SOCIETÀ

Ruffini a Cagliari

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Oggi all’incontro con Ernesto Maria Ruffini. La sala piena e ottimi contenuti negli interventi di Maria Vittoria Pala, studiosa di diritto internazionale, Mauro Usai (Sindaco di Iglesias), Massimo Zedda (Sindaco di Cagliari), Cristina Ornano, giudice, Ruffini in chiusura. Ha coordinato Flavio Soriga, giornalista.
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L’importanza dell’uguaglianza. Ho detto a Ruffini che il nostro motto di sardi “Fortza paris” ha un duplice significato, nella traduzione in lingua italiana: “forza insieme” e anche “forza uguali”.

La modifica delle leggi elettorali una priorità per favorire la partecipazione dei cittadini alle elezioni e non solo

img_0886“Bisogna modificare le leggi elettorali che ostacolano la partecipazione dei cittadini alla gestione democratica delle Istituzioni”. Così si è espresso Piero Comandini, presidente del Consiglio regionale, intervenendo all’Incontro-dibattito promosso da 14 associazioni del laicato cattolico giovedì 30 gennaio, alla Facoltà Teologica sul tema “Dare un’anima alla politica”. L’occasione è stata la presentazione del libro del teologo don Bruno Bignami, esponente della CEI, avente il medesimo titolo dell’evento, che ne ha discusso con lo stesso Comandini, l’avv. Rita Dedola, Antonio Secchi e Enzo Tramontano, coordinati dal giornalista Franco Siddi.

Oggi venerdì 31 gennaio 2025, ultimo giorno del mese.

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Caso Todde: urgente una nuova legge elettorale
31 Gennaio 2025 su Democraziaoggi
Maria Grazia Caligaris, presidente associazione “socialismo Diritti Riforme ODV”
Non sono interessata a dipanare questioni squisitamente tecnico-giuridico-costituzionali, non ne ho le competenze né sono argomenti che mi appassionano. Ci sono autorevoli voci da ascoltare, non certo la mia. C’è però un insegnamento, a mio modesto avviso, che deriva prepotente dalla […]
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Il governo impugna la legge regionale sulle aree idonee, ma…
31 Gennaio 2025
Andrea Pubusa su Democraziaoggi
Il governo ha dunque impugnato davanti alla Corte costituzionale la legge regionale sulle aree idonee. Non c’è da meravigliarsi. L’esecutivo rimane sulla scia di una tradizione sedimentata degli organi centrali volto alla compressione dell’autonomia regionale. La questione è resa possibile da un sistema costituzionale barocco, che intreccia la potestà legislativa regionale con quella nazionale, […]
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Trump, l’Europa e la crisi del modello americano – di
Michele Rutigliano su PoliticaInsieme.
https://www.politicainsieme.com/trump-leuropa-e-la-crisi-del-modello-americano-di-michele-rutigliano/
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Dare un’anima alla politica

Una bella sala. Pubblico numeroso, attento e partecipe.
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La frase più citata: “La politica è organizzare la speranza. E per sperare negli uomini bisogna amarli” (Tina Anselmi).
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img_0873Una buona riuscita dell’incontro. L’organizzazione non è stata e non è mai una passeggiata.
A sa prossima!
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img_0875Nel suo intervento di benvenuto, il preside della Facoltà mons. Mario Farci, ha comunicato che l’intera registrazione dell’incontro sarà disponibile tra qualche giorno nello spazio YouTube della Facoltà Teologica. Vi faremo sapere. Saludos
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Nel giorno della Memoria

Martedì 28 gennaio 2025

Carissimi,
ieri abbiamo scritto questa lettera agli Ebrei nel “Giorno della Memoria” che qui vi inviamo per conoscenza, con cordiali saluti

Raniero La Valle

DA: “PRIMA LORO”: LETTERA AGLI EBREI NEL GIORNO DELLA MEMORIA

MAI PIU’

