Alzare la voce per non perdere la speranza

24-maggio-19-greta
Le ragioni scientifiche di Greta
di Pietro Greco su Rocca

Lasciamo perdere i costi, che ammonteranno ad (appena) lo 0,15% del Prodotto interno lordo dell’Unione europea. Ma gli obiettivi vincolanti di riconversione energetica per contrastare i cambiamenti del clima che, nero su bianco, si sono dati i 27+1 paesi del Vecchio Continente che si riconoscono nella Commissione di Bruxelles sono piuttosto ambiziosi. Anzi,
diciamo subito che sono gli obiettivi più ambiziosi a scala planetaria: riduzione del 40% delle emissioni di gas serra rispetto ai livelli di riferimento del 1990; una quota delle rinnovabili nel paniere energetico non inferiore al 27%; un miglioramento dell’efficienza energetica del 27% (quest’ultimo obiettivo verrà riesaminato nel 2020 per raggiungere un traguardo minimo del 30%).

Tutto questo in vista di giungere al 2050 con la possibilità concreta di ridurre le emissioni di biossido di carbonio, metano e altri gas serra di almeno l’80/95%. No, non c’è dubbio. Il progetto che si è dato l’Unione Europea per rispettare gli Accordi di Parigi del 2015 e, anzi, fare da traino è davvero ambizioso. Non sarà facile portarlo a termine. Di certo, allo stato, nessuno al mondo ne ha uno analogo.
Eppure la piccola Greta Thunberg sta raccogliendo consensi di massa in giro per l’Europa e mobilitando folle di giovani sostenendo che tutto questo non basta. È andata al parlamento europeo per dire che noi adulti le stiamo rubando il futuro e che se vogliamo restituirglielo (a lei e alle future generazioni) l’obiettivo di riduzione dei gas serra dell’Unione Europea da qui al 2030 deve almeno raddoppiare e raggiungere la quota dell’80%.

la comunità scientifica sul clima
Qualcuno ha detto che, nella sua ingenuità giovanile, Greta è, allo stesso tempo, irrealistica e ingenerosa. Eppure… Vediamo cosa dice la comunità scientifica, nella sua parte maggioritaria e più autorevole in fatto di clima. Lo scorso mese di ottobre l’IPCC (Intergovernmental Panel on Climate Change), il gruppo di scienziati internazionali che opera su mandato delle Nazioni Unite ha messo, anche lui, nero su bianco concetti e numeri chiari. Cerchiamo di riassumerli.
Il clima del pianeta Terra non cambierà in futuro. È già cambiato e sta continuando a farlo. La temperatura media del globo è già aumentata di 1,1 °C rispetto all’epoca preindustriale. E gli effetti già si vedono: eventi meteorologici estremi più frequenti, aumento del livello dei mari di una decina di centimetri; scioglimento dei ghiacci ai poli e sulle montagne; aumento della
desertificazione; cambiamento del ciclo delle acque; aumento delle migrazioni per cause ambientali.
Le cause, ormai è certo, sono quasi tutte ascrivibile alle attività umane. E, in particolare, all’uso dei combustibili fossili e, in misura minore, ai processi di deforestazione e di cambiamento del paesaggio naturale.
Le simulazioni al computer – fondate su solide basi scientifiche – ci dicono che la temperatura media del pianeta crescerà ancora da qui alla fine del secolo, con effetti giudicati da tutti indesiderabili. Dove quel tutti include i paesi membri delle Nazioni Unite che hanno ufficialmente dichiarato di voler contrastare i cambiamenti climatici indotti dall’uomo proprio per evitarli quegli effetti indesiderabili. Nel 2015 a Parigi i quasi 200 paesi del mondo che hanno firmato la Convenzione Quadro delle Nazioni Unite sui Cambiamenti del Clima (UNFCCC) si sono posti come obiettivo quello di riuscire a contenere l’aumento della temperatura media del pianeta ben al di sotto dei 2°C. E, per dare un minimo di concretezza a questo impegno morale, hanno individuato delle politiche di prevenzione da attuare. Politiche che, a differenza di quelle che si è data autonomamente l’Unione Europea, non sono vincolanti.
Ebbene, se anche tutti gli impegni presi a Parigi fossero rispettati, dicono le simulazioni al computer degli scienziati, la temperatura media del pianeta a fine secolo non starà sotto i 2°C ma sopra, forse molto sopra, i 3°C.

