Oggi venerdì 21 settembre 2018

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Oggi San Matteo. Auguri a tutt* Matteo e Mattea.

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Il Pd, la sinistra e la responsabilità dinanzi al rischio dell’irrilevanza politica
21 Settembre 2018
Alfiero Grandi su Democraziaoggi.
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massimo-villone_0NE’ NUOVI NE’ BARBARI.
di Massimo Villone – da “Gialloverdi, né nuovi né barbari” – Il Manifesto 09.09.2018

Ogni scenario ha una chiave di lettura principale. In un Paese profondamente segnato dalla precarietà e dall’incertezza, che vede cinque milioni di cittadini nella fascia di povertà assoluta e altri milioni in quella relativa, la chiave è la paura. Dei penultimi di diventare ultimi, degli ultimi di essere dimenticati e scivolare fuori classifica, dei figli di stare peggio dei padri. Chi ha visto il ceto medio impoverito entrare in una mensa della Caritas, magari vergognandosene, può capire come tante persone dalla pelle scura suscitino il timore che con il prossimo barcone di migranti diventi più difficile trovare un posto. Lo stesso vale per il ragazzo che lavora fuori da ogni regola per una paga miserabile, per chi non può permettersi l’affitto e aspetta invano dal comune l’assegnazione di un alloggio, per chi vive in un degrado segnato dalla criminalità.
Ecco le reclute di Salvini. A chi citasse i diritti costituzionalmente protetti di chicchessia risponderebbero: ”E i diritti miei la Costituzione come li tutela?”.
I nuovi barbari in realtà non sono né nuovi né barbari. Sono i nostri figli e nipoti. Discendono da chi per un quarto di secolo non ha orientato la centralità politica che pure aveva verso i bisogni e le paura di tanti. Da chi ha colpevolmente dissolto i partiti radicati nel territorio che avrebbero potuto cogliere quelle paure e quei bisogni, tradurli in politica, segnalarne l’urgenza.
Chi oggi vuole uscire dall’irrilevanza deve scrivere un progetto che veda italiani e migranti protagonisti insieme di una crescita di diritti individuali e collettivi. Una nuova stagione di eguali speranze. Ma non se ne vede al momento il segno.
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COMMENTI
Svegliamoci, guardiamo in faccia la dura realtà
Ginevra Bompiani
il manifesto, EDIZIONE DEL 14.09.2018
PUBBLICATO 13.9.2018

Credevamo di essere un paese di adolescenti, che una volta raggiunta la fatidica età di teen-ager, nessun’altra trasformazione ci colpisse più e ci toccasse trascinare la nostra adolescenza fino a limiti impensati: 90, 95 anni. E la maturità, che secondo Shakespeare è tutto, non ci toccasse mai.

Ma era vero solo in parte. Non è vero per quella parte della popolazione che dirige i nostri destini. Non è vero in politica. Lì l’adolescenza è una meta obsoleta, solo alcuni la raggiungono, flemmaticamente dinoccolati (non so, Bersani, Fassino..). Gli altri si fermano pervicacemente all’infanzia. Non a un’infanzia qualsiasi, ma alla migliore, alla più desiderabile: viziata, spaccona, capricciosa, prepotente. Un’infanzia maleducata.

Quella è un’età felice, in cui non ci sono limiti tranne quelli che genitori compiacenti mettono a malincuore, quella in cui sei il più bello, il più fico, il più seducente, il più ascoltato, almeno in un luogo, la tua casa.

E questo spiega la politica italiana. A eccezione di Berlusconi, nato vecchio (anzi, come si dice in spagnolo, ‘viejo verde’), i capetti che abbiamo dovuto subire e che stiamo subendo appartengono a questa ambita categoria. La strafottenza di Renzi, che ci ha buttato nelle braccia della Lega, la brutalità di Salvini, che sdraiato davanti a un western col suo paccone di popocorn, avrà sognato di fare il cattivo e di spadroneggiare con la pistola indifferente alle leggi e alla vita umana, il dondolìo di Di Maio che gioca ai soldatini di piombo con il suo fiacco passo militare (siniist-deest, siniist-deest), per non parlare di tutti quelli che stanno loro intorno, a chi mai ci possono far pensare se non a quei ‘discoli’, eternamente dietro la lavagna, e ai loro sogni di gloria?

Ma perché allora ce li teniamo?

Perché siamo tutti dei sognatori, inconsapevoli che i sogni possono marcire, e che sono i sogni marciti a produrre le guerre, le dittature, le migrazioni; che i sogni sono il nutrimento dell’anima, o il suo rigurgito, quando si affacciano timidamente al risveglio per poi sfilacciarsi e sparire al primo sbadiglio di consapevolezza; ma guai a inseguirli, tenerli stretti, brandirli come armi improprie. Guai a considerarli una proprietà inalienabile, su cui esercitare dei diritti.

I migranti che sognano di sbarcare sulle nostre rive, hanno portato stretto fra i denti il loro sogno, per il quale hanno venduto la casa, passato tre anni in prigioni buie e puzzolenti, sono stati stuprati e picchiati, e ora, appena mettono piede sul nostro suolo, invece di svegliarsi, sorridono, come se lo avessero raggiunto.