Cari Amici delle Comunità Ebraiche di Israele e della Diaspora,
al giungere del “Giorno della Memoria”, riteniamo di potervi esprimere anche a nome di innumerevoli nostri contemporanei e a nome dei 310 illustri mittenti che hanno voluto scrivervi la lettera del 27 novembre scorso (e se qualcuno non si riconoscesse in questo ulteriore dialogo può non mantenervi la sua firma) l’affetto e la solidarietà commossa che tale celebrazione rinnova verso di voi. La Shoà non sarà mai cancellata dal martirologio della storia umana. Noi abbiamo compreso la vostra vibrante reazione a sentire parlare di genocidio in relazione alla guerra di Gaza; infatti benché di analoghi eventi sia stata purtroppo costellata la storia anche prima della Shoà, il genocidio perpetrato dai nazisti contro gli Ebrei è inassimilabile a qualsiasi altro per crudeltà, numero e diabolica pretesa di scientificità, ultimità e finalismo. Da questa aberrazione è scaturito l’irretrattabile “mai più” che tutti ci accomuna.
Perché allora la parola è tornata? Perché, ad onta della Convenzione per la prevenzione e la repressione di tale orribile delitto, che fu la prima delle grandi decisioni postbelliche, la pratica di tale crimine associata al livello estremo cui è giunta la guerra moderna, è stata implicitamente ammessa nei media e ostentata agli occhi di tutti, se non addirittura legittimata come giustificata e non sanzionabile. Secondo il criterio più specifico adottato dalla Convenzione dell’ONU, che è l’intenzione di distruggere, in tutto o in parte (anche in parte), un gruppo nazionale, etnico, razziale o religioso, come tale, genocidi sono stati in passato quelli degli Indiani d’America o degli Armeni, prima dell’abisso della Shoà volta a distruggere gli Ebrei in quanto Ebrei; c’è stata poi l’intenzione di distruggere i Giapponesi in quanto Giapponesi a Hiroshima e Nagasaki, i Cambogiani in quanto Cambogiani per nascita e cultura a Phnom Penh, gli Israeliani in quanto Israeliani in Palestina, i Palestinesi in quanto Hamas a Gaza e, da ultimo, ai nostri giorni, l’eccidio dei Congolesi a milioni per la sfortuna di vivere in un Congo ricco di stagno, tungsteno, tantalio, oro e altri metalli necessari all’elettronica del mondo intero, nel silenzio dei più. La guerra stessa oggi, con le testate nucleari sulle punte dei fucili, si può assimilare al genocidio. È dunque contro questo nuovo flagello dell’umanità, contro questa normalizzazione di guerre genocide, che tutti insieme, Ebrei e Gentili, dovremmo levarci e combattere, risolvendo intanto il contenzioso aperto tra noi.
Di questo fa parte senza dubbio la questione palestinese, a cui per molto tempo si è creduto (da qualcuno anche in Israele) si potesse dare risposta con la soluzione dei due Stati. Oggi, salvo eventi straordinari, si è fatto evidente che questa soluzione è stata resa impossibile. Anche gli avvenimenti di Jenin lo dimostrano. Non si apre allora qui la strada maestra della riconciliazione e condivisione, di Terra e di mensa, cioè di vita, dei due popoli in lotta?
È stato emozionante vedere al momento del rilascio delle quattro donne soldato israeliane a Gaza, l’intreccio dei colori israeliani e palestinesi, lo scambio di gesti, fossero pure artefatti, come se l’odio fosse finito; così come lo è stato il vedere i fiumi di palestinesi uscire dalle carceri israeliane, come se un unico Stato, per Ebrei e Palestinesi, fosse già esistente, anche se troppi Palestinesi aventi casa in prigione.
Perché non dovrebbe essere possibile in Palestina, o se volete in Giudea, Samaria, Galilea, uno Stato giusto e accogliente, casa di tutti? Potrebbe e forse dovrebbe non essere uno Stato laico, secolare e autoidolatrico, quale è nelle ideologie della modernità occidentale; potrebbe essere uno Stato confederale, né secolare né teocratico, né religioso né aconfessionale, né integralista né agnostico, ma potrebbe essere uno Stato abramico o “abramitico” come, secondo la Promessa, dovrebbero essere tutti gli Stati e i territori atti ad accogliere e a far vivere insieme tutte le famiglie della terra. Esso potrebbe essere dotato di ordinamenti innovativi, riconosciuti e tutelati dalla comunità internazionale; e se l’intreccio di Ebrei e Palestinesi, anche al di là del territorio dello Stato, si realizzasse altresì in una convivenza più diffusa nel vasto mondo esterno, si potrebbero adottare misure atte a mantenere una giusta proporzione tra popolazione arabo-palestinese ed ebrea-israeliana in Palestina. O non si può fare nient’altro che quello che è stato già fatto?
Ciò vorrebbe dire una riconciliazione e una pace anche al di là di quella tra Israeliani e Palestinesi. Qualcuno potrebbe chiedere, come ha fatto la comunità ebraica di Bologna rispondendo alla nostra precedente lettera, perché proprio un piccolo Paese come Israele dovrebbe farsi carico di una risposta al problema di 5-6 milioni di profughi gettati nel mondo che nessun Paese finora è riuscito a risolvere. La risposta ci pare sia che non c’è un altro popolo che ha avuto il mandato di tessere l’unità umana. Non tocca a noi ricordare i testi della vostra grande tradizione protesa alla pace e all’universalità dell’intera famiglia delle nazioni.
Oggi, dopo la tregua di Gaza, voi siete stati esposti a una gravissima provocazione, proveniente dal neoeletto Capo della più grande potenza militare della Terra, che vi esorta a estirpare l’intera popolazione di Gaza da quella terra tormentata, e nello stesso tempo vi invia le armi e i dollari per farlo. Purtroppo anche qualcuno dotato di autorità nel governo di Israele ha detto che si tratta di un’idea “meravigliosa”. Si tratterebbe di un orrore deciso e programmato a freddo, quale non si è dato nemmeno nella pulizia etnica del Sudafrica prima della sua conversione all’umano. E non comprendiamo come i costruttori di amene villette sulla costa deliziosa di Gaza, potrebbero non essere inquietati dalla percezione che quel risultato felice sarebbe stato conseguito in seguito e per effetto di un doppio flagello, il genocidio, subito ieri dagli Ebrei in Europa e l’estirpazione violenta oggi dei due milioni di superstiti a Gaza. Ci sembra che in questo momento il passaggio cruciale nel rapporto tra Israele e la comunità internazionale stia nel respingere senza ambiguità questa proposta presentata come la soluzione definitiva della questione palestinese, e paradossalmente frutto della tregua di Gaza. E ci sembra che anche l’Italia, pur nel rapporto ambiguo stabilito tra il presidente Trump e la presidente del Consiglio Meloni, dovrebbe respingere questo aberrante progetto politico, che griderebbe vendetta alla luce della nostra Costituzione e della nostra identità nazionale.
Infine un accenno a un problema interno alle Chiese. Papa Francesco ha detto, celebrando la settimana per l’unità dei cristiani, che la Chiesa cattolica è disposta ad adottare qualsiasi data per la Pasqua, superando le “diatribe” del passato, pur di celebrarla nello stesso giorno nelle diverse confessioni cristiane. La data della Pasqua degli Ebrei non si discute: ma non potrebbe aprirsi un dialogo anche su questo, in vista della futura unità? Dopo tutto è celebrando la “Pasqua dei Giudei” che Gesù è stato consegnato alla morte dal brutale e pilatesco potere romano.
Rinnovando la nostra condivisione con Voi nel Giorno della Memoria, vi inviamo i più cordiali saluti