gli accordi di Parigi non bastano
Dunque, ha ragione Greta, gli accordi di Parigi – che devono essere rivisti il prossimo anno, nel 2020 – non sono per nulla sufficienti. Tanto più che lo scorso mese di ottobre l’Ipcc ha reso pubblico un rapporto speciale in cui sostiene che 2°C di aumento della temperatura media del pianeta rispetto ai livelli pre-industriali deve essere considerata una soglia di pericolo grave, perché oltre questo valore gli effetti indesiderabili potrebbero aumentare con un’intensità non lineare e produrre effetti devastanti per gli ecosistemi e la società umana. Un obiettivo di sicurezza, sostengono gli scienziati dell’Ipcc, sarebbe quello di limitare l’aumento della temperatura entro gli 1,5°C.
L’Ipcc ha indicato anche cosa bisogna fare per raggiungere questo obiettivo: occorrerebbe abbattere, a scala mondiale, del 49% le emissioni di carbonio (le principali emissioni serra) entro il 2030 rispetto ai livelli raggiunti nel 2017, per poi raggiungere la cosiddetta «neutralità carbonica» (in pratica un bilancio di emissione e assorbimento di biossido di carbonio pari a zero) entro il 2050.

perché Greta ha ragione
Se non si procederà con rapidità e determinazione verso questi obiettivi, supereremo la soglia dell’aumento di temperatura di 1,5°C tra il 2030 e il 2052 e quella dei 3°C alla fine del secolo.
Ora torniamo a Greta. La giovane e gagliarda attivista svedese ha ragione quando dice che gli obiettivi dell’Unione Europea saranno anche i più ambiziosi al mondo ma restano insufficienti.
A uno sguardo distratto la differenza tra gli obiettivi che si è posti Bruxelles per l’Europa e quelli indicati dall’Ipcc per il mondo non sono drammaticamente distanti. Con un piccolo ulteriore sforzo l’Europa potrebbe convergere verso il target indicato dall’Ipcc.
Ma questo non tiene conto di due fattori. Il primo è che la concentrazione attuale di gas serra in atmosfera è il frutto di un processo storico. Negli ultimi due secoli l’Europa e il Nord America hanno immesso in atmosfera più gas serra del resto del mondo. Hanno, dunque, la responsabilità storica che deve essere tenuta nel debito conto. Devono, insomma, fare di più e più in fretta degli altri.
Il secondo fattore riguarda la possibilità tecnica di raggiungere gli obiettivi indicati dall’Ipcc. L’Europa e il Nord America hanno a tutt’oggi le tecnologie più avanzate e le risorse economiche più adeguate per fare di più e più in fretta degli altri.
Tradotto in numeri, significa che quando Greta indica nell’80% la soglia dell’abbattimento delle emissioni di gas serra da abbattere entro il 2030 non va molto lontano dal livello giusto e desiderabile. Certo è molto più vicina lei a quel valore che l’Unione Europea con il suo 40%.
Dunque, l’indicazione di Greta è scientificamente fondata. Non sono, i suoi, numeri buttai lì a caso. E la sua urgenza è l’urgenza dei fatti.

mai dire mai
Ma quanto è politicamente realistica l’indicazione di Greta che è poi, in buona sostanza, quella dell’Ipcc? Detta in altri termini, i governi europei vorranno e potranno dar corso a questo formidabile cambiamento del paradigma energetico ed economico richiesto dalla prevenzione efficace dei cambiamenti climatici?
A guardare lo scenario politico europeo (e mondiale) attuale sembrerebbe che la risposta alle nostre domande è un rotondo no. Non ce la faremo mai. Ruberemo una fetta importante di futuro a Greta e a tutte le prossime generazioni.
Ma, mai dire mai. In fondo le società umane hanno dimostrato spesso di sapersi dare formidabili colpi di reni in caso di emergenza. E dunque, anche su questo Greta con le sue battaglie ha ragione. Dobbiamo alzare la voce per non perdere la speranza.
Pietro Greco
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Comunicazione di servizio.
lampada aladin micromicro Da ieri, lunedì 13 maggio, fino a domenica 19 maggio 2019 per ragioni di carattere organizzativo connesse agli impegni del direttore, gli aggiornamenti della News non saranno effettuati con la consuetà tempestività. Ce ne scusiamo con i lettori.

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