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Editoriale
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Referendum per il lavoro, la solidarietà, la democrazia
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Firma la petizione e aiutaci a rompere questo silenzio:https://referendumcittadinanza.it/basta-censura-sui-referendum/
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. Al Consiglio di Amministrazione RAI
. All’amministratore delegato RAI
. Alla Direzione delle emittenti RAI
. Alla Commissione parlamentare per l’indirizzo generale e la vigilanza dei servizi radiotelevisivi.Con questa petizione pubblica denunciamo un fatto gravissimo: nonostante le interlocuzioni istituzionali e le rassicurazioni ricevute, i referendum dell’8 e 9 giugno non hanno avuto, fino ad oggi, nemmeno un minuto di copertura nei palinsesti televisivi della RAI.
Non un servizio, non un approfondimento, non un dibattito.
Zero minuti. Zero informazione. Zero democrazia.Questo silenzio è intollerabile. Il referendum è un diritto costituzionale, sancito dall’art. 75, e rappresenta l’unico strumento di democrazia diretta previsto dalla nostra Costituzione. Garantire ai cittadini una corretta e completa informazione sui quesiti referendari è un dovere della televisione pubblica. È, prima ancora, una garanzia democratica.
Oscurare deliberatamente il referendum significa negare ai cittadini la possibilità di scegliere consapevolmente. Significa calpestare il diritto all’informazione. Significa indebolire il patto democratico su cui si fonda la Repubblica.
Chiediamo, con forza, che la RAI — servizio pubblico finanziato con risorse pubbliche — rispetti immediatamente i propri obblighi di informazione e assicuri un’adeguata copertura dei referendum dell’8 e 9 giugno, come previsto dalla legge e dallo spirito della nostra Costituzione.
Non vi stiamo chiedendo un favore. Vi stiamo chiedendo di rispettare la legge.
Ogni giorno in più di silenzio è un giorno in meno di democrazia.BASTA CENSURA. LA RAI DIA SPAZIO AI REFERENDUM. ORA.
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L’occasione dei referendum: una proposta per rompere il silenzio
02/05/2025
(Da “Il Manifesto del 01/05/2025)La destra ha deciso di sabotare i cinque referendum abrogativi dell’8 e del 9 giugno. Di questi referendum i giornali non parlano, su di essi le televisioni non informano, i dibattiti pubblici li ignorano. L’obiettivo delle destre è il loro fallimento.
di Luigi FerrajoliIl successo dei referendum dipende infatti dal raggiungimento del quorum, cioè dal fatto che vadano a votare almeno la metà degli elettori. La destra punta sull’astensionismo, sull’apatia, sull’egoismo, sull’indifferenza morale, sul disimpegno civile, sul disinteresse politico delle persone per problemi che direttamente non le riguardano.
Eppure si tratta di cinque quesiti la cui condivisione è una scelta di civiltà. Sono tutti quesiti sull’uguaglianza, o meglio sulla riduzione delle disuguaglianze e delle discriminazioni. Il referendum sull’abbassamento da 10 a 5 anni del tempo di residenza legale in Italia necessario a ottenere la cittadinanza, vale a ridurre le disuguaglianze formali, di status, abbreviando i tempi nei quali i migranti sono non-persone, esclusi anziché inclusi nella nostra società. È un referendum contro il razzismo, contro l’esclusione, contro le paure, contro le diffidenze e le ossessioni identitarie, sulle quali le nostre destre hanno speculato, ottenendo consenso alle loro politiche disumane e così abbassando il senso morale dell’intera società.
I referendum sul lavoro, per la cui promozione dobbiamo essere grati soprattutto alla Cgil, sono diretti a ridurre le disuguaglianze sostanziali tra i lavoratori generate dalla precarietà e dalla potestà di licenziare. Sono referendum contro l’arbitrio, per la sicurezza contro gli infortuni e a sostegno della dignità del lavoro. Sono contro leggi che hanno distrutto l’uguaglianza nei diritti dei lavoratori, e con essa la solidarietà sulla quale si basava la soggettività politica del movimento operaio. Privando i lavoratori dei loro diritti e mettendoli in concorrenza tra loro, queste leggi hanno ridotto i lavoratori a merci. Hanno ribaltato la direzione del conflitto sociale: non più verso l’alto, ma verso il basso, nei confronti dei migranti e dei devianti di strada; non più contro le disuguaglianze ma contro le differenze – di nazionalità, di religione, di sesso, di condizioni economiche e sociali.
