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È possibile ripudiare la guerra? Solo una bella utopia?

31164aa3-d269-4cda-afb3-2aa0142c9843GUERRA, sempre? PACE, mai?
Maria Paola Patuelli​
20 aprile 2022 Democrazia costituzionale.

Poco dopo l’inizio della guerra, mi è stato chiesto di condurre un dialogo fra voci diverse. Chiesi di aprire con una mia personale riflessione dettata dalla cultura femminista che da tempo mi sta facendo rileggere la storia del mondo da un altro punto di vista, il più radicale da me trovato. Sono passate ormai settimane, la guerra continua in forme sempre più tragiche. Riprendo in mano gli appunti stesi in quell’occasione. Il mio addolorato spaesamento continua, e aggiungo considerazioni lunari. Meglio, lunatiche.
Un punto di vista non neutro, il mio, come il maschile che si presume universale. In genere si associa il neutro alla mancanza di estremi. La guerra è l’opposto del neutro, è un estremo, è torrida. E calda lo era anche nei decenni in cui fu definita fredda. Fredda per chi, poi? Per noi casualmente nati in Europa o negli USA. Fredda non lo fu in Corea, anche per molti giovani americani che vi lasciarono la vita. Non fu fredda nel Vietnam, una guerra che coinvolse le passioni di molte e molti giovani della mia generazione. Molti furono i fronti caldi, pure in un mondo che pareva regolato da un ordine bipolare chiaro. In quel tempo non avevo chiavi di lettura femministe. E mi collocavo nella parte che mi pareva la migliore.
Il neutro universale mi fa pensare, oggi, all’estremo abissale di una cultura maschile, radicata fin dall’inizio della storia umana. Spiegherò questo maschile nel corso della riflessione.
In apertura dell’incontro a più voci, sono partita da un libro del 1974, che fu per me di grande nutrimento, La storia. Uno scandalo che dura da diecimila anni, di Elsa Morante. Quale è lo scandalo? La guerra. Non a caso, pensai allora, quando comparve la parola di Gesù, fu considerata uno scandalo ribaltante, perché bandiva la guerra, considerata al tempo di Gesù naturale come la grandine. Fu messa in croce la predicazione della pace. Predicazione presto rimossa. E molte potenze cristiane, anche di cristianesimi fra loro diversi, nel passato e nel presente, guerreggiano. E’ naturale?
Come comincia il racconto di Elsa Morante? Con un soldato ubriaco che stupra una donna. Maschio casualmente tedesco, donna casualmente italiana.
Donne estranee alla guerra, fuori dalla storia per tempi immemorabili, estraniate. Volute fuori, estranee, perché impegnate doverosamente in altri compiti sociali. Ma tracce di estraniamento critico compaiono, quasi dal sen fuggite. Nell’Iliade, Cassandra, Ecuba, Andromaca, tragicamente estranee, lontane dal coraggio dei loro maschi, meglio morire da eroi che essere sconfitti. Simone Weil scrisse L’Iliade le poème de la force, opera fondativa dell’immaginario maschile occidentale ben più dei Vangeli. Omero vince su Gesù. Normale? Guerra, fra forza violenta e maschile piacere, brividi di piacere lungo la schiena, forti emozioni. Christa Woolf, comunista e femminista, in Cassandra fa esplodere il suo urlo femminista. Fossero così pacifiche le esplosioni causate dall’invenzione della polvere da sparo, che ha segnato la nostra storia non meno dell’invenzione della stampa, due invenzioni cinesi arrivate quasi simultaneamente in Europa. E tutto cambiò seppure non con la velocità del tempo presente. Per restare in Grecia, punto di partenza della nostra civiltà, Aristofane ci prende in giro, in Lisistrata, raccontando di donne stanche di guerra che minacciano lo sciopero del sesso. Evidentemente sotto traccia qualcosa ribolliva nel sentire delle donne ateniesi e non solo.
Faccio un salto di millenni, ma in mezzo c’è stata sempre la stessa musica, guerre, donne merce di scambio, stupri. Ed eroi coraggiosi, costi quel che costi.
Virginia Woolf, in Le tre Ghinee, denuncia in modo netto, indiscutibile, il legame fra sistema patriarcale, militarismo, regimi totalitari e il nesso stretto fra potere nella sfera pubblica e nella sfera privata.
Le sue parole.
Il modo migliore di aiutarvi a prevenire una guerra non è ripetere le vostre parole e i vostri metodi, ma di trovare nuove parole e inventare nuovi metodi.
Io in quanto donna non ho patria. In quanto donna, la mia patria è il mondo intero.
