Maturità: ma che valore ha il diploma finale?

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Ritanna Armeni su Rocca.

Gli esami di maturità [che cominciano proprio oggi] sono i primi dopo la riforma degli esami di Stato voluta dalla Buona Scuola, e i 520.000 studenti chiamati alla prima prova [oggi] 19 giugno si vedono un po’ come cavie. Incertezze, timori, ansie che contagiano amici e parenti. Un sondaggio di Skuola.net, uno dei loro siti più seguiti, dice che a preoccuparli di più tra tutte le novità introdotte è il nuovo colloquio «interdisciplinare». Che non prenderà il via, come in passato, dall’illustrazione di una loro tesina, ma dal sorteggio di una busta contenente documenti, testi, problemi da analizzare mostrando capacità di collegamenti interdisciplinari, di argomentazione, di riconoscimento dei nuclei fondanti delle discipline, di pensiero critico e quant’altro. L’idea di abolire la vecchia tesina – da non rimpiangere se non altro per i troppi casi impuniti di impudenti copiaeincolla – appartiene all’epoca della ministra Fedeli, il brivido da telequiz ce l’ha messo invece il ministro Bussetti. Ovvio che agli studenti la cosa non vada giù perché partire da un tema scelto ed elaborato in proprio sembra più rassicurante che affrontare l’alea di qualcosa di (relativamente) ignoto.

trambusto nelle commissioni
Assai meno ovvio, e a pensarci bene anche un po’ deprimente, è che al gran trambusto che ne è seguito per mesi abbia contribuito il diffuso fastidio tra gli insegnanti che faranno parte delle commissioni (6 membri, metà interni metà esterni, più il presidente) per dover preparare i contenuti delle buste, 27 ogni 25 studenti (neanche 8, quindi per ogni commissario). Non poche discussioni ci sono state nei mesi scorsi anche attorno alle modeste novità che riguardano le due prove scritte, quella di italiano perché è stato cancellato il tema di argomento storico – recuperabile, peraltro, con la scelta dei contenuti delle prove, e quella dedicata alle materie di indirizzo perché non si svolgerà più su una sola materia, ma su ragionevoli accoppiate come matematica e fisica nei licei scientifici, latino e greco nei classici, due lingue straniere invece che una nei linguistici e così via.
Nel primo caso le proteste una qualche ragione ce l’avevano, anche se la scomparsa dell’elaborato «storico» – argomentata dai decisori con il fatto che a sceglierlo negli ultimi anni sono stati sempre meno studenti, e con percentuali irrisorie – non può essere vista come causa ma piuttosto come effetto di un declino dell’interesse dei ragazzi per il sapere storico. Che ha più spiegazioni, di sicuro non solo interne alla scuola, che dovrebbero sollecitare un ripensamento radicale – che però in viale Trastevere non sembra esserci – sia della strutturazione della materia lungo i curricoli, sia della qualità del suo insegnamento: solitamente troppo poco ancorato a far cogliere i rapporti tra passato e presente, quindi poco capace di incuriosire, motivare, far riflettere.
Meno problemi, invece, per altre novità. Prima di tutto l’abolizione della prova interdisciplinare introdotta vent’anni fa dal ministro Berlinguer che, come rivela la denominazione spregiativa di «quizzone» che a un certo punto prese piede, venne rapidamente degradata, da un’amministrazione sempre troppo accomodante con le pigrizie professionali, da tentativo di indurre un insegnamento per campi di sapere integrati di diversi contenuti o approcci disciplinari a una prova di sterile profilo nozionistico.

a che serve un bel diploma?
Ma è di altro, a guardar bene, che gli studenti italiani dovrebbero preoccuparsi, e con loro un’opinione pubblica che fosse capace di guardare un po’ più in là delle spiegabili ansie di nipoti e figli maturandi. Perché la modesta riverniciatura dell’esame di Stato – una delle tante, dal 1970 ad oggi – non inverte affatto la tendenza che si nota da tempo ad indebolire il valore dei diplomi finali della scuola superiore. Con effetti problematici sia rispetto all’ingresso nel mercato del lavoro, che riguardano più da vicino i diplomati tecnici e professionali che non proseguono gli studi, sia rispetto al proseguimento in studi universitari (e, in prospettiva, anche al fantasma sempre pendente di un’abolizione del valore legale dei titoli di studio).
Una tendenza che abbiamo già visto all’opera, nell’ultimo decennio, quando molte importanti università hanno cominciato a selezionare con corsi, test ed esami le future matricole parecchi mesi prima degli esami di Stato, senza neppure aspettarne gli esiti. Che vuol dire questo se non che in Italia l’istruzione superiore terziaria dà sempre meno valore agli esami di maturità e alle votazioni finali? E che significano, nel mercato del lavoro, contratti per diplomati che prevedono inquadramenti, livelli retributivi, attività di formazione iniziale analoghe a quelle previste per chi ha il solo titolo di licenza media? La verità è che un esame che sembra contare assai poco dal momento che a superarlo è la quasi totalità degli ammessi e che dà troppo spesso luogo a votazioni finali discordanti dai risultati di apprendimento accertati da indagini comparative internazionali e dalle verifiche Invalsi – è noto il concentrarsi di 100 e 100 e lode proprio nelle aree territoriali in cui gli studenti imparano di meno – deprime l’affidabilità dei titoli. Non solo nel mondo del lavoro e in quello dell’istruzione terziaria, ma anche tra le famiglie più abbienti, che sempre più spesso cercano e comprano percorsi scolastici in istituti prestigiosi, in italia e all’estero. Mentre, sul versante interno alla scuola pubblica, tutto ciò si traduce in una poderosa spinta a non modificarne più che tanto l’impianto culturale e didattico. È un processo che va avanti da tempo. Ma perché anche le innovazioni introdotte dalla Buona Scuola (e dai ritocchi di Bussetti) non cambiano questo quadro e rischiano perfino di peggiorarlo?