Sono tutti, questi referendum, altrettanti quesiti sul nostro grado di adesione e di condivisione della nostra Costituzione. Giacché tutti sono a sostegno dei fondamenti della Repubblica scritti nei primi articoli della nostra carta costituzionale: il lavoro, la dignità, l’uguaglianza di tutte le persone solo perché tali, siano esse migranti o lavoratori.
Soprattutto, questi referendum abrogativi non equivalgono a una qualsiasi votazione. Con essi non ci si limita a votare su chi ci governerà. Il voto nei referendum non equivale a una delega, ma a una concreta decisione destinata a migliorare la vita di milioni di persone. Rispondendo “Sì” ai quesiti referendari, i cittadini decidono, direttamente e personalmente, su questioni di fondo.
Operano una scelta per l’uguaglianza e contro il razzismo, le discriminazioni e lo sfruttamento. Fanno un passo nel senso dell’attuazione della nostra Costituzione. Difendono, con la dignità di migranti e lavoratori, la dignità di tutti noi.
Per questo è necessaria una mobilitazione dell’intero elettorato democratico diretto a indurre la maggioranza della popolazione ad andare a votare. Per questo, al silenzio-stampa e alla disinformazione con cui le destre intendono far fallire i referendum, è giusto opporre una risposta civile e di sicuro impatto mediatico. Tutti gli esponenti dell’opposizione – dal partito democratico ai Cinque Stelle, da Alleanza Verdi e Sinistra ai centristi antifascisti – tutte le volte che, in occasione dei telegiornali, vengono interpellati sulle svariate questioni del giorno, dovrebbero utilizzare questi brevi spazi di comunicazione per invitare le persone ad andare a votare. Dovrebbero trasformare le battute rituali ed inutili, che sono loro richieste, in informazioni sui contenuti dei referendum e in inviti ad andare a votare. Dovrebbero farlo in maniera apertamente provocatoria, ostentando la totale incongruenza di questi inviti con la questione sulla quale, volta a volta, vengono interpellati. Proprio perché la destra controlla la Rai e gran parte della stampa, proprio perché punta sull’ignoranza e la disinformazione, è necessario che quanti vengono intervistati su qualunque problema mostrino di voler far uso dei brevi spazi di comunicazione loro concessi per dire: «L’8 e il 9 giugno andate a votare nei referendum».
Un successo di questi referendum abrogativi equivarrebbe a un risveglio della ragione e, soprattutto, della coscienza democratica del nostro paese. Varrebbe a bocciare non solo le pessime leggi sottoposte ai quesiti referendari, ma l’intera politica di questo governo, illiberale e antisociale, e la sua penosa istigazione all’astensione e al qualunquismo. Rifonderebbe la fiducia nella democrazia. Restituirebbe vigore e vitalità alle nostre malandate istituzioni. Suonerebbe come un appello all’unità delle forze di opposizione e a un atto radicale di sfiducia popolare, e virtualmente di sfratto, nei confronti di questa destra al governo. È un’occasione storica irripetibile: la possibilità di una svolta, di un’inversione di rotta della nostra politica. Spetta a tutti noi non perdere questa occasione.
——————————————————I cinque quesiti referendari
Dal sito web della CGIL i cinque quesiti referendari e il punto di vista dello stesso sindacato.
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Stop ai licenziamenti illegittimiQuesito: “Volete voi l’abrogazione del d.lgs. 4 marzo 2015, n. 23, recante ‘Disposizioni in materia di contratto di lavoro a tempo indeterminato a tutele crescenti, in attuazione della legge 10 dicembre 2014, n. 183′ nella sua interezza?”.
Sostiene la Cgil: “Il primo dei quattro referendum sul lavoro chiede l’abrogazione della disciplina sui licenziamenti del contratto a tutele crescenti del Jobs Act. Nelle imprese con più di 15 dipendenti, le lavoratrici e i lavoratori assunti dal 7 marzo 2015 in poi non possono rientrare nel loro posto di lavoro dopo un licenziamento illegittimo. Sono oltre 3 milioni e 500mila ad oggi e aumenteranno nei prossimi anni le lavoratrici e i lavoratori penalizzati da una legge che impedisce il reintegro anche nel caso in cui la/il giudice dichiari ingiusta e infondata l’interruzione del rapporto. Abroghiamo questa norma, diamo uno stop ai licenziamenti privi di giusta causa o giustificato motivo”.
