa Francesco: l’economia al servizio dell’umanità e non viceversa.

INTERVISTA ESCLUSIVA del Sole24ore di venerdì 7 settembre 2018.
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Intervista a Papa Francesco: «I soldi non si fanno con i soldi ma con il lavoro»
di Guido Gentili, @guidogentili1, 07 settembre 2018.———————————————–
Il Sole24ore, 7 settembre 2018.
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Santità, un antico proverbio africano sostiene: “Se vuoi andare veloce vai solo, ma se vuoi andare lontano vai insieme”. Tutti noi sappiamo quanto si può correre velocemente, grazie ai nuovi strumenti dell’innovazione tecnologica, nella comunicazione – anche tra le persone – e nell’economia. Ma le crisi profonde che si sono succedute, assieme ad una perdurante e dilagante incertezza, sembrano averci tagliato e oscurato gli orizzonti. In Gran Bretagna, addirittura, è nato un ministero che si occupa della “solitudine”. Farebbe suo quel proverbio?

Questo proverbio esprime una verità; il singolo può essere bravo, ma la crescita è sempre il risultato dell’impegno di ciascuno per il bene della comunità. Infatti le capacità individuali non possono esprimersi al di fuori di un ambiente comunitario favorevole, dal momento che non si può pensare che il risultato raggiunto sia semplicemente la somma delle singole capacità. Dico questo non per mortificare i singoli o per non riconoscere i talenti di ciascuno, ma per aiutarci a non dimenticare che nessuno può vivere isolato o indipendente dagli altri. La vita sociale non è costituita dalla somma delle individualità, ma dalla crescita di un popolo.

Come si riesce ad essere “inclusivi”?
Vedere l’umanità come un’unica famiglia è il primo modo per essere inclusivi. Noi siamo chiamati a vivere insieme e a fare spazio per accogliere la collaborazione di tutti. Se ci guardiamo attorno con il cuore aperto non ci sfuggono le tante, le tantissime e preziose storie di sostegno, vicinanza, attenzione, di gesti di gratuità, toccando con mano che la solidarietà si estende sempre più. Se la comunità in cui viviamo è la nostra famiglia, diventa più semplice evitare la competizione per abbracciare l’aiuto reciproco. Come succede nelle nostre famiglie di appartenenza, dove la crescita vera, quella che non crea esclusi e scarti, è il risultato di relazioni sostenute dalla tenerezza e dalla misericordia, non dalla smania di successo e dalla esclusione strategica di chi ci vive accanto. La scienza, la tecnica, il progresso tecnologico possono rendere più veloci le azioni, ma il cuore è esclusiva della persona per immettere un supplemento di amore nelle relazioni e nelle istituzioni.

Non avere un progetto condiviso sulle riduzione delle diseguaglianze in un sistema sempre più globalizzato può determinare quella che Lei chiama “l’economia dello scarto”, dove le stesse persone diventano “scarti”. Nell’ultimo documento (“Oeconomicae et pecuniariae quaestiones – Considerazioni per un discernimento etico circa alcuni aspetti dell’attuale sistema economico”) la Santa Sede afferma che l’economia “ha bisogno per il suo corretto funzionamento di un’etica amica della persona”. Ci può spiegare questo punto?

Innanzitutto una precisazione sull’idea degli scarti. Come ho scritto nell’Evangelii Gaudium: non si tratta semplicemente del fenomeno conosciuto come azione di sfruttamento e oppressione, ma di un vero e proprio fenomeno nuovo. Con l’azione dell’esclusione colpiamo, nella sua stessa radice, i legami di appartenenza alla società a cui apparteniamo, dal momento che in essa non si viene semplicemente relegati negli scantinati dell’esistenza, nelle periferie, non veniamo privati di ogni potere, bensì siamo sbattuti fuori. Chi viene escluso, non è sfruttato ma completamente rifiutato, cioè considerato spazzatura, avanzo, quindi spinto fuori dalla società. Non possiamo ignorare che una economia così strutturata uccide perché mette al centro e obbedisce solo al denaro: quando la persona non è più al centro, quando fare soldi diventa l’obiettivo primario e unico siamo al di fuori dell’etica e si costruiscono strutture di povertà, schiavitù e di scarti.

Vuol dire che siamo in un contesto valoriale nemico della persona?

Abbiamo un’etica non amica della persona quando, quasi con indifferenza, non siamo capaci di porgere l’orecchio e di provare compassione dinanzi al grido di dolore degli altri, non versiamo lacrime di fronte ai drammi che consumano la vita dei nostri fratelli né ci prendiamo cura di loro, come se non fosse anche responsabilità nostra, fuori dalle nostre competenze. Un’etica amica della persona diventa un forte stimolo per la conversione. Abbiamo bisogno di conversione. Manca la coscienza di un’origine comune, di una appartenenza a una radice comune di umanità e di un futuro da costruire insieme. Questa consapevolezza di base permetterebbe lo sviluppo di nuove convinzioni, nuovi atteggiamenti e stili di vita. Un’etica amica della persona tende al superamento della distinzione rigida tra realtà votate al guadagno e quelle improntate non all’esclusivo meccanismo dei profitti, lasciando un ampio spazio ad attività che costituiscono e ampliano il cosiddetto terzo settore. Esse, senza nulla togliere all’importanza e all’utilità economica e sociale delle forme storiche e consolidate di impresa, fanno evolvere il sistema verso una più chiara e compiuta assunzione delle responsabilità da parte dei soggetti economici. Infatti, è la stessa diversità delle forme istituzionali di impresa a generare un mercato più civile e al tempo stesso più competitivo.

Nello stesso documento in cui è esplicito il messaggio perché l’attività finanziaria sia al servizio dell’economia reale, e non viceversa, colpisce l’appello alle scuole dove si formano i manager e i capitani d’industria del futuro, affinché ci si renda conto che i modelli economici che perseguono solo dei risultati quantitativi non saranno in grado di mantenere nel tempo sviluppo e pace. Significa che i manager dovrebbero essere formati, e poi giudicati, anche sulla base di parametri diversi da quelli attuali? Quali?