Cara sorella Virginia, sorella non perché abbiamo lo stesso sesso, ma perché la pensiamo allo stesso modo. Le tue parole raggiungono, indietro nel tempo, il cosmopolitismo dell’ateo e materialista Democrito – a me fratello – e il radicale pacifismo del cristiano Erasmo da Rotterdam, che, prima che avesse inizio la rivoluzione luterana, scrisse Il Lamento della pace. Dove spiegò, con parole le più radicali, dopo quelle di fratello Francesco – del Duecento – che la guerra non è solo crudele. E’ inutile e stupida. Quello che sta ogni giorno dicendo Francesco, il Papa di oggi. Ascoltato da pacifisti, uomini e donne, quegli ingenui – ma dove vivono? – e da femministe. Ben diverso da Papi del passato, alcuni anche in armi, e da varie chiese, che benedivano armi amiche. Got Mit Uns. La riedizione di un Olimpo patriarcale, un Dio per ogni diverso esercito.
L’unico modo per spiegare la guerra, la vergogna umana per eccellenza, è porsi al di fuori, farsi, almeno per qualche istante, apolidi, guardare la terra dalla luna. Non è un caso, forse, se spesso le donne strane sono definite lunatiche. Virginia Woolf, lunatica, vide le divisioni all’interno dei movimenti pacifisti del suo tempo, e ne fu addolorata. Senza dimenticare che lei stessa fu vittima di guerra. Vedendo, da lontano, i bombardamenti sulla sua amata Londra, decise che al mondo non voleva più starci. E se ne andò.
Sia chiaro. Le donne non sono nate pacifiche e i maschi bellicosi. La spiegazione è nella storia, nella cultura. Disperazione e speranza. Speranza che non avremmo, se fosse faccenda di natura. Se i maschi fossero bellicosi per natura, nulla di buono vedremmo, come possibilità, davanti a noi. Le donne sono pacifiche per natura? Ci sono state regine, all’interno di una cultura patrircale pienamente accolta, che hanno esercitato il potere con guerre – anche donne capo di stato recenti – e, stando ai giorni nostri, vediamo donne che scelgono il mestiere delle armi, un esito della emancipazione che ben poco mi piace. In Irak abbiamo visto donne che partecipavano a torture per umiliare il nemico sconfitto. Arduo spiegare a un eventuale abitante della luna perché gli irakeni fossero nemici di nate e nati in Usa. Lessi, poi, che una di loro era, in quel momento, incinta. Naturale? Quando furono aperte alle donne le porte degli eserciti, non molto tempo fa, pensai che ogni porta chiusa viene prima o poi aperta. Ma cosa sperai? Che le donne dicessero, no, grazie. E invitassero i maschi a fare altrettanto.
Rientro lentamente – in quanto lunatica -, e con fatica, nel mondo comune.
Le stesse analisi di Virginia Woolf le ho trovate in un libro recente di Giorgia Serughetti Il vento conservatore. La destra populista all’attacco della democrazia, uscito prima della guerra. Giorgia Serughetti indica le stesse connessioni: Dio, Patria, Famiglia, da Trump a Putin, passando per Salvini. Una vasta geopolitica. Tutta destra populista, una internazionale di destra, una ferita per me che ho alle spalle una gioventù dove l’internazionalismo era sicuramente di sinistra. O, almeno, così sentivo. La stessa analisi di Virginia in Le Tre Ghinee. La sacra alleanza, fra Putin e Kirill, il patriarca di tutte le Russie. Trono e altare. Vecchia storia. Nostalgia dell’Impero che fu, da riprendere, costi quel che costi. Femmine al loro posto e maschi al loro superiore posto. Minoranze sessuali? Che orrore! Ma c’è una matassa ancora più difficile da districare. Trump disse che non voleva più occuparsi delle disgrazie degli altri popoli. Biden, nello spazio di un mattino si ritira dall’Afganistan. Io, lunare, pensai. Cha abbiano capito che le guerre è inutile farle? Che sia diventato più saggio di Putin, che bombarda in Siria? La democrazia liberale fa un passo in avanti? Invece, cosa scopro, in questi giorni? Che l’Ucraina, martoriata, è stata riempita da tempo di armi occidentali, tantissime, e di ogni tipo. Perché? Che la Cia opera da tempo in Ucraina. Perché? Non ricordo chi, nel passato, disse. L’Orso russo è difficile da stanare dalla sua tana. Ma quando ne è uscito, ancora più difficile è farlo rientrare. Allora chiedo ai grandi esperti di mondo e di guerre. Siete impreparati, non fate bene il vostro mestiere, o vi piace proprio il mestiere della guerra? L’orso lo avete voluto stanare? E l’orso si è fatto stanare e intrappolare? Tutti molto bravi, non c’è che dire, i professionisti del potere e della guerra. Non dico della politica. Perché qui dall’alto, sulla Luna, dove mi trovo, non vedo la politica. Chissà dove si è nascosta. Così come vedo un’Europa che si restringe sempre più, come un tessuto lavato a temperature troppo altre, brucianti.