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Più tutele per le lavoratrici e i lavoratori delle piccole impreseQuesito: “Volete voi l’abrogazione dell’articolo 8 della legge 15 luglio 1966, n. 604, recante ‘Norme sui licenziamenti individuali’, come sostituito dall’art. 2, comma 3, della legge 11 maggio 1990, n. 108, limitatamente alle parole: ‘compreso tra un’, alle parole ‘ed un massimo di 6′ e alle parole ‘La misura massima della predetta indennità può essere maggiorata fino a 10 mensilità per il prestatore di lavoro con anzianità superiore ai dieci anni e fino a 14 mensilità per il prestatore di lavoro con anzianità superiore ai venti anni, se dipendenti da datore di lavoro che occupa più di quindici prestatori di lavoro’”.
Sostiene la Cgil: “Il secondo riguarda la cancellazione del tetto all’indennità nei licenziamenti nelle piccole imprese. In quelle con meno di 16 dipendenti, in caso di licenziamento illegittimo oggi una lavoratrice o un lavoratore può al massimo ottenere 6 mensilità di risarcimento, anche qualora una/un giudice reputi infondata l’interruzione del rapporto. Questa è una condizione che tiene le/i dipendenti delle piccole imprese (circa 3 milioni e 700mila) in uno stato di forte soggezione. Obiettivo è innalzare le tutele di chi lavora, cancellando il limite massimo di sei mensilità all’indennizzo in caso di licenziamento ingiustificato affinché sia la/il giudice a determinare il giusto risarcimento senza alcun limite”.
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Riduzione del lavoro precarioQuesito: “Volete voi l’abrogazione dell’articolo 19 del d.lgs. 15 giugno 2015, n. 81 recante ‘Disciplina organica dei contratti di lavoro e revisione della normativa in tema di mansioni, a norma dell’articolo 1, comma 7, della legge 10 dicembre 2014, n. 183′, comma 1, limitatamente alle parole ‘non superiore a dodici mesi. Il contratto può avere una durata superiore, ma comunque’, alle parole ‘in presenza di almeno una delle seguenti condizioni’, alle parole ‘in assenza delle previsioni di cui alla lettera a), nei contratti collettivi applicati in azienda, e comunque entro il 31 dicembre 2025, per esigenze di natura tecnica, organizzativa e produttiva individuate dalle parti;” e alle parole “b bis)’; comma 1 -bis , limitatamente alle parole ‘di durata superiore a dodici mesi’ e alle parole ‘dalla data di superamento del termine di dodici mesi’; comma 4, limitatamente alle parole ‘in caso di rinnovo’ e alle parole ‘solo quando il termine complessivo eccede i dodici mesi’; articolo 21, comma 01, limitatamente alle parole ‘liberamente nei primi dodici mesi e, successivamente?’”.
Sostiene la Cgil: “Il terzo punta all’eliminazione di alcune norme sull’utilizzo dei contratti a termine per ridurre la piaga del precariato. In Italia circa 2 milioni e 300 mila persone hanno contratti di lavoro a tempo determinato. I rapporti a termine possono oggi essere instaurati fino a 12 mesi senza alcuna ragione oggettiva che giustifichi il lavoro temporaneo. Rendiamo il lavoro più stabile. Ripristiniamo l’obbligo di causali per il ricorso ai contratti a tempo determinato”.
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Più sicurezza sul lavoroQuesito: “Volete voi l’abrogazione dell’art. 26, comma 4, del decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81, recante ‘Attuazione dell’articolo 1 della legge 3 agosto 2007, n. 123, in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro’ come modificato dall’art. 16 del decreto legislativo 3 agosto 2009 n. 106, dall’art. 32 del decreto legge 21 giugno 2013, n. 69, convertito con modifiche dalla legge 9 agosto 2013, n. 98, nonché dall’art. 13 del decreto legge 21 ottobre 2021, n. 146, convertito con modifiche dalla legge 17 dicembre 2021, n. 215, limitatamente alle parole “Le disposizioni del presente comma non si applicano ai danni conseguenza dei rischi specifici propri dell’attività delle imprese appaltatrici o subappaltatrici”.
