Che succede in Italia?

c3dem_banner_04NUMERO PARLAMENTARI. CASO SIRI. SALONE DEL LIBRO. RAI. AUTONOMIE
8 Maggio 2019 by Forcesi | su C3dem.
Sulla proposta di legge di modifica costituzionale relativa al numero dei parlamentari un ampio materiale nel blog di Stefano Ceccanti. La cronaca parlamentare di Andrea Fabozzi: “Taglio e zitti. Riforma pronta per gli spot elettorali” (Manifesto). L’intervista di Maurizio Martina al Corriere della sera: “La nostra sfida a Lega e 5stelle: solo una Camera da 500 membri”. CASO SIRI: Massimo Villone, “Come si manda via un sottosegretario ingombrante” (Manifesto). Sabino Cassese, “Perché i 5 stelle protestano solo adesso?” (intervista a Il Dubbio). Giovanni Orsina, “La giustizia in campagna elettorale” (La Stampa). CASO SALONE DEL LIBRO: Vladimiro Zagrebelsky, “In difesa della Costituzione” (La Stampa). Emilio Gentile, “Il fascismo non è la vera minaccia. Temo di più le urne deserte” (intervista al Corriere). Sabino Cassese, “Al Salone del libro ci sarò, un liberale deve fare così” (intervista al Messaggero). Gaetano Azzariti, “Farlo partecipare nega uno dei fondamenti della Carta” (intervista a Repubblica). Marco Revelli, “Un macigno che pesa sulla politica” (Manifesto). RAI: Giandomenico Crapis, “Giornalisti cattolici a me” (Manifesto). AUTONOMIE: Michele Ainis, “L’autonomia come sopruso” (Repubblica).
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Il pane e le spranghe [di Nicolò Migheli]
By sardegnasoprattutto / 10 maggio 2019/ Culture/
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Torino svela il gioco perverso delle istituzioni italiane: scaricare sui singoli la fatica dell’antifascismo [di Vito Biolchini]
By sardegnasoprattutto / 10 maggio 2019/ Culture/

Il pane e le spranghe [di Nicolò Migheli]
By sardegnasoprattutto / 10 maggio 2019/ Culture/
Che cosa sia diventata l’Italia ce lo chiediamo in molti. Le spiegazioni socio economiche sull’impoverimento di ampie fasce popolari non bastano a spiegare l’inferno dei sentimenti e delle relazioni che si è impadronito di molti italiani. Se le sinistre non avessero abbandonato le periferie sarebbe stato diverso? Difficile dirlo, ma anche questa tesi ha del giustificatorio, un allontanate da me questo calice.

C’è dell’altro che va oltre il giusto diritto al lavoro. Succedono eventi orrendi e ogni notizia lascia meno attoniti. Una mitridatizzazione delle coscienze che derubrica la xenofobia a comportamento ordinario. Nei fatti di Casal Bruciato c’è un aspetto che è stato sottolineato poco ma che ha una valenza simbolica dirompente. La famiglia bosniaca prima di prendere possesso dell’appartamento che gli era stato assegnato, era passata in un market dove aveva acquistato delle buste di pane da regalare ai propri vicini come segno della propria amicizia, come speranza di accettazione in un contesto difficile.

Il regalo del cibo, tradizione arcaica che percorre la vicenda dell’umanità. Condividere la fonte della vita. Un po’ come si faceva in Sardegna in altri tempi quando le famiglie si scambiavano la carne del maiale o pacchi di caffè e zucchero in segno d’amicizia. I bosniaci hanno riproposto la tradizione slava dell’offrire pane e sale all’ospite in segno di benvenuto. Però l’atto va oltre quel dono che nella nostra società assume anche risvolti religiosi.

Spezzare il pane è il rito più importante dei cristiani, in quel gesto si confermano come comunità in relazione con il divino. In comunione che è anche trasfigurazione della comunità: uniti in Cristo. Il pane con l’uovo è il simbolo della rinascita pasquale, in Sardegna per il kalendarium, candelargiu, il Capodanno, si regalavano come augurio ai bambini delle bamboline fatte di pane. Pane come nutrimento e simbolo, oltre ad essere cibo e archetipo. A quel dono si è risposto con le spranghe. In altre occasioni simili le pagnotte si sono calpestate, prese a calci, distrutte. Un oltraggio che è la quintessenza del rifiuto, dell’ostilità insanabile.

La tribalità contemporanea, a differenza di quella antica, non ha la capacità di ricomporre i conflitti perché non ne conosce più le sintassi vivendo il tempo dello scontro continuo. Si insulta il pane perché dimentichi della fatica contadina. Si sono smarriti simboli e significati perché si è diventati incapaci di riflessione, non si cerca più neanche chi possa aiutare o si ha la capacità di riconoscere chi è in grado di farlo e se ne accetti i consigli. Individui sollecitati continuamente dalla scarica di emozioni che i vari media distribuiscono quotidianamente, lasciati alle loro solitudini esistenziali. Si vive dentro un oceano di cinismo che sovrasta tutti.

I politici attingono a piene mani a questo disagio per avere e conservare il consenso, lasciano che squadracce si incarichino del lavoro sporco. Questi aizzano gli animi contro il diverso, costruiscono manifestazione dopo manifestazione l’idea mitica di una società chiusa, in cui solo il comunitarismo che esclude ha diritto di cittadinanza. Una società di ineguali che per reggersi ha bisogno di chi sia il più ineguale di tutti. Una scala gerarchica che dovrebbe agire da consolatrice, invece produce frustrazione continua.