Mi sembra importante osservare che nessuna attività procede casualmente o autonomamente. Dietro ogni attività c’è una persona umana. Essa può rimanere anonima, ma non esiste attività che non abbia origine dall’uomo. L’attuale centralità dell’attività finanziaria rispetto all’economia reale non è casuale: dietro a ciò c’è la scelta di qualcuno che pensa, sbagliando, che i soldi si fanno con i soldi. I soldi, quelli veri, si fanno con il lavoro. E’ il lavoro che conferisce la dignità all’uomo non il denaro. La disoccupazione che interessa diversi Paesi europei è la conseguenza di un sistema economico che non è più capace di creare lavoro, perché ha messo al centro un idolo, che si chiama denaro. E aggiungo, pensando ai lavoratori incontrati in Sardegna: la speranza è come la brace sotto la cenere, aiutiamoci con la solidarietà soffiando sulla cenere, la speranza, che non è semplice ottimismo, ci porta avanti, la speranza dobbiamo sostenerla tutti, è nostra, è cosa di tutti, per questo dico spesso anche ai giovani non lasciatevi rubare la speranza. Dobbiamo anche essere furbi, perché il Signore ci fa capire che gli idoli sono più furbi di noi, ci invita ad avere la furbizia del serpente con la bontà della colomba.

Furbizia e bontà per lottare contro l’idolo-denaro? Come si fa?
In questo momento nel nostro sistema economico al centro c’è un idolo e questo non va bene: lottiamo tutti insieme perché al centro ci siano piuttosto la famiglia e le persone, e si possa andare avanti senza perdere la speranza. La distribuzione e la partecipazione alla ricchezza prodotta, l’inserimento dell’azienda in un territorio, la responsabilità sociale, il welfare aziendale, la parità di trattamento salariale tra uomo e donna, la coniugazione tra i tempi di lavoro e i tempi di vita, il rispetto dell’ambiente, il riconoscimento dell’importanza dell’uomo rispetto alla macchina e il riconoscimento del giusto salario, la capacità di innovazione sono elementi importanti che tengono viva la dimensione comunitaria di un’azienda. Perseguire uno sviluppo integrale chiede l’attenzione ai temi che ho appena elencato.

Cosa fa bene all’azienda?
Il modo di pensare l’azienda incide fortemente sulle scelte organizzative, produttive e distributive. Si può dire che agire bene rispettando la dignità delle persone e perseguendo il bene comune fa bene all’azienda. C’è sempre una correlazione tra azione dell’uomo e impresa, azione dell’uomo e futuro di un’impresa. Mi viene in mentre il Beato Paolo VI che avrò la gioia di proclamare santo il prossimo 14 ottobre, che nell’enciclica Populorum progressio scriveva: «Lo sviluppo non si riduce alla semplice crescita economica. Per essere autentico sviluppo, deve essere integrale, il che vuol dire volto alla promozione di ogni uomo e di tutto l’uomo. Com’è stato giustamente sottolineato da un eminente esperto: “noi non accettiamo di separare l’economico dall’umano, lo sviluppo dalla civiltà dove si inserisce. Ciò che conta per noi è l’uomo, ogni uomo, ogni gruppo d’uomini, fino a comprendere l’umanità intera”».

Il recente documento vaticano di analisi sul sistema economico cui ho già fatto riferimento osserva, soprattutto, come “quel potente propulsore dell’economia che sono i mercati non è in grado di regolarsi da sé: infatti essi non sanno né produrre quei presupposti che ne consentono il regolare svolgimento (coesione sociale, onesta, fiducia, sicurezza, leggi…) né correggere quegli effetti e quelle esternalità che risultano nocivi alla società umana (diseguaglianze, asimmetrie, degrado ambientale, insicurezza sociale, frodi…)”. Vuol dire che l’economia non può bastare a se stessa e ha in qualche modo bisogno di essere essa stessa “salvata”? Quali sono, a Suo giudizio, i “giusti”, limiti del profitto?
L’attività economica non riguarda solo il profitto ma comprende relazioni e significati. Il mondo economico, se non viene ridotto a pura questione tecnica, contiene non solo la conoscenza del come (rappresentato dalle competenze) ma anche del perché (rappresentata dai significati). Una sana economia pertanto non è mai slegata dal significato di ciò che si produce e l’agire economico è sempre anche un fatto etico. Tenere unite azioni e responsabilità, giustizia e profitto, produzione di ricchezza e la sua ridistribuzione, operatività e rispetto dell’ambiente diventano elementi che nel tempo garantiscono la vita dell’azienda. Da questo punto di vista il significato dell’azienda si allarga e fa comprendere che il solo perseguimento del profitto non garantisce più la vita dell’azienda. Oltre a queste questioni legate più direttamente all’azienda, dobbiamo lasciarci interpellare da ciò che sta intorno a noi. Non è più possibile che gli operatori economici non ascoltino il grido dei poveri. Ancora Paolo VI, – e voglio qui citarlo integralmente per la sua importanza – affermava nella Populorum progressio che «la legge del libero scambio non è più in grado di reggere da sola le relazioni internazionali. I suoi vantaggi sono certo evidenti quando i contraenti si trovino in condizioni di potenza economica non troppo disparate: allora è uno stimolo al progresso e una ricompensa agli sforzi compiuti. Si spiega quindi come i paesi industrialmente sviluppati siano portati a vedervi una legge di giustizia. La cosa cambia, però, quando le condizioni siano divenute troppo disuguali da paese a paese: i prezzi che si formano “liberamente” sul mercato possono, allora, condurre a risultati iniqui. Giova riconoscerlo: è il principio fondamentale del liberalismo come regola degli scambi commerciali che viene qui messo in causa. L’insegnamento di Leone XIII nella Rerum novarum mantiene la sua validità: il consenso delle parti, se esse versano in una situazione di eccessiva disuguaglianza, non basta a garantire la giustizia del contratto, e la legge del libero consenso rimane subordinata alle esigenze del diritto naturale. Ciò che era vero rispetto al giusto salario individuale – ha scritto ancora il mio venerato Predecessore Paolo VI – lo è anche rispetto ai contratti internazionali: una economia di scambio non può più poggiare esclusivamente sulla legge della libera concorrenza, anch’essa troppo spesso generatrice di dittatura economica. La libertà degli scambi non è equa se non subordinatamente alle esigenze della giustizia sociale”».