Sostiene la Cgil: “Il quarto interviene in materia di salute e sicurezza sul lavoro. Arrivano fino a 500mila, in Italia, le denunce annuali di infortunio sul lavoro. Quasi 1000 i morti, che vuol dire che in Italia ogni giorno tre lavoratrici o lavoratori muoiono sul lavoro. Modifichiamo le norme attuali, che impediscono in caso di infortunio negli appalti di estendere la responsabilità all’impresa appaltante. Cambiamo le leggi che favoriscono il ricorso ad appaltatori privi di solidità finanziaria, spesso non in regola con le norme antinfortunistiche. Abrogare le norme in essere ed estendere la responsabilità dell’imprenditore committente significa garantire maggiore sicurezza sul lavoro”.
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Più integrazione con la cittadinanza italianaQuesito: “Volete voi abrogare l’articolo 9, comma 1, lettera b), limitatamente alle parole ‘adottato da cittadino italiano’ e ‘successivamente alla adozione’; nonché la lettera f), recante la seguente disposizione: ‘f) allo straniero che risiede legalmente da almeno dieci anni nel territorio della Repubblica’, della legge 5 febbraio 1992, n. 91, recante nuove norme sulla cittadinanza?’”.
Sostiene la Cgil: “Il quinto referendum abrogativo propone di dimezzare da 10 a 5 anni dei tempi di residenza legale in Italia per la richiesta di concessione della cittadinanza italiana, ripristinando un requisito introdotto nel 1865 e rimasto invariato fino al 1992. Nel dettaglio si va a modificare l’articolo 9 della legge n. 91/1992 con cui si è innalzato il termine di soggiorno legale ininterrotto in Italia ai fini della presentazione della domanda di concessione della cittadinanza da parte dei maggiorenni. Il referendum sulla Cittadinanza Italiana non va a modificare gli altri requisiti richiesti per ottenere la cittadinanza quali: la conoscenza della lingua italiana, il possesso negli ultimi anni di un consistente reddito, l’incensuratezza penale, l’ottemperanza agli obblighi tributari, l’assenza di cause ostative collegate alla sicurezza della Repubblica. Questa modifica costituisce una conquista decisiva per circa 2 milioni e 500mila cittadine e cittadini di origine straniera che nel nostro Paese nascono, crescono, abitano, studiano e lavorano. Allineiamo l’Italia ai maggiori Paesi Europei, che hanno già compreso come promuovere diritti, tutele e opportunità garantisca ricchezza e crescita per l’intero Paese”.
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Politica. Che succede? Che succederà?
Stamattina mi son preso il tempo di leggere un editoriale di Eugenio Scalfari, cosa che faccio davvero raramente.
Mi ha infatti incuriosito il titolo “L’onda della sinistra contro un leader azzoppato”.
Incuriosito e persino in qualche modo, come spiegherò, allarmato.
Allarmato perché ogni volta che vedo un tentativo di “metter cappello politico” sugli esiti -peraltro incerti- di un vasto e articolato [segue]
Men che meno se come me, di sicura matrice ideale di sinistra, non si riconoscono affatto in nessuna delle componenti della sinistra e del centrosinistra italiani di questa contemporaneità, PD in primo luogo.
In secondo luogo perché non è affatto vero che la reazione al tentativo di colpo di mano di Salvini ha visto la sinistra e il centrosinistra politici assumere alcuna guida consapevole del sentimento sociale e di opinione che ha incrinato quel tentativo di colpo di mano.
Nel modo politico quel tentativo al momento si è infranto anzitutto sullo scoglio dei rapporti di forza parlamentari.
Lega e centrodestra non avevano vinto le elezioni del 4 marzo 2018 e in Parlamento i numeri per imporre soluzioni non ce li hanno.
Se è vero che i sondaggi in vista di possibili elezioni sembrano assicurare loro un successo, avrebbe dovuto esser del tutto prevedibile che il partito che ha la maggioranza relativa in entrambe le Camere, cioè il M5S, non sarebbe stato disponibile alla liquidazione del proprio 33 per cento da parte di un partito che ha una consistenza parlamentare del 17 per cento.
Nel contempo, la spregiudicata, imprevedibile, ma abilissima apertura di Matteo Renzi a un accordo col M5S per una maggioranza alternativa in questo Parlamento ha sparigliato tutti i giochi, in fondo levando a uno Zingaretti inerte e quasi rassegnato non poche castagne dal fuoco.
Segnamo quindi un punto, intanto, a favore dell’istituzione parlamentare nei confronti di tutte le finora prevalenti tendenze alla sua liquidazione.
