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Perché una Costituzione della Terra?

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Perché una Costituzione della Terra? Relazione tenuta a Roma, alla Biblioteca Vallicelliana per l’inaugurazione della Scuola “Costituente Terra” il 21 febbraio 2020.

di Luigi Ferrajoli
1 Scetticismi e realismo. Tempi brevi e spazi ristretti delle politiche nazionali –
Siamo ben consapevoli del fatto che questo nostro progetto di una Costituzione della Terra può apparire un’utopia, un progetto irrealistico e irrealizzabile. Come è possibile, in tempi come gli attuali, di crisi delle democrazie nazionali e di processi decostituenti dei costituzionalismi statali anche nei Paesi più avanzati, ipotizzare una democrazia cosmopolitica e una Costituzione globale? Come è possibile mettere insieme centinaia di popoli e di nazionalità diverse, talora tra loro in conflitto, intorno a un patto costituzionale comune? Come è possibile che un simile patto possa essere condiviso da 196 Stati sovrani e da quei nuovi sovrani irresponsabili e invisibili nei quali si sono trasformati i mercati? La nostra ipotesi, in breve, può apparire da un lato infondata sul piano teorico, dall’altro irrealistica sul piano politico.

Ebbene, la tesi sottostante alla nostra proposta ribalta questi argomenti scettici. Proprio questi argomenti – l’inesistenza di un popolo globale omogeneo e l’esistenza degli Stati sovrani – sono a nostro parere, le principali ragioni, teoriche e politiche, a sostegno della necessità e dell’urgenza di un allargamento del paradigma costituzionale a livello internazionale.

Si pone in proposito, anzitutto, una questione teorica di fondo, che riguarda la concezione della Costituzione. Contro la concezione nazionalista e identitaria della Costituzione formulata da Carl Schmitt negli anni Trenta del secolo scorso e riproposta oggi dai tanti populismi e sovranismi, la Costituzione, a nostro parere, non consiste nell’espressione dell’identità e dell’“unità del popolo come totalità politica” (Il custode della Costituzione [1931], tr.it., Giuffrè, Milano 1981, pp. 135 e 241). Essa è al contrario, un patto di convivenza pacifica tra differenti e disuguali: patto di non aggressione tra differenti e patto di mutuo soccorso tra disuguali. Per questo è tanto più legittima, necessaria ed urgente quanto maggiori sono le differenze di identità personali che ha il compito di tutelare e quanto più profonde sono le disuguaglianze materiali che è chiamata a ridurre. Una Costituzione, in breve, è legittima e democratica non perché voluta da tutti, ma perché garantisce tutti.

Ma è soprattutto sul piano del realismo politico che oggi si richiede, contro le ipotesi scettiche, l’allargamento a livello globale del paradigma della democrazia costituzionale. E’ infatti evidente che 7 miliardi e 700 milioni di persone, 196 Stati sovrani dieci dei quali dotati di armamenti nucleari, un capitalismo vorace e predatorio e un sistema industriale incontrollato ed ecologicamente insostenibile non possono a lungo sopravvivere senza andare incontro alla devastazione del pianeta, alla crescita esponenziale delle disuguaglianze e della povertà e, insieme, dei razzismi, dei fondamentalismi e della criminalità.

Si capisce come di fronte a queste sfide globali alla ragione giuridica e politica, le politiche degli Stati nazionali siano inadeguate e impotenti. Sono sconcertanti la loro inerzia e il loro silenzio intorno alle catastrofi umanitarie, alle guerre e alle minacce di disastri ecologici dai quali, tra l’altro, fuggono le masse di migranti che le nostre inutili leggi e le nostre frontiere militarizzate non sono in grado di arrestare. Certamente questa inadeguatezza delle politiche nazionali si spiega anche con la loro subalternità all’economia generata dalla corruzione, dai conflitti di interesse, e dalle pressioni lobbistiche. Ma essa dipende soprattutto da due gravi aporie che investono la democrazia politica e sono legate entrambe al rapporto delle politiche nazionali da un lato con il tempo e dall’altro con lo spazio.

Le politiche nazionali sono vincolate ai tempi brevi, anzi brevissimi, delle competizioni elettorali, o peggio dei sondaggi, e agli spazi ristretti dei territori nazionali: tempi brevi e spazi angusti che evidentemente impediscono ai governi statali, interessati soltanto al consenso elettorale, di affrontare le sfide e i problemi globali con politiche alla loro altezza. Le più gravi minacce al futuro dell’umanità – le devastazioni ambientali, le esplosioni nucleari, le stragi di migranti, la fame, la miseria e le malattie non curate che provocano la morte ogni anno di milioni di esseri umani – sono così ignorate dalle nostre opinioni pubbliche e dai governi nazionali e non entrano nella loro agenda politica, interamente legata agli spazi ristretti disegnati dalle competizioni elettorali. A causa della pratica quotidiana dei sondaggi in vista soltanto delle scadenze elettorali, la politica sta inoltre perdendo anche le dimensioni del tempo: da un lato l’amnesia, cioè la perdita della memoria delle guerre mondiali, dei fascismi e dei “mai più” da cui sono nate le Costituzioni e le Carte del secondo dopoguerra; dall’altro la miopia e l’irresponsabilità per il futuro non immediato e per i problemi globali. Solo così si spiegano il ritorno della guerra avvenuto in questi anni e l’indifferenza spensierata per le distruzioni in atto dell’ambiente e per le prognosi infauste intorno al futuro del nostro pianeta.