Il “Sole 24 Ore” – come Radio 24 e l’Agenzia Radiocor Plus- è il quotidiano della Confindustria, cioè l’organizzazione degli imprenditori italiani che rappresenta 160 mila aziende, in grande maggioranza piccole e medie. Gli industriali italiani si battono per una società aperta e inclusiva. Cosa è necessario, a Suo giudizio, perché un imprenditore sia un “creatore” di valore per la sua azienda e per gli altri, a partire dalla comunità in cui vive e lavora? Dalla lettura dei Vangeli emerge peraltro che Gesù mostra grande simpatia (si pensi alla parabola dei cinque talenti) per gli imprenditori che si assumono un rischio.
Ricordo l’incontro che nel febbraio del 2016 ho avuto con l’Associazione. Ricordo tanti volti dietro ai quali c’erano passione e progetti, fatica e genialità; dicevo che ritengo molto importante l’attenzione alla persona concreta che significa dare a ciascuno il suo, strappando madri e padri di famiglia dall’angoscia di non poter dare un futuro e nemmeno un presente ai propri figli. Significa saper dirigere, ma anche saper ascoltare, condividendo con umiltà e fiducia progetti e idee. Significa fare in modo che il lavoro crei altro lavoro, la responsabilità crei altra responsabilità, la speranza crei altra speranza, soprattutto per le giovani generazioni, che oggi ne hanno più che mai bisogno. Credo sia importante lavorare insieme per costruire il bene comune ed un nuovo umanesimo del lavoro, promuovere un lavoro rispettoso della dignità della persona che non guarda solo al profitto o alle esigenze produttive ma promuove una vita degna sapendo che il bene delle persone e il bene dell’azienda vanno di pari passo. Aiutiamoci a sviluppare la solidarietà ed a realizzare un nuovo ordine economico che non generi più scarti arricchendo l’agire economico con l’attenzione ai poveri e alla diminuzione delle disuguaglianze. Abbiamo bisogno di coraggio e di geniale creatività.

Il lavoro, che pure quando manca è un’intollerabile emergenza, personale e sociale, è spesso percepito come una sorta di condanna quotidiana, una routine insopportabile. Può indicarci, ad esempio, due ragioni perché non lo è, o almeno non lo deve essere, e i modi in cui le imprese si possono adoperare per far sì che non lo sia, con ciò stesso contribuendo anche al successo delle aziende stesse e alla prosperità della società?
L’idea che il lavoro sia solo fatica è abbastanza diffusa, ma tutti esperimentano che non avere un lavoro è molto peggio di lavorare. Quante volte ho raccolto lacrime di disperazione di padri e madri che non hanno più un lavoro! Lavorare fa bene perché è legato alla dignità della persona, alla sua capacità di assumere responsabilità per se e per altri. E’ meglio lavorare che vivere nell’ozio. Il lavoro dà soddisfazione, crea le condizioni per la progettualità personale. Guadagnarsi il pane è un sano motivo di orgoglio; certamente comporta anche fatica ma ci aiuta a conservare un sano senso della realtà ed educa ad affrontare la vita. La persona che mantiene se stessa e la sua famiglia con il proprio lavoro sviluppa la sua dignità; il lavoro crea dignità, i sussidi, quando non legati al preciso obiettivo di ridare lavoro e occupazione, creano dipendenza e deresponsabilizzano. Inoltre lavorare ha un alto significato spirituale in quanto è il modo con il quale noi diamo continuità alla creazione rispettandola e prendendocene cura.

Quale apporto Lei chiede alle imprese?
Le imprese possono dare un forte contributo affinché il lavoro conservi la sua dignità riconoscendo che l’uomo è la risorsa più importante di ogni azienda, operando alla costruzione del bene comune, avendo attenzione ai poveri. So che in molte aziende si dà un giusto spazio alla formazione. Sono convinto che gioverebbe molto ad un’azienda completare la formazione tecnica con una formazione ai valori: solidarietà, etica, giustizia, dignità, sostenibilità, significati sono contenuti che arricchiscono il pensiero e la capacità operativa.

Il mondo globalizzato si è fatto in qualche modo piccolo, ormai abbiamo raggiunto i limiti di quella che Lei chiama la nostra casa comune, cioè il pianeta Terra, tanto che si progetta di colonizzare nuovi pianeti. L’ecologia e un mondo sostenibile sono una Sua grande preoccupazione e gli stessi grandi player internazionali dell’energia, a partire dell’italiano Eni, hanno annunciato le loro svolte “verdi”. Ritiene che su questo punto si stia facendo abbastanza?
C’è ancora molto da fare per ridurre comportamenti e scelte che non rispettano l’ambiente e la terra. Stiamo pagando il prezzo di uno sfruttamento della terra che dura da molti anni. Anche oggi, purtroppo, in tante situazioni, l’uomo non è il custode della terra ma un tiranno sfruttatore. Ci sono però segnali di nuove attenzioni verso l’ambiente; è una mentalità che gradatamente viene condivisa da un numero sempre maggiore di Paesi. E’ un percorso che ha bisogno di una cura particolare perché è necessario passare da una descrizione dei sintomi, al riconoscimento della radice umana della crisi ecologica, dall’attenzione all’ambiente ad una ecologia integrale, da un’idea di onnipotenza alla consapevolezza della limitatezza delle risorse. Il punto nodale è che parlare di ambiente significa sempre anche parlare dell’uomo: degrado ambientale e degrado umano vanno di pari passi. Anzi le conseguenze della violazione del creato sono spesso fatte pagare solo ai poveri. Lo sviluppo della dimensione ecologica ha bisogno della convergenza di più azioni: politica, culturale, sociale, produttiva. In particolare la formazione di una nuova coscienza ecologica ha bisogno di nuovi stili di vita per costruire un futuro armonico, promuovere uno sviluppo integrale, ridurre le disuguaglianze, scoprire il legame tra le creature, abbandonare il consumismo.

Vuol dire che c’è bisogno di cambiare modello di produzione?
Come scrivevo nell’enciclica Laudato si’ questi problemi sono intimamente legati alla cultura dello scarto, che colpisce tanto gli esseri umani esclusi quanto le cose che si trasformano velocemente in spazzatura. Pensiamo, ad esempio, al nostro sistema industriale, che alla fine del ciclo di produzione e di consumo, non ha sviluppato la capacità di assorbire e riutilizzare rifiuti e scorie. Non si è ancora riusciti ad adottare un modello di produzione che assicuri risorse per tutti e per le generazioni future, e che richiede di limitare al massimo l’uso delle risorse non rinnovabili, moderare il consumo, massimizzare l’efficienza dello sfruttamento, riutilizzare e riciclare. Affrontare tale questione sarebbe un modo di contrastare la cultura dello scarto che finisce per danneggiare il pianeta intero. Dobbiamo ammettere che in questa direzione il lavoro da fare rimane ancora molto.