Io, lunare, pensavo che era la cultura dei diritti umani – la parte migliore della storia europea – che l’Est post sovietico voleva, non le armi e i servizi segreti occidentali. Di nuovo ha ragione Virginia. Se si resta dentro lo stesso schema non di gioco, ma di guerra, le dinamiche sono sempre le stesse. In Occidente, in Oriente, nelle democrazie liberali, nei regimi ancora comunisti (quali?) e post comunisti. Vanno inventate nuove idee, nuove parole, nuovi metodi. Che non trovo né nei filo Putin né nei filo Zelenski. Né a Ovest, né a Est.
Sono equidistante? No, sono sulla Luna.
Femministe, donne e uomini pacifisti hanno manifestato, correndo grande pericolo, contro la guerra, a Pietroburgo, a Mosca. Giorgia Serughetti ha recentemente ricordato le attiviste russe della Feminist anti-war resistans. Generazioni, generi e culture plurali, inedite, si affacciano all’orizzonte. Qui mi ritrovo non più lunare. In un mondo che ancora non c’è.
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Manifesto Russell-Einstein
Nel 1955 il filosofo-matematico Bertrand Russell e lo scienziato Albert Einstein si fanno promotori di una importante dichiarazione in favore del disarmo nucleare e della scelta pacifista per l’umanità, sottoscritta da scienziati e intellettuali di prestigio.
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Nella tragica situazione che l’umanità si trova ad affrontare, riteniamo che gli scienziati debbano riunirsi per valutare i pericoli sorti come conseguenza dello sviluppo delle armi di distruzione di massa e per discutere una risoluzione nello spirito del documento che segue.
Non parliamo, in questa occasione, come appartenenti a questa o a quella nazione, continente o credo, bensì come esseri umani, membri del genere umano, la cui stessa sopravvivenza è ora in pericolo. Il mondo è pieno di conflitti, e su tutti i conflitti domina la titanica lotta tra comunismo
e anticomunismo. Chiunque sia dotato di una coscienza politica avrà maturato una posizione a riguardo. Tuttavia noi vi chiediamo, se vi riesce, di mettere da parte le vostre opinioni e di ragionare semplicemente in quanto membri di una specie biologica la cui evoluzione è stata sorprendente e la cui scomparsa nessuno di noi può desiderare.
Tenteremo di non utilizzare parole che facciano appello soltanto a una categoria di persone e non ad altre. Gli uomini sono tutti in pericolo, e solo se tale pericolo viene compreso vi è speranza che, tutti insieme, lo si possa scongiurare.
Dobbiamo imparare a pensare in modo nuovo. Dobbiamo imparare a domandarci non già quali misure adottare affinché il gruppo che preferiamo possa conseguire una vittoria militare, poiché tali misure ormai non sono più contemplabili; la domanda che dobbiamo porci è: “Quali misure occorre adottare per impedire un conflitto armato il cui esito sarebbe catastrofico per tutti?”
La gente comune, così come molti uomini al potere, ancora non ha ben compreso quali potrebbero essere le conseguenze di una guerra combattuta con armi nucleari. Si ragiona ancora in termini di città distrutte. Si sa, per esempio, che le nuove bombe sono più potenti delle precedenti e che se una bomba atomica è riuscita a distruggere Hiroshima, una bomba all’idrogeno potrebbe distruggere grandi città come Londra, New York e Mosca.
È fuor di dubbio che in una guerra con bombe all’idrogeno verrebbero distrutte grandi città. Ma questa non sarebbe che una delle tante catastrofi che ci troveremmo a fronteggiare, e nemmeno
la peggiore. Se le popolazioni di Londra, New York e Mosca venissero sterminate, nel giro di alcuni secoli il mondo potrebbe comunque riuscire a riprendersi dal colpo. Tuttavia ora sappiamo, soprat- tutto dopo l’esperimento di Bikini, che le bombe atomiche possono portare gradatamente alla distruzione di zone molto più vaste di quanto si fosse creduto.
Fonti autorevoli hanno dichiarato che oggi è possibile costruire una bomba 2500 volte più potente di quella che distrusse Hiroshima. Se fatta esplodere a terra o in mare, tale bomba disperde nell’atmosfera particelle radioattive che poi ridiscendono gradualmente sulla superficie sotto forma di pioggia o pulviscolo letale. È stato questo pulviscolo a contaminare i pescatori giapponesi e il loro pescato.
Nessuno sa con esattezza quanto si possono diffondere le particelle radioattive, ma tutti gli esperti sono concordi nell’affermare che una guerra con bombe all’idrogeno avrebbe un’alta probabilità di portare alla distruzione della razza umana. Si teme che l’impiego di molte bombe all’idrogeno possa portare alla morte universale – morte che sarebbe immediata solo per una minoranza, mentre alla maggior parte degli uomini toccherebbe una lenta agonia dovuta a malattie e disfacimento.
