Sardigna no est Italia

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SARDIGNA NO EST ITALIA
di Francesco Casula

Sardigna no est Italia – oggi adoperato come slogan da parte dell’area indipendentista – esprime una verità storica difficilmente contestabile.
A coniare tale espressione e a usarla per prima è stata Marianna Bussalai, oranese, femina de gabale (sardista ante litteram, antifascista amica di Lussu, femminista e deliziosa poetessa bilingue).
Così scriverà: “II mio sardismo data da prima che il Partito sardo sorgesse, cioè da quando, sui banchi delle scuole elementari, mi chiedevo umiliata perché nella storia d’Italia non si parlasse mai della Sardegna. Giunsi alla conclusione che la Sardegna non era Italia e doveva avere una storia a parte”.
Bussalai aveva proprio ragione: la Sardegna ha avuto una etno-storia non solo diversa e peculiare ma dissonante rispetto alla coeva storia italiana e persino europea: basti pensare ai regni giudicali.
La Sardegna, storicamente, è entrata nell’orbita italiana – a parte la parentesi pisana e genovese nei secoli XI-XIII – solo agli inizi del 1700 quando viene ceduta al Piemonte, per un baratto di guerra.
I tiranni sabaudi continueranno, accentuandola, l’opera di dessardizzazione, peraltro iniziata dai Catalano-Aragonesi e dagli Spagnoli: specie per quanto attiene alla lingua sarda.
Questa infatti dopo essere stata lingua curiale e cancelleresca nei secoli XI e XIV, lingua dei Condaghi e della Carta De Logu, con la perdita dell’indipendenza giudicale, si tenta di ridurla al rango di dialetto paesano, frammentata ed emarginata, cui si sovrapporranno prima i linguaggi italici di Pisa e Genova e poi il catalano e il castigliano e infine di nuovo l’italiano con i Savoia prima e l’Italia unita poi.
Nel 1720, quando i Savoia prendono possesso della Sardegna, la situazione linguistica isolana è caratterizzata da un bilinguismo imperfetto: la lingua ufficiale – della cultura, del Governo, dell’insegnamento nella scuola religiosa riservata ai ceti privilegiati – è il castigliano, mentre la lingua del popolo, in comunicazione subalterna con quella ufficiale è il Sardo.
Ai Piemontesi questa situazione appare inaccettabile e da modificare quanto prima, nonostante il Patto di cessione dell’Isola del 1718 imponga il rispetto delle leggi e delle consuetudini del vecchio Regnum Sardiniae. Per i Piemontesi e i Savoia occorre rendere ufficiale la lingua italiana: loro che parlavano francese! Tanto che quando nel 1861, il 17 marzo, Vittorio Emanuele II diventa re d’Italia, nella proclamazione che ne farà Cavour in Parlamento, diventerà, in francese, roi d’Italie!
Come prima cosa pensano alla Scuola per poi passare agli atti pubblici. Ma evidentemente le loro preoccupazioni non sono di tipo glottologico. Attraverso l’imposizione della lingua italiana vogliono sradicare la Spagna dall’Isola, rafforzare il proprio dominio, combattere il “Partito spagnolo” sempre forte nell’aristocrazia ma non solo. Questo il vero motivo: non quello “ideologico” della civilizzazione, accampato da Carlo Baudi di Vesme che nell’opera Considerazioni politiche ed economiche sulla Sardegna, scritta, su incarico del re Carlo Alberto tra l’ottobre e il novembre 1847 ma completata nel febbraio 1848, scrive che “Una innovazione in materia di incivilimento della Sardegna e d’istruzione pubblica, che sotto vari aspetti sarebbe importantissima, si è quella di proibire severamente in ogni atto pubblico civile non meno che nelle funzioni ecclesiastiche, tranne le prediche, l’uso dei dialetti sardi, prescrivendo l’esclusivo impiego della lingua italiana… E’ necessario inoltre scemare l’uso del dialetto sardo ed introdurre quello della lingua italiana anche per altri non men forti motivi; ossia per incivilire alquanto quella nazione, sì affinché vi siano più universalmente comprese le istruzioni e gli ordini del Governo…”.
Pensano allora di elaborare “Il progetto di introdurre la Lingua italiana nella scuola“ affidandone lo studio e la gestione ai Gesuiti. Nella prima fase il progetto coinvolgerà comunque pochi giovani: appartenenti ai ceti privilegiati. Il problema diventa molto più ampio ai primi dell’Ottocento, quando il Governo inizia a interessarsi dell’Istruzione del popolo. I bambini poverelli ricevono gratuitamente due libri in lingua italiana: Il Catechismo del cardinal Roberto Bellarmino e il Catechismo agrario, giacché l’agricoltura è precipuo sostegno di ogni stato e in particolare della Sardegna.
Tale concezione, da ricondurre a un progetto di omogeneizzazione culturale, – che per l’Isola significherà dessardizzazione – la ritroviamo pari pari nelle Leggi sull’istruzione elementare obbligatoria nell’Italia pre e post unitaria: del Ministro Gabrio Casati (1859), Cesare Correnti (1867) e Michele Coppino (1877).
I programmi scolastici, impostati secondo una logica rigidamente nazional-statale e italocentrica, sono finalizzati a creare una coscienza “unitaria“, uno spirito “nazionale“, capace di superare i limiti – così si pensava – di una realtà politico-sociale estremamente composita sul piano storico, linguistico e culturale.
Questo paradigma fu enfatizzato nel periodo fascista, con l’operazione della “italianizzazione” dell’intera storia italiana e della snazionalizzazione della Sardegna e dei Sardi.
Tale perverso tentativo di azzerare e annientare l’Identità dei sardi, è riuscito solo in parte: nonostante la TV, la Scuola, l’Università, i Media: tutti ferocemente antisardi.
Sarà un caso che una brava e bella attrice sarda, Caterina Murino, intervistata da una TV, (il 30 agosto 2015) alla domanda della conduttrice: ”È vero che tu non ti consideri Italiana?” risponde: ”assolutamente, non sono Italiana sono Sarda”?
In realtà l’affermazione della Murino può sorprendere solo chi si attarda a confondere Stato con Nazione. Noi infatti siamo cittadini italiani – sia pure obtorto collo e senza avere mai scelto di esserlo – ma di nazionalità sarda.
Oltretutto il “sentimento” della Murino è largamente presente fra i sardi: alla faccia di chi ha sempre tentato la snazionalizzazione e l’assimilazione forzata, privandoci della nostra Identità. Come Sardi intendo.
Ricordo che nel 2012, in un sondaggio (curato dall’Università di Cagliari e da quella di Edimburgo e finanziato dalla Regione sarda, circa l’atteggiamento dei Sardi nei confronti della propria identità) era emerso che il 27% si sente sardo e non italiano; il 38% più sardo che italiano; il 31% tanto l’uno che l’altro e solo il 3% più italiano che sardo e l’1% esclusivamente italiano.
Ma si tratta solo di un “sentimento”, di un “umore”? O, meglio, di un risentimento e di un malumore nei confronti dello Stato italiano, storicamente ostile nei confronti dell’Isola? O sta maturando una nuova consapevolezza e coscienza della propria “diversità” e “specificità” e persino dell’essere “Nazione”? Io credo di sì. E viene da lontano.