Di fronte a loro c’è il sogno del padrone di schiavi, con la frusta in mano, che quando la vede sbattere nell’aria e smuovere il vento, invece di svegliarsi, ridacchia soddisfatto.

Sono entrambi vittime dei propri sogni, e noi dei loro e dei nostri.

Personalmente, più che ai sogni, credo alle illusioni. Penso che senza un’illusione tenace la vita non sia granché. Ma l’illusione non ha l’arroganza del sogno perché è sempre attraversata dal dubbio, e si ricompone dopo la sconfitta, con timida, trepida forza.

Oggi la mia illusione è che il mio paese si svegli e scrolli via il sogno di un presente che non c’è,
e affronti quello che c’è: un presente difficile, aspro, inospitale, anche per noi privilegiati, un presente che abbiamo contribuito a creare coi nostri sogni. E lasciamo che i nostri sogni maturino in una tenace illusione, quella di ricomporre la nostra terra desolata, non solo la zolla sotto i nostri piedi, ma la zolla più ampia che lo sguardo può abbracciare, e ci occupiamo di lei, adulti tenacemente illusi, lasciando i bambini giocare fra loro.

Come dice la Bibbia: «Non lasciate che le piccole volpi distruggano le vigne.».
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COMMENTI
Se la Lega punta sulla «secessione dei ricchi»
Tempesta su Tria. Ciascuno vuole piantare una bandierina nella legge di stabilità. Salvini punta sull’autonomia delle “sue” regioni, che lascia indietro il Mezzogiorno, cassaforte elettorale dei 5Stelle

Massimo Villone
il manifesto, EDIZIONE DEL 14.09.2018
PUBBLICATO 13.9.2018, 23:59

In apparenza, aumenta la fibrillazione tra i dioscuri di Palazzo Chigi. Ciascuno vuole piantare una bandierina nella legge di stabilità, e non ci si accontenta nemmeno più di segnali simbolici e di mero avvio. Su Tria si addensa una tempesta, e Di Maio – cui si aggiunge ora la ministra Lezzi – si spinge ad affermare che senza reddito di cittadinanza il governo potrebbe avere seri problemi.

Basterebbe a Tria far finta di nulla e rimanere incollato alla poltrona. I dioscuri certamente sanno che nel nostro sistema liberarsi di un ministro scomodo che non si dimette di sua iniziativa è praticamente impossibile. Poiché nessuno ha un potere di revoca, si può fare solo con una sfiducia individuale, o con una crisi di governo che porti a un esecutivo diversamente composto. Prospettive difficilmente praticabili con Tria, che fa argine a una crisi come quella del 2011.

I dioscuri devono fare i conti con Tria. E allora perché la battaglia di esternazioni? Con la legge di stabilità parte davvero la campagna per le europee 2019, che vedrà anche elezioni regionali in Trentino, Basilicata e Abruzzo. Sul tavolo è la definizione dei rapporti di forza nella coalizione. Una verifica resa necessaria dai sondaggi per cui la Lega cresce e M5S frena, con un equilibrio non più rispondente ai numeri iniziali. Questa verifica peserà sul prosieguo della legislatura, con alla base una domanda: quanto varrebbe ciascuno in una competizione nelle urne?

Nessuno dei due contendenti-partners può oggi permettersi di perdere la faccia. I toni salgono, e le promesse elettorali simul stabunt simul cadent, persino nella misura. Se dovessero essere 10 i miliardi per il reddito di cittadinanza, non diversa cifra verrebbe richiesta per pensioni e flat tax. Sarà una battaglia sui centesimi, e l’unica vera certezza è che saranno pochi per tutti.

La Lega ha però un asso nella manica: è la più ampia autonomia e le maggiori risorse richieste ai sensi dell’art. 116 Cost. da Lombardia, Veneto, ed Emilia-Romagna. Il contratto di governo specifica l’obiettivo di portare a «rapida conclusione le trattative già aperte tra Governo e Regioni» per l’attribuzione di maggiori funzioni, con le «risorse necessarie per un autonomo esercizio delle stesse». La stampa – nazionale e locale – ci informa che nel suo recente giro in Veneto Salvini ha notificato che il lavoro procede speditamente, e che non vede l’ora di «firmare» le richieste delle regioni (Repubblica.it., 30 agosto).

Dove, come e con chi si procede? In parlamento non c’è stata alcuna discussione, e il governo nella sua collegialità non risulta sia stato mai impegnato sul punto. Di più, Salvini intende che il passaggio nel consiglio dei ministri sia a mera ratifica delle richieste regionali, che vuole solo «firmare» per poi tradurle in ddl governativo ai sensi dell’art. 116. E le altre regioni? Il paese? La vicenda è nata male, con i referendum leghisti in Lombardia e Veneto, ed è proseguita peggio, con un accordo preliminare con il governo Gentiloni in articulo mortis a poche settimane dal voto del 4 marzo. Altre regioni hanno poi avanzato richiesta, ma intanto sono state e sono fuori da ogni trattativa. Anche se al momento nessuno mette in chiaro i conti, qualcuno pagherà. E senza un quadro complessivo e organico si profila un travaso di risorse a favore delle regioni più forti. Una «secessione dei ricchi», come la definisce una petizione lanciata da Viesti su Change.org che ha già superato 10000 firme.