Lo Scriba per “Prima loro”
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————Evento imperdibile——
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Documentazione
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Giovanni, piccolo Fratello

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* Giovanni Cara ha compiuto 95 anni il 21 settembre scorso
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Con la cachaça si prepara la caipirinha. Ma si può bere anche da sola.
Ricordando Giovanni Cara*.
Gianni Loy

Sardi entrambi. Ed entrambi frequentavamo gli stessi ambienti, quello dei cattolici che in un modo o nell’altro, laici o consacrati, maschi o femmine, interpretavano il messaggio del Concilio Vaticano II; ciascuno a modo suo, cercando un eremo lontano dove coltivare in silenzio la preghiera, o impegnandosi nel sociale secondo l’ispirazione della teologia della liberazione, con – tra i due estremi – tutte le sfumature della speranza. Insomma: facevamo parte dello stesso “giro”. E non le occasioni di incontro.
Eppure, per quanto lo conoscessimo, abbiamo incontrato Giovanni Cara una sola volta, Anna ed io; l’abbiamo incontrato lontano da qui, in Brasile, a Salvador Baja. Sicuramente gli portavamo i saluti e i messaggi di qualche comune amico, di quelli che intrattenevano con lui un più stretto rapporto e ci chiedevano di salutarlo.
Ne ho un ricordo preciso e indelebile: un incontro difficile, a tratti persino imbarazzante. Mi trovavo a disagio, non per il fatto di incontrarlo per la prima volta – che allora si faceva presto a familiarizzare, soprattutto se si condivideva un ideale – ma per il fossato che separava, soprattutto in quel momento, la sua esperienza dalla mia. Perché noi ci trovavamo in Brasile per turismo, quindi in una condizione di privilegio, mentre Giovanni in quel luogo vi abitava, in una periferia dove se non fosse stato per quell’occasione, non saremmo mai entrati. Era lì che, in quel momento, spendeva la propria vita, nel vero senso della parola.
È stata proprio quella distanza a farmi sentire a disagio: su cosa avremmo potuto familiarizzare, in presenza di una condizione esistenziale tanto differente?
Adoravamo lo stesso Dio. È vero! Ma da anni continuava a rimbalzarmi tra le tempie il ritornello di una canzone dei Gufi, appresa negli anni caldi della contestazione, che ripeteva: “tutti andiamo in Chiesa a pregare Iddio, ma tu ti preghi il tuo che io mi prego il mio!”. Il Dio di chi sacrificava la propria vita all’amore del prossimo, vivendo in povertà estrema, lontano dalla sua terra, poteva essere lo stesso di chi, come me, gli faceva visita nel corso di una settimana di serene vacanze, alloggiando non in una favela, ma in accoglienti hotel? Cosa avremmo potuto avere in comune?