4 Responses to Sardigna no est Italia

  1. […] SARDIGNA NO EST ITALIA – Francesco Casula su Aladinews. […]

  2. Tore Il corregionale del Cuoco di Londra scrive:

    Da una posizione nettamente contraria allo spirito di detto articolo è inutile che scenda sul piano ideologico.Non ne usciremmo più e sarebbe un confronto tra sordi. Quindi vado ai punti oggettivi su cui credo nessuno abbia un qualcosa da ridire. Il primo punto è che ‘parentesi’, nel contesto in cui è stato usato in tale articolo, in italiano (come gli equivalenti in altre lingue) ha un suo preciso significato: vuol dire un intervallo di tempo; un qualcosa che sta in mezzo. In tutta evidenza è la dominazione spagnola che è una parentesi (sia pure lunga) e non a rigore di logica un’altra cosa che era prima (i pisani e i genovesi dei Sec. XI-XIII e poi di nuova alla fine (i Piemontesi e l’Italia Unita). Altro punto oggettivo è, a prescindere da quanto sopra, l’inconsistenza (vedasi ininfluenza) della Storia Sarda nei confronti di quanto succedeva in Italia e in Europa. Questo soprattutto, se non unicamente, nel periodo spagnolo. E infatti nel periodo giudicale e dal 1700 in poi la Sardegna ha avuto una visibilità maggiore. Se questo è avvenuto comunque in maniera limitata dipende dal fatto che comunque l’influenza di quanto succedeva in Sardegna nei confronti dei destini della Storia d’Europa era molto prossima allo zero. E questa valutazione si applica per tutti i territori/regioni/etc. e non solo per la Sardegna. Altro punto: la politica dei Savoia riguardo la lingua italiana. Innanzitutto non si è fatto altro che sostituire lo Spagnolo con l’Italiano. Non so dove sia la cosa strana e nè tantomeno oppressiva, visto che, come ammette pure tale articolo, lo spagnolo non era la lingua dei sardi. Secondariamente, altro punto oggettivo, storico, le intenzioni (perlomeno da metà del ’700 in poi) dei Savoia fu sempre quello di appropriarsi del potere dei nobili spagnoli/sardi che governavano quasi tutta la Sardegna (a parte le città regie) come degli Stati a se stanti. Perché una cosa è una gestione feudale del territorio, quale quella instaurata dalla Spagna, e un’altra cosa è uno stato centralista come quello dei Savoia. Quindi è successo esattamente il contrario con i Piemontesi, anche se con la grazia degli elefanti in un negozio dei cristalleria: il cercare un ritorno della Sardegna in un contesto mercantile/economico di stampo non feudale. Riguardo il sondaggio, un qualsiasi addetto di ricerche di mercato si metterebbe a ridere, non dico a come è stata effettuata tale indagine (cosa che non si sa) ma sicuramente alle sue conclusioni. Prima di tutto, mancano i termini di paragone: non si sa cosa hanno risposto gli altri abitanti di altre regioni d’Italia. Quindi non si ha modo di sapere se i sardi si sentono più sardi che italiani, per una forte senso d’identità sarda oppure perché manca generalmente in Italia un senso patriotico del sentirsi italiano, equivalente a quello di altri paesi. In ogni caso, quanto influenza un punto e quanto l’altro. Questo a prescindere da un’analisi logica riguardo le domande poste in tale sondaggio. Generalmente parlando una persona sente più un’appartenenza locale piuttosto che quella più globale. Sopratutto quando una scelta alternativa porta a rinnegarla. La domanda giusta da porsi, da questo punto di vista, è solo una: ti senti italiano?