Tra gli “scartati” della Terra ci sono i migranti che si spostano da un continente all’altro in fuga dalle guerre o in cerca di condizioni per vivere o sopravvivere. Lei, in un periodo storico che vede le frontiere (anche quelle commerciali) chiudersi e prevalere i nazionalismi in un’Europa stanca e divisa, non si sente un po’ come un Mosè contemporaneo che apre il passaggio, apre le porte per tutti i popoli e le persone, a cominciare dai più poveri? C’è chi pensa che questa non sia comunque la missione di successore di Pietro. Perché, invece, ritiene che lo sia? E di cosa ha bisogno questa Europa per ritrovare una rotta comune e insieme per rispondere alle paure dei suoi cittadini?
I migranti rappresentano oggi una grande sfida per tutti. I poveri che si muovono fanno paura specialmente ai popoli che vivono nel benessere. Eppure non esiste futuro pacifico per l’umanità se non nell’accoglienza della diversità, nella solidarietà, nel pensare all’umanità come una sola famiglia. E’ naturale per un cristiano riconoscere in ogni persona Gesù. Cristo stesso ci chiede di accogliere i nostri fratelli e sorelle migranti e rifugiati con le braccia ben aperte, magari aderendo all’iniziativa che ho lanciato nel settembre dell’anno scorso: Share the Journey – Condividi il viaggio. Il viaggio, infatti, si fa in due: quelli che vengono nella nostra terra, e noi che andiamo verso il loro cuore per capirli, capire la loro cultura, la loro lingua, senza trascurare il contesto attuale. Questo sarebbe un segno chiaro di un mondo e di una Chiesa che cerca di essere aperta, inclusiva e accogliente, una chiesa madre che abbraccia tutti nella condivisione del viaggio comune. Non dimentichiamo, come ho già detto precedentemente, che è la speranza la spinta nel cuore di chi parte lasciando la casa, la terra, a volte familiari e parenti, per cercare una vita migliore, più degna per sé e per i propri cari. Ed è anche la spinta nel cuore di chi accoglie: il desiderio di incontrarsi, di conoscersi, di dialogare… La speranza è la spinta per “condividere il viaggio” della vita, non abbiamo paura di condividere il viaggio! Non abbiamo paura di condividere la speranza. La speranza non è virtù per gente con lo stomaco pieno e per questo i poveri sono i primi portatori della speranza e sono i protagonisti della storia.

Ma come deve muoversi, in concreto, l’Europa?
L’Europa ha bisogno di speranza e di futuro. L’apertura, spinti dal vento della speranza, alle nuove sfide poste dalle migrazioni può aiutare alla costruzione di un mondo in cui non si parla solo di numeri o istituzioni ma di persone. Tra i migranti, come dice lei, ci sono persone alla ricerca di “condizioni per vivere o sopravvivere”. Per queste persone che fuggono dalla miseria e dalla fame, molti imprenditori e altrettante istituzioni europee a cui non mancano genialità e coraggio, potranno intraprendere percorsi di investimento, nei loro paesi, in formazione, dalla scuola allo sviluppo di veri e propri sistemi culturali e, soprattutto in lavoro. Investimento in lavoro che significa accompagnare l’acquisizione di competenze e l’avvio di uno sviluppo che possa diventare bene per i paesi ancora oggi poveri consegnando a quelle persone la dignità del lavoro e al loro paese la capacità di tessere legami sociali positivi in grado di costruire società giuste e democratiche.

Il Vaticano è in Italia e Lei è il vescovo di Roma. Ma il popolo italiano ha riservato grandi consensi alle forze politiche definite “populiste” che non condividono l’apertura delle porte del Paese ai migranti. Come vive questo scostamento tra pecore e Pastore?
Le risposte alle richieste di aiuto, anche se generose, forse non sono state sufficienti, e ci troviamo oggi a piangere migliaia di morti. Ci sono stati troppi silenzi. Il silenzio del senso comune, il silenzio del si è fatto sempre così, il silenzio del noi sempre contrapposto al loro. Il Signore promette ristoro e liberazione a tutti gli oppressi del mondo, ma ha bisogno di noi per rendere efficace la sua promessa. Ha bisogno dei nostri occhi per vedere le necessità dei fratelli e delle sorelle. Ha bisogno delle nostre mani per soccorrere. Ha bisogno della nostra voce per denunciare le ingiustizie commesse nel silenzio, talvolta complice, di molti. Soprattutto, il Signore ha bisogno del nostro cuore per manifestare l’amore misericordioso di Dio verso gli ultimi, i reietti, gli abbandonati, gli emarginati.

In che modo si può realizzare un percorso di integrazione in grado di superare paure e inquietudini, che sono reali?
Non smettiamo di essere testimoni di speranza, allarghiamo i nostri orizzonti senza consumarci nella preoccupazione del presente. Così come è necessario che i migranti siano rispettosi della cultura e delle leggi del Paese che li accoglie per mettere così in campo congiuntamente un percorso di integrazione e per superare tutte le paure e le inquietudini. Affido queste responsabilità anche alla prudenza dei governi, affinché trovino modalità condivise per dare accoglienza dignitosa a tanti fratelli e sorelle che invocano aiuto. Si può ricevere un certo numero di persone, senza trascurare la possibilità di integrarle e sistemarle in modo dignitoso. E’ necessario avere attenzione per i traffici illeciti, consapevoli che l’accoglienza non è facile. Ricordo qui quanto scrivevo quest’anno nel Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace: quattro pietre miliari per l’azione, che amo esprimere tramite i verbi «accogliere, proteggere, promuovere e integrare», e sottolineo che il 2018 condurrà alla definizione e all’approvazione da parte delle Nazioni Unite di due patti globali, uno per migrazioni sicure, ordinate e regolari, l’altro riguardo ai rifugiati. Patti che rappresenteranno un quadro di riferimento per proposte politiche e misure pratiche. Per questo è importante che i nostri progetti e proposte siano ispirati da compassione, lungimiranza e coraggio, in modo da cogliere ogni occasione per far avanzare la costruzione della pace: solo così il necessario realismo della politica internazionale non diventerà una resa al disinteresse e alla globalizzazione dell’indifferenza.
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ATTUALITA’
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Trabajo, dinero, Europa, migrantes: entrevista a Papa Francisco.
Il Sole24ore, 7 settembre 2018.