Oggi domenica 26 gennaio 2025

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Che scellerati governanti! Ci stanno portando al disastro
26 Gennaio 2025
Andrea Pubusa su Democraziaoggi
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Guardate questa foto: una fila di disgraziati che incatenati vengono imbarcati in un aereo USA per essere deportati chissà dove. “Promesso e fatto”, annuncia Trump, il presidente della più grande potenza del mondo, considerata da noi esempio di civiltà e democrazia. E ciò che è peggio, i media […]
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Omaggio a Enrico Corti
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A Terralba si è svolta la XXXVIII MARCIA DELLA PACE – Mons. César Essayan, vescovo a Beirut, Vicario Apostolico della Chiesa latina in Libano ha guidato la Veglia di preghiera

COMUNICATO STAMPA
img_0832img_0833A Terralba si è svolta la XXXVIII MARCIA DELLA PACE
Mons. César Essayan, vescovo a Beirut, Vicario Apostolico della Chiesa latina in Libano ha guidato la Veglia di preghiera
“Il Libano pur essendo un piccolo paese di solo 10.452 km quadrati, era stato definito da Papa Giovanni Paolo II come “un messaggio” del Vivere Insieme offerto al mondo. È il Libano il messaggio che vogliamo annunciare e difendere, è il Libano il messaggio che rinasce dalle sue ceneri ogni volta che sanguina fino a morire. Parlare del Libano e del suo popolo è raccontare la Salvezza che si attua quando il Vangelo viene preso sul serio malgrado tutto.”
Queste le parole di Mons. César Essayan, vescovo a Beirut, Vicario Apostolico della Chiesa latina in Libano che oggi ha parlato di pace a Terralba.

Addio a Chicco Corti

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Tristezza e commozione per la morte del prof. Ing. Enrico Alfonso Corti, conosciuto nella grande cerchia di amici come Chicco. Esimio professore ordinario di ingegneria e architettura, coltissimo e finissimo intellettuale di levatura europea, nonché affermato professionista come progettista della pianificazione territoriale, era persona che sapeva porsi in ascolto di qualsiasi interlocutore, anche il più umile, in modo rispettoso e attento. Maestro di tante generazioni di studenti e di operatori della Pubblica amministrazione, sempre disponibile nei confronti dei ceti popolari (lo ricordiamo attivissimo negli anni 70-80 nei movimenti di lotta dei quartieri della città), mettendo a disposizione le sue competenze ed esperienze. Non era nato in Sardegna, bensì in Lombardia, a Travedona – Monate (VA), il 2 gennaio 1938 (aveva pertanto appena compiuto 87 anni), ma vi ha trascorso massima parte della sua vita: a Sassari e soprattutto a Cagliari. Enrico Corti è sicuramente da iscrivere tra i grandi intellettuali sardi e tra gli illustri cittadini cagliaritani.
Così lo salutano i suoi amici: “Ciao Chicco, grazie per quanto hai saputo donarci della tua scienza ed esperienza e, soprattutto la tua amicizia. Ti ricorderemo sempre”.

I funerali si svolgeranno domenica mattina, alle ore 10,30, al cimitero di San Michele.

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Addio a Chicco Giua

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Un bel ricordo dell’illustre clinico su Casteddu online.
Cagliari, ci ha lasciato il conosciutissimo Enrico Giua Marassi: il cordoglio dei familiari
I funerali si terranno venerdì 24 gennaio 2025, alle ore 15.15, nella Sala del Commiato del Cimitero di San Michele https://www.castedduonline.it/cagliari-addio-a-enrico-giua-marassi-la-citta-perde-uno-dei-medici-piu-conosciuti/
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[fm] Lo conobbi nell’autunno del 2016, non ricordo precisamente la data, ma benissimo il luogo e la circostanza: nella sede di via Roma della CSS, dove si riuniva il Comitato per il NO nel Referendum costituzionale sulla riforma Renzi-Boschi. Lui, valente clinico, già primario di pneumologia, poi in quiescenza, di fede liberal-democratica, mal sopportava che la nobile Costituzione repubblicana venisse violentata da una pseudo-riforma. Terminata quella battaglia, dal suo e mio punto di vista andata a buon fine, non si fece più vedere.

Il discorso di insediamento di Trump è andato oltre ogni peggiore aspettativa. Quello che si è profilato davanti agli occhi è stato il fantasma di un cripto-fascismo planetario con cui dovremo fare i conti nei prossimi anni

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Ai Mittenti e Interlocutori della Lettera agli ebrei e delle Notizie da Chiesa di tutti Chiesa dei poveri
Giovedì 23 gennaio 2025