questione di punti
Il primo elemento da considerare è che il valore massimo dei crediti formativi attribuibili al percorso scolastico nel triennio passa, con la riforma, da 25 punti (sul totale finale di 100 punti attribuibili) a 40. Se l’intenzione può essere quella di dare maggior valore a quello che si è acquisito nel triennio diminuendo il rischio di performances più basse in sede di esame, il combinato disposto tra questo e la regola per cui si è ammessi all’esame anche senza la sufficienza in tutte le materie e solo con una media del 6 cui concorre il voto sul comportamento, determina una situazione per cui può risultare davvero difficile l’impresa di non raggiungere quei 60 punti complessivi con cui si supera l’esame. Il che andrebbe anche bene se la valutazione degli insegnanti nel triennio e per l’ammissione agli esami fosse sempre al di sopra di ogni sospetto ma, in mancanza, diventa un dispositivo che depaupera ulteriormente di affidabilità l’esame stesso.
Anche altre disposizioni più minute, forse adottate solo per evitare i ricorsi, attenuano di fatto la serietà della prova, come quella in cui si precisa che gli insegnanti delle commissioni non possono interrogare il candidato se non sulla materia in cui sono abilitati, e solo relativamente al programma dell’ultimo anno del percorso scolastico. Ma come? Lo stesso candidato che dovrebbe, nel corso del colloquio interdisciplinare, dar prova di conoscere «I nuclei fondanti» delle diverse discipline, di saper fare collegamenti utilizzando le conoscenze e competenze acquisite nei diversi campi del sapere, dev’essere tutelato da eventuali domande riguardanti argomenti collegati sì, ma studiati in anni precedenti all’ultimo? E dove va a finire il rispetto per la competenza degli insegnanti e per la responsabilità delle commissioni? L’esame che esce da questa riforma, se ancora si può chiamarlo così (e in effetti la prova orale, di sicuro non a caso, si chiama «colloquio»), sembra inadeguato a ragazzi scolarizzati per almeno 13 anni (uno in più che nella maggioranza degli altri paesi europei), ormai maggiorenni, sul punto di compiere scelte fondamentali di vita e di lavoro, di cui bisognerebbe incoraggiare e premiare la responsabilità, la serietà, e anche la capacità di misurarsi con qualcosa di non totalmente prevedibile. Come si può pensare che fuori della scuola, sul versante di un mondo del lavoro sempre più difficile ed esigente, i diplomi della secondaria superiore possano essere presi sul serio? E che cosa c’è dietro a questa insistente infantilizzazione delle generazioni più giovani?

competenze trasversali e orientamento
unicamente alle decisioni del ministro Bussetti. Un indebolimento, anche qui, della complessità e dell’autorevolezza della prova orale che passa prima di tutto dalla scelta di ribattezzare l’alternanza scuola lavoro in Pcto – percorsi per le com- petenze trasversali e per l’orientamento – con la conseguenza che non si dovrà accertare, come invece prevedeva la riforma, l’acquisizione di competenze specifiche acquisite nell’esperienza, ma solo «riflettere in un’ottica orientativa sulla significatività e sulla ricaduta di tali attività sulle opportunità di studio e di lavoro post diploma». Una conversazione, dunque, non una prova. Coerente con la decisione, adottata nei primi giorni del mandato in omaggio alle contrarietà all’alternanza di molti insegnanti soprattutto dei licei, di ridurre fortemente il monte ore minimo dedicato all’alternanza (e relativi finanziamenti).

Cittadinanza e Costituzione
Nessuna coerenza, invece, e neppure l’ombra di una logica nella confusa ed improvvisata introduzione tra i temi oggetto del colloquio, di «Cittadinanza e Costituzione». Una materia «trasversale» di cui si attende ancora la definitiva approvazione parlamentare, e di cui ancora non si sa se sarà affidata a insegnanti specifici né tanto meno a quali, che diventa però di punto in bianco oggetto di valutazione specifica in sede di esame. Anche se è ampiamente noto che in moltissime scuole non ci sono stati finora percorsi strutturati o attività non sporadiche dedicate all’educazione alla cittadinanza. Anche se non ci sarà nessuno tra i commissari – perché non abilitato nella materia, e perché non c’è stato nessun programma dell’ultimo anno – che possa, secondo gli indirizzi di viale Trastevere, rivolgere agli studenti una qualsiasi domanda sul tema. Difficile ipotizzare che un’innovazione di questo tipo possa contribuire a rendere più seria e sensata la prova d’esame. Ma le cose vanno così in questa fase in cui, come scrivono gli opinionisti, «la scuola è uscita dal radar della politica» e in cui – si potrebbe aggiungere – anche quando ci rientra, le cose non migliorano. Ma per gli studenti che stanno per misurarsi con l’esame di Stato, questo momento di passaggio alla vita adulta è sempre molto importante. Auguri, allora, agli studenti. E anche agli insegnanti che sapranno, nonostante tutto, dargli il significato e il valore che merita.
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ROCCA 1 LUGLIO 2019
MATURITÀ: ma che valore ha il diploma finale?
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MATURITA’. Ecco le tracce (su Il fatto quotidiano).

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