Su Santidad, un antiguo proverbio africano afirma: “Si quieres ir rápido, camina solo, si quieres llegar lejos, ve acompañado”. Todos nosotros sabemos que las nuevas herramientas de la innovación tecnológica contribuyen a aumentar la velocidad de la comunicación –también entre las personas– y de la economía. Pero las crisis profundas que sobrevinieron, junto con una incertidumbre duradera y difusa, parecen haber limitado y ofuscado nuestros horizontes. En Gran Bretaña, nada menos, nació un ministerio que se ocupa de la “soledad”.
Haría suyo este proverbio?

Este proverbio expresa una verdad; el individuo puede obrar bien y correctamente, pero el crecimiento siempre es el resultado del compromiso de cada uno a favor del bien de la comunidad. De hecho, las capacidades individuales no pueden manifestarse fuera de un ambiente comunitario favorable, ya que no se puede pensar que el resultado logrado sea simplemente la suma de las capacidades de cada uno. Digo esto no para mortificar a los individuos ni para desconocer los talentos de cada uno, sino para ayudarnos a recordar que nadie puede vivir aislado de los demás o de forma independiente. La vida social no está compuesta por la suma de las individualidades, sino por el crecimiento de un pueblo.

¿Cómo se llega a ser “inclusivos”?
El primer paso para ser inclusivos es considerar la humanidad como una única familia. Estamos llamados a vivir juntos y a dar cabida para acoger la colaboración de todos. Si miramos a nuestro alrededor con el corazón abierto, no podemos dejar de notar las muchas, muchísimas historias preciosas de apoyo, cercanía, atención, gestos de gratuidad y tocamos con la mano que la solidaridad se propaga cada vez más. Si la comunidad en la que vivimos es nuestra familia, se hace cada vez más fácil evitar la rivalidad para abrazar la ayuda mutua. Como sucede con nuestras familias de origen, donde el crecimiento verdadero, el que no crea personas excluidas o descartadas, es el resultado de las relaciones sostenidas por la ternura y la misericordia, no por el afán de éxito y por la exclusión estratégica de quien nos rodea. La ciencia, la técnica, el progreso tecnológico pueden acelerar las acciones, pero el corazón es exclusivo de la persona para brindar un suplemento de amor en las relaciones y en las instituciones.

No tener un proyecto compartido sobre la reducción de las desigualdades en un sistema cada vez más globalizado puede determinar lo que Usted llama “la economía del descarte”, donde las mismas personas se convierten en “descartes”. En el último documento (“Oeconomicae et pecuniariae quaestiones – Consideraciones para un discernimiento ético sobre algunos aspectos del actual sistema económico y financiero”) la Santa Sede afirma que la economía “necesita una ética amiga de la persona para su correcto funcionamiento”. ¿Nos puede explicar este concepto?
Ante todo una aclaración sobre la idea de los descartes. Como he escrito en el Evangelii Gaudium: no se trata simplemente del fenómeno conocido como acción de explotación y opresión, sino de un nuevo fenómeno propiamente dicho. Con la acción de exclusión quedan afectados en su misma raíz los vínculos de pertenencia a la sociedad en la que se vive, pues en ella ya no quedamos simplemente relegados en los bajos fondos de la existencia, en las periferias, o despojados de cada poder, sino que nos expulsan. Los excluidos no son explotados, sino completamente desechados, o sea, se consideran desechos, sobrantes y se expulsan de la sociedad. No podemos ignorar que una economía estructurada de esta forma es destructora, porque pone el dinero al centro y obedece solo a él: cuando la persona ya no ocupa la centralidad, cuando ganar dinero se convierte en el principal y único objetivo, nos colocamos fuera de la ética y se construyen estructuras de pobreza, esclavitud y descartes.

¿Quiere decir que vivimos en un contexto de valores enemigo de la persona?
Tenemos una ética no amiga de la persona cuando, casi con indiferencia, no somos capaces de escuchar y probar compasión ante el grito de dolor de los demás, no lloramos frente a los dramas que destruyen la vida de nuestros hermanos ni tampoco los cuidamos, como si no fuera también nuestra responsabilidad, lejana de nuestras competencias. Una ética amiga de la persona se convierte en un fuerte estímulo para la conversión. Necesitamos conversión. Falta la conciencia de un origen común, de pertenecer a una raíz común de humanidad y a un futuro para construir juntos. Esta conciencia de base permitiría el desarrollo de nuevas convicciones, nuevas actitudes y estilos de vida. Una ética amiga de la persona tiende a superar la distinción rígida entre las realidades que apuestan por las ganancias y aquellas orientadas no al mecanismo exclusivo de los beneficios, dejando un amplio espacio a las actividades que constituyen y amplían el denominado tercer sector. Sin desestimar la importancia y la utilidad económica y social de las formas históricas y consolidadas de empresa, estas realidades hacen evolucionar el sistema hacia una asunción más clara y completa de las responsabilidades de los sujetos económicos. De hecho, es la misma diversidad de las formas institucionales de empresa que genera un mercado más civil y, al mismo tiempo, más competitivo.

