Qualcosa di nuovo e di buono

corteo_manifestazione_9_febbraio_rassegna-it-316x202
SINDACATI
uno spiraglio di ottimismo

di Fiorella Farinelli, su Rocca

Quanti saranno, tra i lavoratori che hanno sfilato a Roma il 9 febbraio, quelli che alle ultime elezioni hanno votato 5Stelle e forse anche Lega? Di sicuro non pochi, eppure non poteva essere più
netta, nella manifestazione sindacale, la presa di distanza dal populismo politico del governo gialloverde. Non solo da quello che c’è e da quello che manca nella manovra di bilancio, ma dai contenuti, linguaggi, culture di chi ci governa. Dall’idea stessa di società, di democrazia, di sviluppo economico e sociale del Paese che si delinea in ogni loro decisione e in ogni atto.

il cambiamento siamo noi
Slogan, striscioni, cartelli – e poi gli applausi a chi parla dal palco all’enorme folla di piazza San Giovanni – dicono anche con ironie, battute, caricature la convinzione che il «cambiamento» non sia affatto nelle stanze di Palazzo Chigi ma sia invece lì, in quella piazza che chiede un nuovo futuro per il lavoro. «Alle persone che governano in questo Paese e vanno a incontrare chi protesta in altri Paesi – ha detto il nuovo segretario della Cgil Maurizio Landini con esplicito riferimento alle improvvide avances di Di Maio ai gilet gialli francesi – diciamo, se hanno un briciolo di intelligenza, di ascoltare questa piazza. Siamo noi il cambiamento. Ma se non dovesse succedere, devono sapere che non ci fermeremo qui».
Il messaggio è chiaro e diretto. Il lavoro si crea solo se si fanno nuovi investimenti, pubblici e privati. La recessione non si contrasta con manovre elettoralistiche e dispositivi che non verranno a capo né della povertà né della disoccupazione. Quota 100 non risolve i guai del sistema pensionistico, che bisogna cambiare in toto per tener conto delle trasformazioni del lavoro. Lo sviluppo di cui c’è bisogno si crea solo se si investe in innovazione tecnologica, in nuovi equilibri tra produzione e scelte ambientaliste, in infrastrutture materiali ma anche sociali, la scuola, la ricerca scientifica, la sanità, i servizi sociali, gli asili nido. E poi bisogna contrastare i lavori di ultima generazione, quelli che non sono pagati abbastanza, che obbligano al part time, che non prevedono diritti, che mettono i lavoratori gli uni contro gli altri, che uccidono la dignità e la qualità del lavoro.

dal confronto un nuovo modello di sviluppo
Cgil Cisl Uil chiedono un confronto sulla piattaforma unitaria cui hanno lavorato da settembre, e su cui si sono già svolte migliaia di assemblee nei luoghi di lavoro, e nelle leghe dei pensionati. Bisogna saper ascoltare, decidere cose sensate, confrontarsi su proposte fattibili e generative di un nuovo modello di sviluppo. «Bisogna uscire dalla retorica della crescita che non c’è, uscire dalla realtà virtuale e calarsi nel mondo reale del lavoro. Il lavoro non si fa con i navigator, ma con gli investimenti», ha ribadito Annamaria Furlan, leader della Cisl. La rabbia del mondo del la- voro, delle famiglie impoverite dalla disoccupazione, dalla precarietà, dai lavori cattivi, dalle tariffe e dalle tasse cresciuta nei disastri economici e sociali dei lunghi anni di una crisi che non finisce mai, può trovare canali diversi da quelli offerti dal populismo politico.
È forte la critica dei cedimenti politici di oggi e di ieri alle fallimentari soluzioni neoliberiste, è duro il contrasto a quella logica di «disintermediazione», nata ben prima della piattaforma per la democrazia elettronica, che umilia e incattivisce chi col suo lavoro manda avanti il Paese, e ancor di più chi il lavoro lo ha perduto e deve arrangiarsi come può.
Al governo e anche al mondo delle imprese, oggi più vicine che un tempo nella richiesta comune di nuovi investimenti ma spesso lontanissime, anzi avversarie, sul tema dei diritti e della dignità del lavoro, si chiede confronto, contrattazione, partecipazione. Un cambio di rotta rispetto all’idea che la competitività economica del Paese si possa fare solo riducendo i costi del lavoro, solo imponendo lavori poveri, sottopagati, «senza la possibilità di ammalarsi», senza quella di fare figli, senza ragionevoli certezze di pensioni adeguate ai bisogni del vivere.
Una svolta rispetto a una politica, anche dell’ultimo centrosinistra, che ha creduto di poter fare a meno del dialogo con il sociale organizzato, perfino quello che tra lavoratori attivi e pensionati rappresenta 12 milioni di persone. Non solo. La presa di distanza è netta, tutt’altro che retorica o formale ma sentita e impastata di vicende e esempi concreti, anche dal profilo xenofobo del governo gialloverde.