Prima gli italiani, che cos’è se non questo? La predicazione che arriva dagli alti pulpiti trova menti disposte perché l’Italia non ha mai fatto i conti con se stessa e con le sue peggiori pulsioni. Un paese che si vive come portatore di civiltà, invece è stato capace nelle colonie, in Jugoslavia e Grecia, di azioni identiche a quelle naziste. Tutto questo però non è mai stato raccontato, nessuno dei criminali di guerra italiani è mai comparso in un tribunale che lo giudicasse come è avvenuto per i tedeschi a Norimberga e per i giapponesi a Tokio.

A Casal Bruciato si minaccia la signora bosniaca di stupro. La peggiore ignominia, l’arma delle guerre etniche: ingravidare con la propria progenie le donne del nemico. Italia 2019 sempre più simile al Ratto delle Sabine, mito fondante della romanità da cui i fascisti italiani attingono da sempre. Che cosa diverrà l’Italia dopo anni di questo accanimento terapeutico praticato scientemente nessuno lo sa. Una società non può reggersi con il conflitto permanente che spacca le coscienze, intorbida ogni relazione, incuba i segni di una disgregazione profonda.

Passerà anche questo governo. I principali attori conosceranno la polvere della sconfitta come è sempre avvenuto, anche il Reich millenario è durato solo dodici anni. Resteranno diseguaglianze territoriali, etniche, comunitarie difficili da ricomporre. Il danno più grave sarà quello delle coscienze. Occorreranno anni per riparare questi vulnus. Sempre sia possibile farlo.
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Torino svela il gioco perverso delle istituzioni italiane: scaricare sui singoli la fatica dell’antifascismo [di Vito Biolchini]
By sardegnasoprattutto / 10 maggio 2019/ Culture/

www.vitobiolchini.it 9 maggio 2019. La questione del Salone del Libro di Torino si è chiusa nell’unico modo possibile, cioè con l’esclusione della Altaforte dalla manifestazione culturale dopo che il suo editore Francesco Polacchi ha dichiarato di essere fascista e che il problema in Italia era l’antifascismo.

A mio avviso la vicenda, nata dal dibattito degli scrittori se partecipare o meno al Salone, ha avuto il merito di mettere in evidenza i limiti e la debolezza dell’antifascismo italiano: cioè il suo essere essenzialmente antifascismo dei singoli e non delle istituzioni. Perché quella delle istituzioni non è una semplice assenza ma un gioco perverso, in quanto queste scaricano sui singoli un peso e un compito più grande di loro, cioè quello di rappresentare da soli i valori dell’antifascismo nella nostra società.

Ed ecco dunque Michela Murgia e Wu-Ming su sponde opposte; ma è una contrapposizione solo apparente, creata ad arte dalle istituzioni che ottengono così il loro massimo risultato: spostare in maniera opportunistica dal piano politico (e dunque collettivo) a quello personale la militanza antifascista; e così facendo, lavarsene le mani. Perché dichiararsi antifascisti oggi in Italia continua ad essere un problema e fonte di imbarazzo, soprattutto per chi politicamente si riconosce nel centrodestra. E Salvini, sia chiaro, c’entra fino ad un certo punto perché tutto è iniziato con Berlusconi oltre vent’anni fa.

È dal 1994 che il centrodestra italiano, nelle sue rappresentante politiche e attraverso i suoi esponenti culturali e financo nella magistratura, cerca infatti di liquidare l’antifascismo, che non è altro però che sinonimo di democrazia e di libertà, e si fa portatore di un autoritarismo latente che non sfocia in fascismo (e in questo non sono per niente d’accordo con la Murgia e con le tesi del suo libro) solo perché oggi un regime politico fascista in occidente sarebbe d’intralcio al regime economico neoliberista che governa ovunque. L’autoritarismo è dunque un buon compromesso che viene tollerato in Europa (e infatti nessuno muove un dito per lo scandalo turco o la situazione in Ungheria).

L’antifascismo in Italia (e torniamo a noi) talvolta è ancora una pietra di intralcio per le istituzioni e la pubblica amministrazione in generale, e lo sforzo dei singoli è speso in gran parte a ottenere un riconoscimento pubblico dei valori dell’antifascismo. Di ciò si ha dimostrazione ogni 25 aprile, quando ritualmente (ma anche significativamente) ogni manifestazione locale assume un senso diverso se partecipano rappresentanti istituzionali e non solo singoli cittadini.

E non dappertutto sindaci o prefetti partecipano al 25 aprile. La questione da porre non era dunque se si era più antifascisti andando o non andando al Salone del Libro di Torino (non c’è risposta a questa domanda: e infatti Wu-Ming e Michela Murgia hanno espresso posizioni a loro modo entrambe condivisibili) ma per quale motivo il Salone del Libro ha accettato una casa editrice evidentemente fascista. Solo perché questa ha pagato lo stand?

Questo è stato e resta intollerabile. Perché è dalle istituzioni che dobbiamo pretendere risposte nette e l’adesione ai valori di libertà incarnati dall’antifascismo, non necessariamente dai singoli. Come è intollerabile che una parte della magistratura ormai abbia di fatto abolito il reato di apologia di fascismo, derubricando a semplice “manifestazione del pensiero” le adunate, i saluti romani, le dichiarazioni pubbliche intollerabili come quelle di Polacchi (che vedrete che anche lui alla fine sarà prosciolto).

I cittadini possono avere tutte le opinioni politiche del mondo, possono scrivere tutti i libri che vogliono, ma le istituzioni hanno il dovere di essere concretamente antifasciste. Purtroppo lo sono quasi sempre solo se costrette o sollecitate dall’opinione pubblica, ed è quello che è avvenuto a Torino. E questo è il problema.

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