CRIPTOFASCISMO PLANETARIO

Cari Amici,
l’Occidente che non è andato a Washington per l’inaugurazione di Trump ha passato lunedì, 20 gennaio, una giornata di sgomento e di incubo. Il discorso di insediamento di Trump è andato oltre ogni peggiore aspettativa. Quello che si è profilato davanti agli occhi è stato il fantasma di un cripto-fascismo planetario con cui dovremo fare i conti nei prossimi anni. La democrazia, come sacro valore dell’Occidente, è in crisi, e addirittura, come hanno detto i primi sconsolati commenti seguiti alla festa di Capitol Hill, sarebbe finita. Non però per un destino, bensì per responsabilità e scelta di coloro stessi che oggi la rimpiangono. Quella che è finita è in realtà la democrazia ridotta a puro esercizio elettorale, non a caso disertato dai più, senza tutto quello che ci avevamo messo dentro noi nella nostra Costituzione, ciò per cui l’Italia dovrebbe essere un modello, altro che Salvini.
L’America paga il conto, e lo fa pagare a noi, delle scelte sbagliate che ha fatto dopo la caduta del muro di Berlino e l’attacco alle due Torri di New York. Inseguendo, come del resto fa da sempre, il mito dell’“America first”, – prima l’America – ha creduto che la sua sicurezza e la sua fortuna stessero nel dominio del mondo, nell’avere un’Armata quale non si era mai vista prima sulla Terra, e perfino nel disporsi alla guerra preventiva, perché “la migliore difesa è una buona offesa”. Questo era il diafano Biden, non a caso bersaglio del rigetto elettorale. Dava per ormai finita la Russia, e per questo le ha lanciato contro la povera Ucraina, e proclamava urbi et orbi (nei documenti sulla strategia nazionale americana) la competizione strategica e la sfida finale con la Cina, il solo avversario che avesse “sia l’intento di rimodellare l’ordine internazionale, sia il potere economico, diplomatico, militare e tecnologico per farlo”. Sicché Casa Bianca e Pentagono hanno messo nella spesa militare 800 miliardi di dollari all’anno, mentre la Russia ce ne mette 80, togliendo centinaia di miliardi di dollari all’anno al benessere del popolo americano. Dobbiamo a questo, come ha detto Bernie Sanders, l’eterno candidato alla Presidenza della sinistra americana, se “non c’è una ragione razionale per cui abbiamo una disuguaglianza enorme e crescente di reddito e ricchezza, non c’è una ragione razionale per cui siamo l’unico grande Paese a non garantire l’assistenza sanitaria per tutti, non c’è una ragione razionale per cui 800.000 americani sono senza casa e milioni di altri spendono più della metà del loro reddito per mettere un tetto sopra la testa, non c’è una ragione razionale per cui il 25% degli anziani in America cerca di sopravvivere con 15.000 dollari all’anno o meno, per cui abbiamo il più alto tasso di povertà infantile di quasi tutte le nazioni ricche, per cui i giovani lasciano l’università profondamente indebitati o per cui l’assistenza all’infanzia è inaccessibile per milioni di famiglie”.
Ciò spiega gli eventi di oggi, come si sia passati dall’Occidente “allargato” fino all’Indo-Pacifico, al Giappone e all’Australia di Biden al cripto-fascismo globale di Trump, con tanto di autarchia (i dazi), le sanzioni, gli ordini esecutivi a pioggia, la confusione dei poteri, la giustizia di regime, la pena di morte, l’immunità fiscale dei super-ricchi, e la pretesa di decidere quando cominciare o finire queste “ridicole” ma sempre tragiche guerre.
Tuttavia, il peggio che si è materializzato in America in questo lunedì nero del 20 gennaio, potrebbe non essere tale da contagiare il mondo intero. Potrà fare grandissimi danni, e fare scuola soprattutto nelle maggioranze silenziose, ma potrebbe restare circoscritto a ciò che si è visto tra il Campidoglio e la Capital One Arena, un bagno di folla osannante e soggiogata, chiuso però in una bolla che è l’America e non è il mondo. Non c’è un solo globo terracqueo, il mondo non è pronto per un fascismo planetario, ha altri pensieri, un’altra vocazione. Certo, dipende da noi, ma ora è chiara l’alternativa: o la resa a questa caduta della storia, o la resistenza e la costruzione di una vera comunità internazionale di diritto con un’umanità indivisa.
Del resto non tutto quello che Trump ha annunciato e minacciato col suo sguardo torvo si realizzerà veramente, sembra più un bluff da miles gloriosus che un vero annuncio. Non ci sarà nessun approdo e insediamento su Marte entro la fine di questo mandato presidenziale. La scienza è stata tassativa: a questo punto dell’evoluzione della specie, l’umanità non è in grado, fisicamente e antropologicamente, di affrontare un viaggio in quel pianeta lontano. Non foss’altro che per la durata del viaggio, due anni per l’andata e il ritorno esposti alle radiazioni cosmiche, soggetti all’indebolimento muscolare e scheletrico che il corpo umano subirebbe in una lunga permanenza nello Spazio, con i connessi scompensi del tono muscolare cardiaco. Occorrerebbe costruire enormi astronavi ruotanti, in grado di generare al proprio interno una forza simile alla gravità terrestre, ciò che si potrebbe fare solo direttamente nello Spazio, sfruttando ipotetiche materie prime raccolte anch’esse lassù (da asteroidi o dalla Luna); per non parlare della vita su Marte, fino a 126 gradi sottozero.
Ciò vuol dire che il mito dell’accoppiata Trump-Musk è già caduto, e se l’obiettivo politico più simbolico di tutte le promesse presidenziali si mostra come impossibile e falso, vuol dire che anche il resto non è troppo sicuro, a cominciare dalla deportazione, o espulsione, di milioni di migranti, dati per criminali internazionali e invasori: si dovrebbe fare con l’esercito schierato sul confine meridionale col Messico, lasciando “i nostri guerrieri liberi di sconfiggere i nostri nemici”, come dice Trump; ma con questo finisce il mito della fortezza americana, l’idea che mai nessuno potrà varcare in modo offensivo la frontiera degli Stati Uniti; ecco che secondo Trump questo sarebbe già avvenuto ad opera dei migranti, essendo mancata la difesa dei confini, neanche l’America fosse Lampedusa come è nell’immaginazione ossessiva di Salvini.
E per quanto riguarda il ritorno incondizionato al petrolio, al carbone, così da irradiarlo a suon di dollari in tutto il mondo, in che consiste l’”America first”? Consiste nel fatto che l’America sarà la prima a risentirne, insieme alle isole che saranno sommerse dal mare, e ne avrà cicloni e tornado sempre più devastanti, e bruceranno le città, come ieri l’incendio di Chicago e oggi quello di Los Angeles, dove perfino i ricchi “hanno perso le loro case”.
E che dire di questo presentarsi di Trump come il Messia che Dio stesso avrebbe protetto col suo scudo perché compisse la sua missione in America e nel mondo? Per l’America non si tratta di una novità, c’era il giovane Bush che andando a distruggere l’Iraq diceva di “piangere appoggiato alla spalla di Dio”. E ora Trump tira fuori la religione come sgabello ai suoi piedi, e mette Dio sopra di sé, a garante del suo potere. Solo che il Dio della tradizione ebraico-cristiana a cui si rifà il messianismo giunto in America attraverso la Ginevra di Calvino, non è un Dio che si può chiamare in servizio a fare da scudiero ai potenti, ma è il Dio che rovescia i potenti dai troni ed esalta gli umili, il Dio tutto misericordia e niente vendetta di papa Francesco. E dunque se religione deve essere e si giunge a giurare su due Bibbie al Campidoglio, come se una non bastasse, quella di Lincoln del 1861 e quella donata a Trump dalla madre nel 1955, bisogna ricominciare a chiedersi chi è questo Dio a cui si fa così plateale appello.
Forse, di fronte a queste sfide, bisognerebbe ripensare alla cattiva qualità della secolarizzazione quale l’abbiamo acriticamente fatta in Occidente: anche per questo sarebbe importante che l’identità spirituale e profetica dell’ebraismo tornasse a risplendere, non trascinata negli stermini, non ristretta a una sola etnia, non tradita dalle politiche dello Stato di Israele.
Con i più cordiali saluti,