En el mismo documento en el que se explicita el mensaje para que la actividad financiera esté al servicio de la economía real, y no viceversa, impacta el llamado a las escuelas donde se forman los directivos y los empresarios industriales del futuro, para que puedan comprender que los modelos económicos que persiguen solo resultados cuantitativos no serán capaces de conservar desarrollo y paz con el paso del tiempo. ¿Significa que los directivos deberían ser capacitados y luego evaluados, también en base a parámetros diferentes de los actuales? ¿Cuáles?
Me parece importante observar que ninguna actividad se desarrolla de forma casual o autónoma. Detrás de cada actividad hay una persona humana. Puede quedar anónima, pero no existe actividad que no se origine en el hombre. La centralidad actual de la actividad financiera respecto a la economía real no es casual: detrás de esto se anida la decisión de alguien que piensa, equivocándose, que el dinero produce dinero. El dinero, el de verdad, se hace con el trabajo. El trabajo otorga dignidad al hombre, no el dinero. El desempleo que afecta a varios países europeos es la consecuencia de un sistema económico que ya no es capaz de crear trabajo, porque en el centro colocó a un ídolo que se llama dinero. Y añado, pensado a los trabajadores encontrados en Cerdeña: la esperanza es como las brasas debajo de la ceniza, ayudémonos con la solidaridad soplando sobre las cenizas, la esperanza, que no es un simple optimismo, nos hace salir adelante, todos tenemos que sostener la esperanza, es nuestra, es algo de todos, por eso digo a menudo a los jóvenes que no se dejen robar la esperanza. También tenemos que ser astutos, porque el Señor nos hace entender que los ídolos son más sagaces que nosotros, nos invita a tener la astucia de la serpiente con la bondad de la paloma.

¿Astucia y bondad para luchar contra el ídolo-dinero? ¿Cómo se hace?
En este momento, el centro de nuestro sistema económico está ocupado por un ídolo, y esto no es positivo: luchemos todos juntos para que el centro esté ocupado más bien por la familia y las personas, y se pueda salir adelante sin perder la esperanza. La distribución y la participación en la riqueza producida, el establecimiento de la empresa en un territorio, la responsabilidad social, el bienestar empresarial, la igualdad de trato en materia de retribución entre hombres y mujeres, la armonización de los tiempos dedicados al trabajo y a la vida, el respeto del medio ambiente, el reconocimiento de la importancia del hombre respecto a la máquina, el reconocimiento del salario justo y la capacidad de innovación son elementos importantes que mantienen viva la dimensión comunitaria de una empresa. Perseguir un desarrollo integral requiere la atención hacia los temas que he apenas especificado.

¿Qué hace bien a la empresa?
El modo de pensar de la empresa influye notablemente en las decisiones de su organización, producción y distribución. Se puede decir que actuar bien respetando la dignidad de las personas y persiguiendo el bien común hace bien a la empresa. Existe siempre una correlación entre la acción del hombre y de la empresa, la acción del hombre y el futuro de una empresa. Recuerdo al Beato Pablo VI que tendré la satisfacción de proclamar santo el próximo 14 de octubre, que en la encíclica Populorum progressioescribía: «El desarrollo no se reduce al simple crecimiento económico. Para ser auténtico, debe ser integral, es decir, promover a todos los hombres y a todo el hombre. Con gran exactitud ha subrayado un eminente experto: “nosotros no aceptamos la separación de la economía de lo humano, el desarrollo de la civilización en que está inscrito. Lo que cuenta para nosotros es el hombre, cada hombre, cada agrupación de hombres, hasta la humanidad entera”».

El reciente documento vaticano de análisis del sistema económico que ya mencioné, observa principalmente que “ese potente propulsor de la economía que son los mercados es incapaz de regularse por sí mismo: de hecho, estos no son capaces de generar los fundamentos que les permitan funcionar regularmente (cohesión social, honestidad, confianza, seguridad, leyes…) ni de corregir los efectos externos negativos para la sociedad humana (desigualdades, asimetrías, degradación ambiental, inseguridad social, fraudes..)”. ¿Quiere decir que la economía no puede bastar a sí misma y, en un cierto modo, necesita ser “salvada” ella misma? ¿Cuáles son, a su parecer, los límites “justos” de las ganancias?
La actividad económica no se refiere únicamente a las ganancias, sino que incluye relaciones y significados. El mundo económico, si no se reduce a una mera cuestión técnica, no sólo contiene el conocimiento del cómo (representado por las competencias) sino también del porqué (representado por los significados). Por lo tanto, una sana economía nunca está desvinculada del significado de lo que se produce y la acción económica es siempre también un hecho ético. Mantener unidas acciones y responsabilidades, justicia y provecho, producción de riqueza y su redistribución, operatividad y respeto del ambiente con el tiempo se convierten en elementos que garantizan la vida de la empresa. Desde este punto de vista, el significado de la empresa se amplía y hace comprender que perseguir únicamente el beneficio ya no garantiza la existencia de la empresa. Además de estas cuestiones vinculadas directamente con la empresa, tenemos que dejarnos interpelar por lo que nos rodea. Ya no es posible que los operadores económicos no escuchen el grito de los pobres. Una vez más, Pablo VI – y deseo citarlo integralmente por su importancia – afirmaba en la Populorum progressio que «la regla del libre cambio no puede seguir rigiendo ella sola las relaciones internacionales. Sus ventajas son sin duda evidentes cuando las partes no se encuentran en condiciones demasiado desiguales de potencia económica: es un estímulo de progreso y recompensa el esfuerzo. Por eso los países industrialmente desarrollados ven ella una ley de justicia. Pero ya no es lo mismo cuando las condiciones son demasiado desiguales de país a país: los precios que se forman “libremente” en el mercado pueden llevar consigo resultados no equitativos. Es importante reconocerlo: es el principio fundamental del liberalismo, como regla de los intercambios comerciales, el que está aquí en litigio».
La enseñanza de León XIII en la “Rerum novarum” conserva su validez: el consentimiento de las partes, si están en situaciones demasiado desiguales, no basta para garantizar la justicia del contrato, y la regla del libre consentimiento queda subordinada a las exigencias del derecho natural. Lo que era verdadero acerca del justo salario individual – escribía todavía mi venerado predecesor Pablo VI– lo es también respecto a los contratos internacionales: una economía de intercambio no puede seguir descansando sobre la sola ley de la libre concurrencia, que engendra también demasiado a menudo una dictadura económica. El libre intercambio solo es equitativo si está sometido a las exigencias de la justicia social”».