È uno scenario che alla lunga avrebbe sui destini del Mezzogiorno un’incidenza assai più significativa di qualsiasi reddito di cittadinanza. Potrebbe rendere impossibile qualunque politica nazionale di eguaglianza nei diritti e di superamento del divario territoriale. E per il meccanismo stesso dell’art. 116 Cost., che richiede la proposta e l’intesa delle regioni, sarebbe difficile tornare indietro. Chi si trovasse ad aver acquisito un vantaggio, avrebbe gli strumenti per mantenerlo.

Cosa ne pensa M5S, che trova nel Sud la sua cassaforte elettorale? Cosa ne pensa la ministra Lezzi? Quanto ai dioscuri, l’antica mitologia ci dice che uno era bravo con i cavalli, l’altro con i pugni. Se volgesse al peggio, uno dovrebbe darsi all’ippica, l’altro finirebbe al tappeto. Scelgano gli elettori.
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Immigrazione, un decreto legge pericoloso
By redazione web -14 settembre 2018-

Mercoledì scorso il Presidente Sergio Mattarella prendendo la parola in occasione delle celebrazioni del centenario della nascita di Oscar Luigi Scalfari ha fatto un autorevole discorso per richiamare tutti gli attori politici al rispetto delle regole. In particolare, intervenendo nella polemica suscitata dal Ministro dell’interno contro la magistratura, ha dichiarato:
“nel nostro ordinamento non esistono giudici elettivi: i giudici traggono la loro legittimazione dalla Costituzione. Nessuno è al di sopra della legge, neppure gli esponenti politici”.
Il Presidente Mattarella ha informato il suo mandato ad uno stile completamente diverso da quello del suo predecessore, esercitando le sue funzioni con il massimo self restrain. Però non ha abdicato alla funzione di garanzia che la Costituzione gli ha assegnato. Anzi nella fase più calda della formazione del nuovo governo non ha esitato a dire dei no molto forti, come il suo rifiuto di nominare Savona al dicastero dell’economia. Tale opzione suscitò delle perplessità perché rischiava di impedire la nascita di un governo sostenuto da una maggioranza di parlamentari. Tuttavia è innegabile che con quella scelta il Presidente Mattarella abbia voluto mandare un messaggio chiaro alla nuova maggioranza, riaffermando il suo ruolo di garanzia e di custode dei valori repubblicani.
Se c’è una funzione nella quale è massima la responsabilità di garanzia del Presidente della Repubblica, questa risiede nel potere di emanare i decreti legge deliberati dal Governo.
Il ricorso al decreto legge può essere fonte di abusi gravissimi perché le sue norme vanno immediatamente in vigore, prima ancora che il Parlamento ne discuta.
A fronte di un provvedimento palesemente incostituzionale che rischia di provocare pregiudizi irreparabili, l’unica salvezza è il diniego del Presidente della Repubblica, che può rifiutarsi di emanare l’atto. Come accadde nel febbraio del 2009 quando il Presidente Napolitano si rifiutò di emanare un assurdo decreto legge con il quale il Governo Berlusconi voleva intervenire nel doloroso caso di Eluana Englaro, sovvertendo le sentenze dei giudici e imponendo per legge l’accanimento terapeutico. All’epoca ci fu un braccio di ferro durissimo e i coriferi di Berlusconi non ebbero vergogna a qualificare Napolitano con l’epiteto di assassino. Ma Napolitano non deflettè e l’ignobile provvedimento non vide mai la luce.
Ebbene siamo alla vigilia di importanti provvedimenti che il nuovo Governo vorrebbe adottare sotto la forma di decreti legge. E’ stata già pubblicata la bozza di un decreto che interviene sulla disciplina dell’immigrazione. Si tratta di un provvedimento che contiene aspetti allarmanti di incostituzionalità e che può provocare drammi irreparabili. Rinviando ad un esame più approfondito, ci basta considerare alcuni punti critici:
– viene abrogato il permesso di soggiorno per motivi umanitari, cioè quel permesso di soggiorno residuale che veniva dato a persone che non potevano essere rimpatriate perché soggetti deboli esposti a rischi della più varia natura;
– viene raddoppiata da tre a sei mesi la detenzione amministrativa per le persone che devono essere rimpatriate;
Ma la disposizione più assurda è quella che prevede che il richiedente asilo, sottoposto a processo penale deve essere rimpatriato; nel caso sopraggiunga sentenza di assoluzione, l’interessato può tornare in Italia e riproporre la domanda. Peccato che nel frattempo gli ayatollah gli avranno tagliato la testa!
Presidente non firmare!

di Domenico Gallo edito dal Quotidiano del Sud

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