Lo Scriba per “Prima loro”
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In diffusione:

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Appuntamenti da non perdere

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CSS. Un compleanno di 40 anni: cronaca di un evento (domenica 19 gennaio 2025)

[in progress]
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(a cura di Franco Meloni)
Il Caesar’s Hotel, sede del Convegno di festeggiamenti dei 40 anni della CSS. L’albergo è stato messo in vendita per 5mil di
Euro. Molto meno dei 49 milioni che si è ciucciato la Lega di Salvini!
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Apre i festeggiamenti un corteo con in testa le launeddas del
Maestro Melis. Seguono la portabandiera, la giovanissima Sofia Meloni, il segretario in carica e l’ex segretario generale Francesco Casula, altri dirigenti, ragazze militanti indossanti da berrita sarda.
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img_0652 Prende la parola il Segretario nazionale della CSS Giacomo Meloni.
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img_0661 Intermezzo musicale con Gilda Frailis.
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img_0653Prende la parola Francesco Casula, scrittore e storico, ex Segretario nazionale della CSS.
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img_0654 Il tavolo della presidenza. Coordina i lavori Enrico Sanna.
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img_0665Intermezzo musicale con Angelo Cremone voce e chitarra.
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Parla Pino Loi della Segreteria Nazionale della CSS.
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img_0672Passa sullo schermo un’immagine di un Convegno della Css a Nuoro, con Mario Melis e Franco Meloni.
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img_0677Intermezzo musicale con le launeddas del maestro Melis.
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img_0678Interviene Efisio Pilleri, direttore dell’Ufficio Studi Giovanni Maria Angioy della CSS.
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img_0681Interviene il rappresentante del Sindacato SAVT della Valle D’Aosta, Claudio Albertinelli.
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img_0686 Interviene il rappresentante del Sindacato Catalano dell’INTERSINDICAL- CSC, Ferran Koll. Nel suo intervento ha citato affettuosamente Tonino Gramsci.
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img_0695Interviene la rappresentante del Sindacato dei Baschi, LAB, Gerbine Aranburu.
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img_0699 Interviene Piero Comandini, presidente del Consiglio regionale della Regione Autonoma della Sardegna.
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Parla Piero Comandini, presidente del Consiglio regionale della Sardegna. Ringrazia la CSS, si mostra preoccupato per la deriva mondiale e europea di stampo reazionario. Occorre opporsi in tutti i modi e riprendere le lotte che coinvolgano i cittadini. Sono e sarò sempre socialista, crediamo nei nostri valori! Solo la ripresa robusta della partecipazione popolare farà argine alla destra rampante.
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Piero Comandini ha detto di trovarsi a casa, perché si respirava un clima di persone impegnate. Lui è il presidente di tutti i sardi e va laddove viene invitato anche da organizzazioni di cui non condivide le posizioni. Non è questo il caso. Sempre e per sempre socialista, in questo ambito non poteva che fare un discorso “ecumenico”. Tuttavia si è impegnato, per quanto gli compete, a combattere qualsiasi discriminazione nei confronti della CSS, a cui ha riconosciuto un ruolo importante per la salvaguardia dei diritti dei lavoratori e del popolo sardo.
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Messaggio
Cara amica e amici baschi del LAB
Cari amici catalani dell’INTERSINDICAL- CSC
Cari amici Valdostani
del SAVT