El “Sole 24 Ore” – como Radio 24 y la Agencia Radiocor Plus– es el diario de la Confindustria, es decir, la organización de los empresarios italianos que representa 160 mil compañías, en su mayoría pequeñas y medianas. Los industriales italianos combaten por una sociedad abierta e inclusiva. A su parecer ¿qué necesita un empresario para ser un “creador” de valor para su empresa y para los demás, a partir de la comunidad en la que vive y trabaja?
De la lectura de los evangelios se desprende también que Jesús demuestra gran simpatía (pensemos a la parábola de los cinco talentos) por los empresarios que asumen un riesgo.
Recuerdo el encuentro que tuve con la Asociación en febrero de 2016. Recuerdo muchos rostros que transmitían pasión y proyectos, fatiga y genialidad. Decía que creo que es muy importante la atención por la persona concreta que significa dar a cada uno lo suyo, liberando a las madres y padres de familia de la angustia de no poder dar un futuro y ni siquiera un presente a sus hijos. Significa saber dirigir pero también saber escuchar, compartiendo proyectos e ideas con humildad y confianza. Significa hacer de todo para que el trabajo cree otro trabajo, la responsabilidad cree otra responsabilidad, la esperanza cree otra esperanza, sobre todo para las jóvenes generaciones, que hoy lo necesitan más que nunca. Creo que sea muy importante trabajar juntos para construir el bien común y un nuevo humanismo del trabajo, promover un trabajo que respete la dignidad de la persona, que no apuesta únicamente por el beneficio o las exigencias productivas, sino que promueve una vida digna, sabiendo que el bien de las personas y el bien de la empresa van de la mano. Contribuyamos a desarrollar la solidaridad y a realizar un nuevo orden económico que no genere otros descartes, enriqueciendo la acción económica con la atención hacia los pobres y la reducción de las desigualdades. Necesitamos valentía y creatividad genial.

El trabajo, que aun cuando falta representa una emergencia intolerable, personal y social, a menudo se percibe como una especie de condena diaria, una rutina insoportable. ¿Puede indicarnos, por ejemplo, dos razones por las que no lo es o, al menos, no lo debe ser, y cómo pueden organizarse las empresas para evitar que no lo sea, contribuyendo con esto también al éxito de dichas empresas y a la prosperidad de la sociedad?
La idea de que el trabajo sea solo cansancio es bastante común, pero todos experimentan que no tener trabajo es mucho peor que trabajar. ¡Cuántas veces he recogido las lágrimas de desesperación de padres y madres que perdieron el trabajo! Trabajar hace bien porque es parte de la dignidad de la persona, de su capacidad de asumir la responsabilidad ante uno mismo y ante los demás. Es mejor trabajar que vivir en el ocio. El trabajo da satisfacción, crea las condiciones para la programación personal. Ganarse el pan es un motivo de orgullo importante; sin dudas, representa también una fatiga pero nos ayuda a conservar un sano sentido de la realidad y educa a afrontar la vida. La persona que mantiene a sí misma y a su familia con su trabajo desarrolla su dignidad; el trabajo crea dignidad, los subsidios que no tengan el objetivo preciso de crear trabajo y ocupación, crean dependencia y reducen la responsabilidad. Además, trabajar tiene un elevado significado espiritual ya que es el modo con el que damos continuidad a la creación, respetándola y cuidándola.

¿Cuál es la aportación que Usted pide a las empresas?
Las empresas pueden contribuir notablemente a conservar la dignidad del trabajo, reconociendo que el hombre es el recurso más importante de cada empresa, obrando para construir el bien común, dedicando atención a los pobres. Sé que muchas empresas dedican amplio espacio a la formación. Estoy convencido que sería muy provechoso para la empresa completar la formación técnica con una formación a los valores: solidaridad, ética, justicia, dignidad, sostenibilidad, cuyos significados son contenidos que enriquecen el pensamiento y la capacidad operativa.

El mundo globalizado, en un cierto modo, redujo sus dimensiones, ahora hemos alcanzado los límites de lo que Usted llama nuestra casa común, es decir el planeta Tierra, tanto que se está pensando a la colonización de nuevos planetas. La ecología y un mundo sostenible son su gran preocupación y los grandes agentes económicos internacionales que se dedican a la producción de energía, partiendo de la compañía italiana Eni, anunciaron cambios radicales orientados a las actividades “verdes”. ¿Cree que se está haciendo bastante desde este punto de vista?
Todavía hay mucho por hacer para reducir aquellas conductas y acciones que no respetan el medio ambiente y la tierra. Estamos pagando el precio de una explotación de la tierra que dura desde hace muchos años. Lamentablemente, hasta el día de hoy, el hombre no actúa como custodio de la tierra sino como un tirano explotador. Pero hay señales de nueva atención hacia el ambiente; es una mentalidad compartida gradualmente por un número cada vez mayor de países. Es un recorrido que necesita un cuidado especial porque es necesario pasar de una descripción de los síntomas, al reconocimiento de la raíz humana de la crisis ecológica, de la atención por el ambiente a una ecología integral, de una idea de omnipotencia a la conciencia de la exigüidad de los recursos. El punto focal es que hablar del ambiente siempre significa hablar también del hombre: la degradación ambiental y la degradación humana van de la mano. Más bien, las consecuencias de la violación de la Creación a menudo se hacen pagar solo a los pobres. El desarrollo de la dimensión ecológica necesita la convergencia de varias acciones: políticas, culturales, sociales y productivas. En especial, la formación de una nueva conciencia ecológica necesita nuevos estilos de vida para construir un futuro armonioso, promover un desarrollo integral, reducir las desigualdades, descubrir los vínculos entre las criaturas, abandonar el consumismo.

¿Quiere decir que es necesario cambiar modelo de producción?
Como escribía en la encíclica Laudato si’ estos problemas están íntimamente vinculados con la cultura del descarte, que afecta tanto a los seres humanos excluidos como a las cosas que se transforman rápidamente en desechos. Pensemos, por ejemplo, a nuestro sistema industrial, que al final del ciclo de producción y consumo no ha desarrollado la capacidad de absorber y reutilizar los desechos y las escorias. Todavía no se ha logrado adoptar un modelo de producción que asegure recursos para todos y para las generaciones futuras, y que requiere la máxima limitación del uso de los recursos no renovables, moderar el consumo, maximizar la eficiencia de la explotación, reutilizar y reciclar. Afrontar esta cuestión sería un modo para contrastar la cultura del descarte que termina por dañar el planeta en su totalidad. Tenemos que admitir que todavía queda mucho por hacer en esta dirección.