La democrazia odierna conosce insomma soltanto spazi ristretti e tempi brevi. Non ricorda e anzi rimuove il passato e non si fa carico del futuro, ossia di ciò che accadrà oltre i tempi delle scadenze elettorali e al di là dei confini nazionali. E’ affetta da localismo e da presentismo. È chiaro che l’ottica miope dei tempi brevi e degli spazi ristretti non può che rimanere ancorata agli interessi immediati e nazionali, e quindi escludere ogni prospettiva progettuale capace di farsi carico dei problemi sovra-nazionali e del futuro. La democrazia entra così in conflitto con la razionalità politica, ossia con gli interessi generali di lungo periodo degli stessi Paesi democratici. E rischia perciò di crollare anche negli ordinamenti nazionali. Anche perché nell’odierno mondo globalizzato il futuro di ciascun Paese dipende sempre meno dalla politica interna e sempre più da decisioni esterne, sia di carattere politico che di carattere economico.

2. La necessità e l’urgenza di un costituzionalismo oltre lo Stato. Istituzioni di governo e istituzioni di garanzia –
E’ da questa banale, elementare consapevolezza che è nata l’idea di dar vita a un movimento d’opinione diretto a promuovere un costituzionalismo sovranazionale, in grado di colmare il vuoto di diritto pubblico prodotto dall’asimmetria tra il carattere globale degli odierni poteri selvaggi e il carattere ancora prevalentemente locale della politica e del diritto.

Non si tratta di un’ipotesi utopistica. Si tratta al contrario della sola risposta razionale e realistica allo stesso dilemma che si propose quattro secoli fa a Thomas Hobbes:la generale insicurezza generata dalla libertà selvaggia dei più forti, oppure sulla base del divieto della guerra e della garanzia della vita. Un dilemma, quello odierno, ben più drammatico di quello allora concepito. Ci sono infatti due differenze profonde tra la società naturale dell’homo homini lupus ipotizzata da Hobbes e lo stato di natura nel quale si trovano tra loro i 196 Stati sovrani e i grandi poteri economici e finanziari globali, a loro volta dotati di sovranità assoluta. La prima è che l’attuale società selvaggia dei poteri globali è una società popolata non più da lupi naturali, ma da lupi artificiali – gli Stati e i mercati – sostanzialmente sottratti al controllo dei loro creatori e dotati di una forza distruttiva incomparabilmente maggiore di qualunque armamento del passato, in grado di distruggere non solo l’umanità e la società civile, ma anche la natura, ossia lo stesso stato di natura. La seconda è che, diversamente da tutte le altre catastrofi passate – le guerre mondiali, gli orrori dei totalitarismi – la catastrofe ecologica e quella nucleare sono in larga parte irreversibili, e forse non faremo a tempo a formulare nuovi “mai più”: c’è infatti il pericolo che si acquisti consapevolezza della necessità di un nuovo patto quando sarà troppo tardi.

Quel patto di convivenza pacifica, non dimentichiamo, era già stato stipulato dall’umanità all’indomani della seconda guerra mondiale e della liberazione dal nazifascismo. In quello straordinario quadriennio costituente, tra il 1945 e il 1948, seguito alla guerra mondiale, l’umanità sembrò prendere coscienza della propria fragilità. Furono perciò rifondate non solo, nei Paesi liberati dai fascismi, le democrazie nazionali sulla base dei limiti e dei vincoli imposti da Costituzioni rigide alle decisioni delle maggioranze. Fu anche rifondato, con la Carta dell’Onu e poi con le tante Carte sui diritti umani, il diritto internazionale, trasformato da sistema pattizio di relazioni tra Stati sovrani basato su trattati bi- o multi-laterali in un ordinamento giuridico entro il quale tutti gli Stati membri sono soggetti a un medesimo diritto, cioè al divieto della guerra e al rispetto e all’attuazione dei diritti umani. Disponiamo già, quindi, di un embrione di Costituzione del mondo, formato dalla Carta dell’Onu e dalle tante Carte, dichiarazioni, convenzioni e patti internazionali sui diritti umani. Sul piano normativo, insomma, il paradigma costituzionale è già stato incorporato nell’ordinamento internazionale.

Di questo ordinamento si sta tuttavia verificando, insieme alla perdita di memoria dei “mai più” alla guerra e ai totalitarismi stipulati in quella embrionale Costituzione globale, un vistoso processo decostituente. La stipulazione in tutte quelle Carte dei principi della pace, dell’uguaglianza e dei diritti fondamentali, avrebbe richiesto l’introduzione delle loro garanzie ad opera di una sfera pubblica globale: garanzie della pace tramite l’attuazione del capo VII della Carta dell’Onu e perciò il monopolio sovranazionale della forza, lo scioglimento degli eserciti nazionali e la messa al bando delle armi; garanzie dei diritti sociali alla salute, all’istruzione e alla sussistenza, tramite un adeguato finanziamento di istituzioni globali di garanzia come la FAO e l’Organizzazione mondiale della sanità; garanzie dei beni comuni contro le devastazioni ambientali, tramite l’istituzione di demani sovranazionali; garanzie giurisdizionali, a cominciare dal controllo di costituzionalità e di convenzionalità, contro le violazione dei divieti e degli obblighi imposti da tali garanzie.

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