solidarietà e integrazione
Solidarietà e integrazione sono e restano punti fermi del patrimonio culturale e politico del movimento sindacale. Vivono nelle Camere del Lavoro territoriali dove agli immigrati stranieri si insegnano l’italiano e i diritti, nei delegati di fabbrica con la faccia nera e l’italiano ancora stentato, nelle lotte locali contro il supersfruttamento e le discriminazioni nel lavoro agricolo, nel commercio, nei servizi a basso livello di qualificazione. Vivono nelle tante attività di volontariato dei pensionati, a favore di ammalati, disabili, non autosufficienti. L’anima mutualista del sindacato delle origini torna ad alzare la voce, contro gli eccessi statalisti di un tempo. Diritti ma anche doveri, vertenze e contrattazione ma anche solidarietà agita direttamente, con la pratica dell’obiettivo. Una bella faccia, si direbbe, quella del sindacato del 2019.

una nuova fiducia
Ce la faranno? Passerà da un rilancio dell’iniziativa del movimento dei lavoratori la ricostruzione di un’opposizione attiva ed efficace alla crisi politica italiana? Da una sua capacità di ricostruire il filo della coesione sociale, di offrire ancora una volta i luoghi di discussione, proposta, battaglie comuni che tengono lontani frustrazioni e rancori? La speranza è tanta, forse perfino troppa, nella parte del Paese rimasta orfana di una credibile sinistra politica, e angosciata per i destini politici dell’Italia e dell’Europa.
Ma certo la manifestazione del 9 febbraio qualche spiraglio di ottimismo potrebbe riaprirlo. Non si vedeva dal giugno 2013, intanto, una manifestazione nazionale unitaria del movimento sindacale, e questa volta unitaria lo è stata davvero, con numerosi settori del corteo in cui si sono mescolati con tutta naturalezza il blu della Uil, il verde della Cisl, il rosso della Cgil, con i tanti cartelli dei pensionati e delle categorie sottoscritti da tutte e tre le sigle, con l’assoluta sintonia dei contenuti e dei toni dei discorsi dal palco dei delegati e dei leaders.
Non si vedeva da molti anni, inoltre, una risposta così imponente all’invito a una manifestazione nazionale a Roma. In piazza lo sanno tutti che, se all’inizio era previsto il concentramento per i comizi finali nella già vasta Piazza del Popolo, è stato via via che arrivavano le adesioni e le informazioni sul numero dei pullman e dei treni prenotati e da prenotare, che si è dovuto virare su Piazza San Giovanni, la più ampia della capitale, quella delle grandi manifestazioni sindacali di un tempo, quella dei concertoni del Primo Maggio. Ma anche San Giovanni non ce la fa, fin dalle 11 della mattina, ad accogliere tutti, con parti del corteo che non riusciranno a trovare posto nella piazza restando assie- pate fino alla fine della manifestazione nelle vie attorno.
Non sono solo i numeri, del resto, a restituire fiducia. I pensionati, che sono spesso una parte troppo imponente delle manifestazioni sindacali per non suscitare interrogativi inquietanti sulla tenuta della rappresentanza del mondo del lavoro, questa volta sono sommersi dal succedersi dei caschi gialli dei lavoratori delle costruzioni e dei grandi impianti, dagli striscioni dell’industria, dai gilet rossi della Funzione pubblica, dai camici bianchi della ricerca e della sanità, dai cartelli colorati degli insegnanti e dei precari, quelli che – secondo Renzi – dovevano sparire grazie alla «Buona Scuola». Un serpentone colorato in cui si susseguono tutti i settori del lavoro dipendente, privato e pubblico, e tutte le diverse generazioni.