Los migrantes que se desplazan de un continente al otro huyendo de las guerras o en busca de condiciones para vivir y sobrevivir son algunos de los “descartados” de la tierra. En un período histórico en el que las fronteras (incluso las comerciales) se cierran y prevalecen los nacionalismos en una Europa cansada y dividida, ¿Usted no se siente un poco como un Moisés contemporáneo que abre el paso, abre las puertas para todos los pueblos y las personas, empezando por los más pobres? Hay quien piensa que esta no es la misión del sucesor de Pedro. ¿Por qué cree que lo sea? ¿Qué necesita esta Europa para confluir en un camino común y avanzar juntos ofreciendo una respuesta a las preocupaciones de sus ciudadanos?
Hoy en día los migrantes representan un gran reto para todos. Los pobres que se desplazan infunden temor especialmente a los pueblos que viven en una condición de bienestar. Sin embargo, no existe futuro pacífico para la humanidad si no se pone en práctica la hospitalidad de la diversidad, la solidaridad, pensando a la humanidad como a una sola familia. Para un cristiano es natural reconocer a Jesús en cada persona. Cristo mismo nos pide acoger a nuestros hermanos y hermanas migrantes y refugiados con los brazos bien abiertos, quizás adhiriendo a la iniciativa que lancé en septiembre del año pasado. Share the Journey – Comparte el viaje. De hecho, el viaje se divide en dos: los que llegan a nuestra tierra, y nosotros que vamos hacia el corazón de quienes arriban para comprenderlos, entender su cultura, su lengua, sin desatender el contexto actual.
Esto sería un signo claro de un mundo y de una Iglesia que intenta ser abierta, inclusiva y acogedora, una Iglesia Madre que abraza a todos compartiendo un viaje en común. Como afirmé anteriormente, no olvidemos que la esperanza representa el impulso en el corazón de quien parte dejando su casa, su tierra, a veces familiares y parientes, para ir en busca de una vida mejor, más digna para sí mismo y para sus seres queridos. Y es también el impulso en el corazón de quien acoge: el deseo de encontrarse, de conocerse, de dialogar… La esperanza es el estímulo para “compartir el viaje” de la vida, ¡no tenemos miedo de compartir el viaje! No tenemos miedo de compartir la esperanza. La esperanza no es virtud para gente con el estómago lleno y por ello los pobres son los primeros portadores de esperanza y son los protagonistas de la historia.

¿Cómo debe actuar Europa en la práctica?
Europa necesita esperanza y futuro. La apertura hacia los nuevos desafíos de las migraciones, impulsados por el viento de la esperanza, puede ayudar a construir un mundo en el que no se habla únicamente de números o instituciones, sino de personas. Entre los migrantes, como dice Usted, hay personas que buscan “condiciones para vivir o sobrevivir”. Para estas personas que huyen de la miseria y del hambre, muchos empresarios y un amplio número de instituciones europeas a las que no faltan genialidad y valentía, podrán emprender objetivos de inversión en formación, en sus países, de la escuela al desarrollo de auténticos sistemas culturales y, sobre todo, de trabajo. La inversión en trabajo significa acompañar la adquisición de competencias y el inicio de un desarrollo que pueda convertirse en un bien para los países todavía pobres, ofreciendo a esas personas la dignidad del trabajo y a su país la capacidad de entrelazar vínculos sociales positivos capaces de construir sociedades justas y democráticas.

El Vaticano está en Italia y Usted es el obispo de Roma. Pero el pueblo italiano ha reservado gran aprobación a las fuerzas políticas “populistas” que no comparten la apertura de las puertas del país a los migrantes. ¿Cómo vive esta dicotomía entre rebaño y Pastor?
Las respuestas a los pedidos de ayuda, aun si generosas, quizás no fueron suficientes, y hoy día nos encontramos a tener que llorar miles de muertos. Hubo demasiados silencios. El silencio del sentido común, el silencio de “siempre se hizo así”, el silencio de “nosotros” siempre en contraposición con “ellos”. El Señor promete consuelo y liberación a todos los oprimidos del mundo, pero necesita de nosotros para que su promesa sea eficaz. Necesita nuestros ojos para ver las necesidades de los hermanos y hermanas. Necesita nuestras manos para socorrer. Necesita nuestra voz para denunciar las injusticias cometidas en el silencio, algunas veces cómplice, de muchas personas. Sobre todo, el Señor necesita nuestro corazón para manifestar el amor misericordioso de Dios hacia los últimos de la tierra, los repudiados, los abandonados, los emarginados.

¿En qué modo se puede concretar un itinerario de integración capaz de superar las preocupaciones y las inquietudes, que son reales?
No dejemos de ser testigos de esperanza, ampliemos nuestros horizontes sin agotarnos por la preocupación del presente. Así como es necesario que los migrantes respeten la cultura y las leyes del país que los acoge para emprender conjuntamente un camino de integración y para superar todos las preocupaciones e inquietudes. Encomiendo esta responsabilidad también a la prudencia de los jóvenes, para que identifiquen modalidades compartidas que ofrezcan una acogida digna a los numerosos hermanos y hermanas que invocan ayuda. Se puede recibir un cierto número de personas sin descuidar los objetivos de integración y organización digna de su modo de vivir.
Es necesario hacer atención a los tráficos ilícitos, sabiendo por cierto que la hospitalidad no es fácil. Recuerdo aquí lo que escribía este año en el Mensaje para la Jornada Mundial de la Paz: cuatro piedras angulares para la acción que amo expresar a través de los verbos «acoger, proteger, promover e integrar», y remarco el proceso que, durante todo el año 2018, llevará a la definición y aprobación por parte de las Naciones Unidas de dos pactos mundiales: uno, para una migración segura, ordenada y regulada, y otro, sobre refugiados. Estos pactos constituirán un marco de referencia para desarrollar propuestas políticas y poner en práctica medidas concretas. Por esta razón es importante que nuestros proyectos y propuestas estén inspirados por la compasión, la visión de futuro y la valentía, con el fin de aprovechar cualquier ocasión que permita avanzar en la construcción de la paz: sólo así el necesario realismo de la política internacional no se verá derrotado por el cinismo y la globalización de la indiferencia.

(Traducción de Graziella Filipuzzi para Il Sole 24 Ore)
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L’immagine di papa Francesco e i testi sono tratti da Il Sole24ore del 7 settembre 2018.

One Response to Papa Francesco: l’economia al servizio dell’umanità e non viceversa.

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