  3. Gabriele scrive:

    Leggendo questo articolo, come non pensare a tutto il percorso culturale fatto da iRS? Sono spunti che sono stati elaborati ed utilizzati per anni da quella corrente. Non per niente, si citano la Murino (ospite in nel programma online, TeleBisura), l’indagine/sondaggio che venne fatto – più volte menzionato dal partito indipendentista, il ripristino degli elementi storici e culturali, di cui di certo il maggiore promotore è stato, dal 2004 in poi, Franciscu Sedda (ex iRS) con gli studi sull’epoca dei giudicati e sulle rivolte di fine ’700. Mi preoccupa, non poco, il tentativo di mettere l’accento solo sul sentimento dei sardi, sulla differenza tra nazione e stato, sull’essere nazione all’interno dello stato italiano (psdaz, sei tu?), certamente a discapito della volontà e quindi degli sforzi di una buona fetta dei sardi attualmente intenti nella costruzione di uno stato Sardo, di una repubblica indipendente: sarebbe un passo indietro rispetto al percorso che è stato fatto negli ultimi 15/20 anni e, soprattutto, sarebbe una forzatura. Che la Sardegna sia una nazione, non è una novità – anche se è sempre bene ribadirlo. Che i sardi abbiano iniziato a volersi riconoscere come sardi all’interno di un contesto europeo (De Andrè ci ha già anticipato tanti anni fa) e non sardi ed italiani, questa era ed è la novità. Su questo e di questo dovremmo parlare, incentrare e incentivare il dibattito, visto il prezioso recupero culturale che si sta facendo e che sta portando avanti anche Casula. Generare confusione non credo serva a nessuno, a meno che non si tratti di voler portare l’acqua ad un mulino differente.

  4. indian scrive:

    Signor Tore, se ne faccia una ragione, la sua italia non esiste. E’ solo uno stato artificiale, unito a forza e con lo sterminio di contadini siciliani, calabresi, lucani, pugliesi e campani, grazie alla tolleranza di qualche potenza europea.
    Si ricorda “… Bisogna fare gli italiani!”, ma non si possono fare popoli inesistenti, solo perché esiste un territorio omonimo (sarebbe come dire facciamo gli Appenninici, facciamo gli Alpinisti o i Padani [che pure ci hanno provato]). Oltre 150 anni non hanno fatto un bel niente, non ci è riuscita neppure la dittatura fascista con il suo lavaggio del cervello nelle scuole, continuato nel dopoguerra dagli stessi fascisti mascherati da democristiani.
    Se c’è qualcuno che merita il rispetto in questo stato, sono i partigiani, perché hanno combattuto per la libertà e non per la “patria” cara ai fascisti.
    Si guardi anche la carta geografica… La Sardegna non appartiene all’itaglia neppure geograficamente. Lei che si sente italiano, dia retta almeno a Dante, il divin poeta, che disse chiaramente che i sardi non erano italiani (lo disse per disprezzo, ma va bene).
    Si cerchi una bella residenza in terra italiota, magari chieda alla trimurti Renzi-Salvini-Meloni che saranno contenti di ospitarla.

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