lavoro è dignità
Per la prima volta in un corteo sindacale nazionale, e riconoscibilissimi per gli ingombranti zaini sulle spalle, anche i «riders», quelli che pedalano come forsennati nelle città per consegnare a chi non ha voglia di cucinare o di uscire a cena pizze e piatti pronti. Pagati «a consegna» e sempre a rischio di incidenti stradali, privi di ogni diritto di base e di assicurazione perché, come ha ribadito di recente un tribunale, un lavoro così non sarebbe dipendente ma da iscriversi al campo delle prestazioni professionali autonome. Sui loro «cubi», la richiesta di ciò che, a due secoli dalla rivoluzione industriale, in un Paese civile dovrebbe essere considerato il minimo, paga oraria, previdenza, «libertà di ammalarsi». Hanno anche loro scoperto il sindacato, o è piuttosto il sindacato che finalmente si è accorto di loro. Come degli altri che hanno i lavori peggiori, dai raccoglitori di pomodori a 3 euro l’ora, alle donne delle imprese di pulizia, da quelli delle cooperative che lavorano nei Centri per migranti (sarebbero loro quelli che «lucrano sull’immigrazione»?) a quelli che asfaltano le strade.
Il lavoro è dignità, identità, crescita, ma è anche ammalarsi di fatica e di inquinamento, anche perdere una gamba o un braccio sotto una pressa, anche doverlo lasciare perché a casa c’è qualcuno che ha bisogno di cure. Il sindacato è capace di rappresentare tutto ciò. O almeno lo è stato per un lungo periodo. O almeno speriamo che sia capace di tornare ad esserlo. Intanto su otto che prendono la parola dal palco prima dei comizi finali, due sono immigrati, uno è un operaio del settore delle costruzioni, l’altro è un rider. L’operaio viene dalla Costa d’Avorio, è qui da molti anni, è diventato cittadino italiano e ha una famiglia numerosa. Ci tiene a dire «sono uno di voi». La piazza di San Giovanni lo abbraccia in un lungo applauso.

non sarà semplice
Qualche ora dopo, come prevedibile, dagli esponenti del governo non vengono segnali di attenzione, ma solo di chiusura. La situazione è e resta difficile. Lo conferma, il giorno dopo, l’avarizia informativa della maggior parte dei telegiornali e della carta stampata. Forse è incomprensione, più probabilmente è paura di infastidire il manovratore. Non sarà semplice, per il sindacato, dar seguito alle speranze aperte dalla manifestazione del 9 febbraio. Ma la sfida è alta, e può diventare popolare. Ed è tutto sommato una condizione favorevole, per l’unità sindacale, il fatto di dovere nuotare in mare aperto, senza più i limiti determinati dall’obbligo di tener conto, in ogni confederazione sindacale, dell’uno o dell’altro «partito amico» al governo o all’opposizione. Roba del passato, nell’Italia e nell’Europa del 2019.
Fiorella Farinelli
f479295d-aedc-4184-9bcb-5629862668d4
——————————-
rocca-5-2019-mini_01

In alto foto tratta dal sito della Cgil di Modena: http://www.cgilmodena.it/landini-vero-cambiamento/
In basso, foto tratta da Rocca n.5 2019
————————–
Approfodimenti.
La CGIL di Landini, il ruolo del sindacato e la politica economica
Luca Michelini su Micromega.
——

Lascia un Commento

L'indirizzo email non verrà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

*

È possibile utilizzare questi tag ed attributi XHTML: <a href="" title=""> <abbr title=""> <acronym title=""> <b> <blockquote cite=""> <cite> <code> <del datetime=""> <em> <i> <q cite=""> <strike> <strong>