Oggi sabato 8 giugno 2019

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Astensionismo: deficit della politica o dei cittadini?
8 Giugno 2019

Andrea Pubusa su Democraziaoggi.
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Politiche di coesione e sviluppo territoriale: in Europa non possiamo più aspettare
La nostra città futura

(A cura di Gianfranco Viesti, professore di Economia applicata presso l’Università di Bari)
(Segue)

La geografia economica europea del XXI secolo è profondamente diversa da quella della fine del Ventesimo. La localizzazione delle imprese e del lavoro fra nazioni, regioni, città, e i flussi di investimento e di commercio sono profondamente mutati.

Le radici di questi cambiamenti sono molteplici: da fattori strettamente politici, con l’aumento delle disuguaglianze fra le persone che caratterizzato le scelte degli ultimi due decenni in molti paesi, a mutamenti geo-politici, con l’allargamento ad Est e con la profonda crisi dell’Europa Meridionale in seguito alle difficoltà dei debiti sovrani e alla prolungata e intensa austerità.

Dai profondi mutamenti tecnologici connessi all’affermarsi della digitalizzazione, a quelli strettamente economico-internazionali, legati all’esplosione della produzione e delle esportazioni cinesi e alla formazione e al consolidarsi di grandi “catene del valore” fra paesi e regioni per la realizzazione di prodotti complessi.

A esito di tutto questo, l’Europa contemporanea non è più leggibile secondo uno schema Nord-Sud, con aree più avanzate e paesi e regioni ritardatari ma con segni di convergenza. È indispensabile adottare una schema cognitivo ed interpretativo più complesso, Nord/Sud/Est: dove l’Est è profondamente diverso sia dal Nord sia dal Sud, e si caratterizza per un mix di condizioni economiche, politiche e sociali del tutto originale.

Il cuore produttivo europeo si è spostato verso Nord-Est ed è rapidamente, e per certi versi inaspettatamente, rinato un forte blocco economico mitteleuropeo, fatto di investimenti internazionali e da flusso di semilavorati e prodotti finiti. Da Monaco di Baviera a Varsavia, da Berlino a Praga, come un secolo fa. Allo stesso tempo l’Europa Meridionale è tornata più periferica, e soffre assai più che nel XX secolo. La “macchina della convergenza” fra Nord e Sud dell’Europa sembra non funzionare più.

Ma la nuova geografia europea è complessa e articolata. A questa visione d’insieme ne vanno affiancate altre più fini, dettagliate; muovendosi da una scala geografica all’altra, dai confronti fra paesi e regioni ad analisi al loro interno. Così emergono crescenti divari fra città e luoghi non urbani.

Le prime concentrano molte manifatture avanzate e soprattutto i nuovi servizi del terziario digitale. E quindi i loro occupati: diventando così poli di attrazione per migrazioni interne di giovani qualificati. La loro popolazione aumenta. Ma non tutte le città prosperano; e crescono differenza sociali ed economiche al loro interno, fra i quartiri centrali e le periferia.

Molti luoghi rurali, molte aree interne sono colpiti, a Nord come a Sud come a Est, da depopolamento e invecchiamento. Allo stesso tempo, la struttura geo-economica si polarizza: crescono molte regioni del Nord europeo, caratterizzate da forte capacità innovativa nell’industria e nel terziario e dalla capacità di realizzare beni e servizi competitivi sui mercati internazionali; e molte (ma non tutte) aree dell’Est, integrate con le prime e caratterizzate da bassi costi di produzione, ma anche da modesta tassazione e welfare.

Soffre l’Europa a sviluppo intermedio, stretta fra le prime due. Al Sud, come nel Mezzogiorno italiano e in larghe fasce degli Iberici, ancora lontani dal pieno sviluppo, e anzi in “deindustrializzazione prematura”. Ma anche e soprattutto nelle aree già più forti, come nel Centro e in parti del Nord-Ovest italiano, ma anche nel Nord-Est francese, nel Nord inglese, a tratti persino in Germania: aree perdenti della globalizzazione, poco capaci di reinventarsi. Crescono così sensibilmente, specie al Nord e all’Est, le disparità interne ai più grandi paesi: che sono molto più importanti di venti anni fa.

Le conseguenze di questi cambiamenti sono assai rilevanti non solo per l’economia, ma anche sotto il profilo sociale e politico. Il progetto europeo sembra essere diventato incapace di garantire a tutti i cittadini dell’Unione un crescente benessere e soprattutto una profezia credibile di un futuro migliore.

È maturata cosi, forte e improvvisa nell’ultimo triennio, la rivolta elettorale delle “regioni che non contano”: con l’affermarsi di movimenti e partiti localisti e sovranisti, senza alcun respiro strategico ma con un forte capacità di catalizzare disillusione e rancore. L’Europa di oggi è quella della Brexit, strettamente collegata proprio all’esplosione della rabbia del Nord inglese perdente.

Basta questo a ricordarci che la geografia economica conta moltissimo; così come le disparità: non solo di reddito, ma anche di riconoscimento e di futuro. Ignorarle significa andare incontro a grandi rischi, anche per chi sta meglio, per i vincenti di queste trasformazioni. È il momento di riportare le grandi politiche di coesione e sviluppo territoriale al centro dell’attenzione della politica europea.
Fonte: https://m.huffingtonpost.it/entry/politiche-di-coesione-e-sviluppo-territoriale-in-europa-non-possiamo-piu-aspettare_it_5cf65013e4b0e8085e4062a9?fbclid=IwAR3Ucg6p4RP3tvmCcsKu3y5Nn4aE7bnel_piA6BMc4mb4AUTu56_vTIbXPE

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