C’è da dire che questa ripresa di importanza del Parlamento nel gioco politico-istituzionale ha anche rafforzato un’altra istituzione finora dimostratasi debole, la Presidenza del Consiglio dei Ministri, tant’è che Conte ha potuto svolgere una funzione politica anche nel laborioso e faticoso -non ancora completato- sblocco della vicenda Open Arms.
Questo aspetto conferma che un Parlamento nella pienezza della sua funzione non contrasterebbe affatto con una funzione forte del Capo del Governo e che forse si potrebbe lavorare, in prospettiva di una riforma, sul superamento del mero ruolo di “primus inter pares” del Presidente del Consiglio dei Ministri, che addirittura è stato ulteriormente indebolito dal trasferimento di poteri a favore del Ministro dell’Interno nel “decreto-sicurezza bis”.
Un rafforzamento della Presidenza del Consiglio che andrebbe ricavato non sottraendo poteri alle Camere, bensì, in virtù del rapporto fiduciario con le stesse, sottraendoli ai lacci dei vincoli partitici e correntizi interni ai governi di coalizione e tramandati pressoché immutati dalla Prima alla Seconda (e Terza?) Repubblica.
Ma anche questo sarebbe in controtendenza con tutte le elaborazioni istituzionali finora correnti, comprese quelle prevalenti nel centrosinistra. Talchè finora l’unica proposta avente un milieu comune fra M5S, Lega e parte del PD resterebbe invece proprio e solo il taglio tout court del numero dei parlamentari, che dei problemi sopraddetti non ne risolverebbe alcuno, ma ne creerebbe di molti altri sul piano della riduzione oligarchica e partitica della democrazia rappresentativa italiana.
Infine, tornando al nucleo del ragionamento critico dal quale siamo partiti, la reazione antisalviniana, sul fronte esterno al Palazzo ha anche alcuni aspetti (fortunatamente) ricorrenti nelle vicende italiane.
Come accadde per Craxi, poi per Renzi, anche nei confronti di Salvini sembra esser scattato un rigetto diffuso verso la figura di Capo aspirante all’esercizio di pieni poteri.
Queste figure godono spesso più di un’immagine enfatizzata dai media, loro favorevoli o loro ostili, che di un impatto realmente accattivante per la gran parte dei cittadini.
Tanto più che la loro esorbitante esposizione quotidiana ne rivela anche i proponimenti ondivaghi, le umoralità, i narcisismi personalistici e le pretese di status privilegiato per se, per famigliari e per famigli che disturbano profondamente le persone comuni, contrastano con l’evocazione del princeps quale antidoto agli oligarchi, non garantiscono neppure quella stabilità di indirizzo, soprattutto economico, cui fondamentalmente la massa mediamente aspira se non aizzata continuamente allo scontro, cosa che tuttavia non si può fare in eterno, pena reazioni in senso contrario.
Al momento perciò è l’articolato e complesso sistema italiano, irriducibile tuttora alla semplificazione volontaristica di matrice ideologico-propagandistica, a reagire alle modalità di apertura della crisi, in fondo chiedendo un riequilibrio, un nuovo provvisorio assestamento.
La sinistra c’entra non in quanto Araba Fenice risorgente, ma in quanto sedimento culturale all’interno di un più vasto sedimento democratico, che, seppur senza rappresentanza, può giovarsi ancora di una Costituzione acciaccata si, da riforme poco meditate, tuttavia ancora baluardo e garanzia, negli stessi meccanismi istituzionali e nella sacrosanta ripartizione dei poteri fra ordini e soggetti della Repubblica, della stabilità fondamentale del Paese.
Scalfari indica nel suo editoriale (bisogna dargliene atto) alcuni punti programmatici utili anche per una “sinistra”, specie sotto il profilo economico-sociale: taglio del cuneo fiscale, ossia della tassazione sul lavoro, redistribuzione del reddito a favore dei soggetti più esposti alle difficoltà del ciclo economico, finanziata attraverso il perfezionamento del criterio di progressività fiscale.
Concordo: se fossero posti al centro di un possibile accordo fra CSX e M5S per un Governo onesto che gestisca una nuova fase politica ne sarei contento.
Per parlare tuttavia di rilancio di una sinistra ci vorrà più tempo, comunque, anche perché non è che le nostre idee sul tema siano poi così chiare e condivise.
Perciò non mettiamo cappello: facciamo piuttosto tutti il nostro costante dovere di cittadini democratici, rispettandoci fra noi e recuperando il rispetto del Paese verso se stesso e verso la democrazia.
Sarà già tanto.