Spero siate stati bene tra i sardi ed abbiate goduto dei colori e sapori della Città di Cagliari e della Sardegna, ma soprattutto dei valori identitari e di sincero affetto.
Grazie per aver corrisposto con altrettanta amicizia e voglia di lottare per gli stessi valori e ideali, per la pace, la
qualità della vita, i diritti ed uguaglianza dei lavoratori e delle persone, per la bellezza e la felicità dei popoli.
Giacomo Meloni
e la moglie Paola Lai,
Efisio Pilleri
e la figlia Marianna,
Enrico Sanna
Marco Mameli
Francesco Casula
e tutte/i gli aderenti
alla CSS.
Buon rientro.

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Le delegazioni estere

Rappresentanti Lab – Koldo Saenz e Gerbine Aranburu
Intersindical catalano – Ferran Koll
SAVT sindacato valdostano – Claudio Albertinelli
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Il segretario generale ha dato conto dell’assenza di Marco Mameli, vice segretario generale e responsabile di Assotzius Consumadoris de Sardigna, in quanto malato. L’Assemblea a tributato a Marco un lungo caloroso applauso unendosi all’augurio di pronta guarigione formulato dal Segretario generale.
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Perché dobbiamo ringraziare la Confederazione Sindacale Sarda per i suoi 40 anni. E chiederle di continuare.