In più occasioni eminenti uomini di scienza ed esperti di strategia militare hanno lanciato l’allarme. Nessuno di loro afferma che il peggio avverrà per certo. Ciò che dicono è che il peggio può accadere e che nessuno può escluderlo. Non ci risulta, per ora, che le opinioni degli esperti in questo campo dipendano in alcuna misura dal loro orientamento politico e dai loro preconcetti. Dipendono, a quanto emerso dalle nostre ricerche, dalla misura delle loro competenze. E abbiamo riscontrato che i più esperti sono anche i più pessimisti.
Questo dunque è il problema che vi poniamo, un problema grave, terrificante, da cui non si può sfuggire: metteremo fine al genere umano, o l’umanità saprà rinunciare alla guerra? È una scelta con la quale la gente non vuole confrontarsi, poiché abolire la guerra è oltremodo difficile.
Abolire la guerra richiede sgradite limitazioni alla sovranità nazionale. Ma forse ciò che maggior- mente ci impedisce di comprendere pienamente la situazione è che la parola “umanità” suona vaga e astratta. Gli individui faticano a immaginare che a essere in pericolo sono loro stessi, i loro figli e nipoti e non solo una generica umanità. Faticano a comprendere che per essi stessi e per i loro cari esiste il pericolo immediato di una mortale agonia. E così credono che le guerre potranno continuare a esserci, a patto che vengano vietate le armi moderne.
Ma non è che un’illusione. Gli accordi conclusi in tempo di pace di non utilizzare bombe all’idrogeno non verrebbero più considerati vincolanti in tempo di guerra. Con lo scoppio di un conflitto armato entrambe le parti si metterebbero a fabbricare bombe all’idrogeno, poiché se una parte costruisse bombe e l’altra no, la parte che ha fabbricato le bombe risulterebbe inevitabilmente vittoriosa. Tuttavia, anche se un accordo alla rinuncia all’armamento nucleare nel quadro di una generale riduzione degli armamenti non costituirebbe la soluzione definitiva del problema, avrebbe nondimeno una sua utilità. In primo luogo, ogni accordo tra Oriente e Occidente è comunque positivo poiché contribuisce a diminuire la tensione internazionale. In secondo luogo, l’abolizione delle armi termonucleari, nel momento in cui ciascuna parte fosse convinta della buona fede dell’altra, diminuirebbe il timore di un attacco improvviso come quello di Pearl Harbour, timore che al momento genera in entrambe le parti uno stato di agitazione. Dunque un tale accordo andrebbe accolto con sollievo, quanto meno come un primo passo.
La maggior parte di noi non è neutrale, ma in quanto esseri umani dobbiamo tenere ben presente che affinché i contrasti tra Oriente e Occidente si risolvano in modo da dare una qualche soddisfa- zione a tutte le parti in causa, comunisti e anticomunisti, asiatici, europei e americani, bianchi e neri, tali contrasti non devono essere risolti mediante una guerra. È questo che vorremmo far capire, tanto all’Oriente quanto all’Occidente.
Ci attende, se lo vogliamo, un futuro di continuo progresso in termini di felicità, conoscenza e saggezza. Vogliamo invece scegliere la morte solo perché non siamo capaci di dimenticare le nostre contese? Ci appelliamo, in quanto esseri umani, ad altri esseri umani: ricordate la vostra umanità, e dimenticate il resto. Se ci riuscirete, si aprirà la strada verso un nuovo Paradiso; altrimenti, vi troverete davanti al rischio di un’estinzione totale.
Invitiamo questo congresso, e per suo tramite gli scienziati di tutto il mondo e la gente comune, a sottoscrivere la seguente mozione:
In considerazione del fatto che in una futura guerra mondiale verrebbero certamente impiegate armi nucleari e che tali armi sono una minaccia alla sopravvivenza del genere umano, ci appelliamo con forza a tutti i governi del mondo affinché prendano atto e riconoscano pubblicamente che i loro obbiettivi non possono essere perseguiti mediante una guerra mondiale e di conseguenza li invitiamo a trovare mezzi pacifici per la risoluzione di tutte le loro controversie.
Albert Einstein Bertrand Russell
Max Born
(Premio Nobel per la fisica)
Percy W. Bridgman
(Premio Nobel per la fisica)
Leopold Infeld
(Professore di fisica teorica)
Frédéric Joliot-Curie
(Premio Nobel per la chimica)
Herman J. Muller
(Premio Nobel per la fisiologia e medicina)
Linus Pauling
(Premio Nobel per la chimica)
Cecil F. Powell
(Premio Nobel per la fisica)
Józef Rotblat (Professore di fisica)
Hideki Yukawa
(Premio Nobel per la fisica)

Trad. it. di Aurelia Martelli
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