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di Franco Meloni
Eravamo in tanti il 20 gennaio 1985 al Setar Hotel nel lungomare di Quartu Sant’Elena, al Congresso costitutivo della Confederazione Sindacale Sarda. A darle battesimo Eliseo Spiga, primo segretario generale, che all’epoca aveva 54 anni e alle spalle una storia di intellettuale di sinistra, per un certo periodo comunista, sempre sardista e vero autonomista, poi approdato al PSd’Az.
La storia politica personale di Eliseo e la sua forte personalità destavano qualche diffidenza e qualche preoccupazione sia nel campo dei partiti della sinistra storica (PCI e PSI), sia in quello sardista (PSDAZ), ma anche nelle formazioni della nuova sinistra, DP Sarda in primis, da tempo approdata nel campo federalista. I Sindacati confederali (CGIL – CISL – UIL), i più “minacciati” dalla discesa in campo della nuova formazione, la criticarono, prendendo le distanze senza esitazione, ma era alle componenti di sinistra delle stesse che la nascente CSS, si rivolgeva, trovando rispondenza alla propria proposta. Occorreva forse più tempo per negoziare cambi di organizzazione e da queste componenti [leggi correnti interne] arrivavano messaggi di prudenza.
Ma Eliseo, profondo conoscitore degli ambienti politici e sindacali, che pur ascoltava nonostante tutto, non era certo uomo di mediazione e di attesa *: ruppe gli indugi e fondò il nuovo Sindacato. Credeva fermamente nella giustezza dell’analisi politica della fase storica che si viveva e che in Sardegna avrebbe premiato un nuovo soggetto politico-sindacale su basi etniche, che in poco tempo avrebbe catturato i consensi maggioritari dei lavoratori sardi. Come era accaduto in Val d’Aosta e in Alto Adige, ma soprattutto nelle regioni autonomiste della Spagna repubblicana (in primis Catalogna e Paesi Baschi). La storia ci dice che non ebbe ragione in quanto i pur significativi consensi che arrivarono, non riuscirono a scalzare la presenza oligopolista dei Sindacati confederali. La funzione di “cinghia di trasmissione” degli stessi nei confronti dei partiti della sinistra o, in diversa misura per la Cisl, della Democrazia Cristiana, non venne scalfita e il PSd’Az non assunse mai la CSS come “suo” Sindacato di riferimento. Le stesse formazioni dell’estrema sinistra non stabilirono un rapporto privilegiato con la CSS, preferendo riferirsi indistintamente a tutti i Sindacati, compresa la CSS. Vero è che DP Sarda mostrò sempre una certa simpatia per la CSS arrivando a darle i due segretari generali che nel tempo sono succeduti a Eliseo Spiga: nell’ordine Francesco Casula e Giacomo Meloni.
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Nonostante tutto la CSS ha continuato ad esistere, con significative presenze tra le categorie dei lavoratori (citiamo la rilevante Federazione dei Postelegrafonici CSS), con un andamento a fisarmonica: molte adesioni nelle fasi di gestione delle vertenze, crollo nel momento di firma (e successivo) dei contratti, laddove il campo era ed ancora è oggi (seppure in misura minore) saldamente occupato dalle sigle sindacali firmatarie dei contratti nazionali.
Tuttavia la CSS ha saputo nel tempo acquisire una rispettabile reputazione nella difesa dell’identità della Sardegna, della cultura e della lingua sarda, nell’intransigente difesa della popolazione sarda, contro l’occupazione militare del territorio sardo, per la Pace. Molto importante l’adesione della CSS al movimento per la conversione della fabbrica di armi della RWM di Domusnovas.
La CSS ha articolato la sua organizzazione nell’intero territorio sardo, pur dovendo rinunciare alla disseminazione di sedi fisiche, considerati i costosi oneri di affitto, salvo la sede centrale di Cagliari, recentemente acquistata e quella di Sassari. Altre realtà importanti di supporto alle attività della CSS sono l’Assotziu Consumadoris Sardigna a protezione dei consumatori sardi e a difesa della conservazione e valorizzazione dell’ambiente e il Centro Studi intitolato all’eroe sardo Giovanni Maria Angioy.
La CSS è poi impegnata a sostenere le rivendicazioni degli agricoltori organizzati nella Confederazione Liberi Agricoltori.
Un altro importante impegno è il sostegno e la tutela degli interessi di categorie considerate marginali e troppo spesso lasciate prive di rappresentanza come quelle dei bancarellari, dei giostrai e simili.
La CSS contro i pregiudizi verso queste categorie ne ha assunto la rappresentanza, restituendo loro la dignità dovuta a tutti i lavoratori.
Concludo confessando di aver certamente dimenticato qualcosa nel descrivere iniziative e attività della CSS, che in grande parte si trovano nell’articolo di Francesco Casula, pubblicato sul blog Libero, su Aladinpensiero e su diversi social.
Le analisi e i giudizi contenuti in questo articolo sono ovviamente personali. Le conclusioni si riassumono in un Grande Grazie ai segretari generali del passato e attuale, agli altri dirigenti, agli iscritti e simpatizzanti per avere fatto vivere e operare per ben 40 anni un’organizzazione al servizio del popolo sardo. Ci attendono tempi difficili, da interpretare in tutti gli aspetti perché non ne veniamo travolti. La Confederazione Sindacale Sarda dovrà sicuramente continuare modificando se stessa per meglio contribuire a perseguire gli interessi dei sardi, con particolare impegno per i lavoratori e i ceti meno abbienti. Fortza paris, nel duplice significato di Avanti insieme e Avanti uguali!
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* Eliseo Spiga (Aosta 1930 – Cagliari 2009)
Così ne parlano i due segretari generali che nell’ordine gli sono succeduti: Francesco Casula e Giacomo Meloni: “Era un uomo forte e generoso, un intellettuale scomodo, lucido nelle sue analisi e profetico nelle sue visioni”. “Con Eliseo scompare un grande combattente, uno degli intellettuali più lucidi e creativi della Sardegna: sanguigno, irregolare e disorganico a Partiti e camarille, renitente e utopistico. Spiga si ribellava, infatti, allo sfacelo e alla società alienata della apparente razionalità capitalista del sistema economico e sociale occidentale… non si conformava e non si arrendeva alle logiche e alle ragioni della modernizzazione tecnicista, al mito dello Stato e del Mercato, al Dio moneta”. Eliseo Spiga aveva sempre investito sull’utopia, realisticamente uomo di potere, per un periodo della sua vita iscritto al PCI e alla Massoneria, dal potere abbandonato ma non abbattuto, sorretto com’era dalle sue convinzioni utopiche rispetto alla difesa e valorizzazione della Sardegna e del popolo sardo.
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Giacomo Meloni, segretario generale in carica della CSS.

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Giovedì 16 gennaio 2025
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