Monthly Archives: ottobre 2018

Un bel aforisma di Barbara Wootton*

wootton_of_abinger“E’ dai campioni dell’impossibile piuttosto che dagli schiavi del possibile che l’evoluzione trae la sua forza creativa.”
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* Barbara Wootton

Il peggio dell’America dall’America

INTERNAZIONALE. «Via lo ius soli»: l’ultimo attacco alle origini dell’America moderna.
Stati uniti d’America. Nuova minaccia di Trump ai migranti per guadagnare consenso a due settimane dal voto di medio termine: con un ordine esecutivo il presidente vuole stracciare uno dei pilastri del paese e della costituzione. Dure critiche dai democratici, dubbi dagli esperti: serve la maggioranza del Congresso
31inchiesta1-f02-ius-soli New York, 25 settembre 2018: American Muslim Parade
© LaPresse
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di Marina Catucci su il manifesto
NEW YORK
il manifesto , edizione del 31 ottobre 2018. [segue]

Oggi mercoledì 31 ottobre 2018

lampada aladin micromicrodemocraziaoggiesher-melonsardegnaeuropa-bomeluzo3-300x2118df416a0-25c9-4177-9cb3-0f696e9bb819Sardegna-bomeluzo2204cc6bf1-a894-427d-b330-3e521aaa62957562af71-1ae0-4815-bbd3-611ab199de11escher-620x330sedia-van-goghvanitasvanitatem-300x205GLI-OCCHIALI-DI-PIERO1-150x1501413I ragazzi di Palabandalogo76agenda2030dupalle-giard-pub-24-x-18-cafilippo-figari-sardegna-industre-27a24a5f1-b214-48fc-81d9-0d04e55f68dbimg_4633Anpi logo nazcostat-logo-stef-p-c_2-2serpi-2ape-innovativa
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rossanda-rossana2 Venerdì 26 ottobre 2018 Diego Bianchi ha trasmesso su Propaganda Live, il programma su La7, un’intervista a Rossana Rossanda realizzata qualche giorno prima. La puntata integrale è qui. Rossana compare dopo 1 ora e 55′ circa.
Il manifesto pubblica lo sbobinato della trasmissione per gentile concessione dell’autore. Su Aladinews.
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3f555ee7-6c23-42b0-b6e2-6df7df3b95b0Che fa LeU alle regionali? Si spacca? Intervista a Mirasola
31 Ottobre 2018
Roberto Mirasola (SI), a domanda di Andrea Pubusa risponde. Su Democraziaoggi.
In vista della preparazione delle liste regionali cosa si muove nell’arcipelago sempre più esile della sinistra? Ne parlo con Roberto Mirasola, esponente sardo di Sinistra Italiana, sempre impegnato in questi anni nelle battaglie in difesa della Costituzione e per i diritti sociali.
- Si è sparsa voce che […]

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Newsletter

logo76Newsletter n. 119 del 30 ottobre 2018

CHIAMATE ALLE ARMI

Care amiche ed amici, [segue]

Frana la Sinistra, ma non la sua necessità. Da dove ricominciare.

7a24a5f1-b214-48fc-81d9-0d04e55f68dbLe mancata unificazione delle disperse forze progressiste in un’improbabile sinistra social-riformista

di Gianfranco Sabattini*

Layout 1Il direttore di “Italianieuropei”, Peppino Caldarola, per celebrare i vent’anni della rivista, nel numero 4/2018, propone all’attenzione dei lettori una serie di “giudizi a caldo” di diversi autori, non schiacciati sul presente, ma, come egli afferma, “di prospettiva, come si fa all’inizio di ogni stagione politica nuova”. L’interesse dell’ultimo numero del periodico, però, sta nel fatto che i “giudizi di prospettiva” siano seguiti da una sezione di approfondimento (Vent’anni di Italinieuropei), contenente principalmente lo scambio di lettere, risalente al 2001, occorso fra Giuliano Amato e Massimo D’Alema; lettere che, nella breve introduzione della sezione, Caldarola afferma abbiano contribuito a porre “le basi culturali per la nascita della rivista”, tre anni dopo la costituzione, nel 1998, della “Fondazione Italianieuropei”, cui gli stessi Amato e D’Alema “avevano dato vita riunendo intorno ad essa molti intellettuali di sinistra e no”.
L’interesse del contenuto delle lettere scambiate tra i promotori della fondazione e della rivista (arricchito dalla ripubblicazione di un articolo di Alfredo Reichlin, nel quale veniva ribadita l’urgenza che si desse corso a quanto sottolineavano il dirigente socialista Amato e il post-comunista D’Alema), non sta solo nell’indicazione della necessità di riaggregare le forze della sinistra intorno ad un progetto riformista di respiro europeo, in grado di dare risposte adeguate ai problemi sociali emergenti dall’allargamento e dall’approfondimento della globalizzazione; ma anche nell’urgenza insistita di formulare una valutazione tra ciò che, allora, Amato e D’Alema indicavano come programma per una nuova sinistra, e i “giudizi di prospettiva” riportati nella prima sezione della rivista stessa, dal titolo non casuale “Quale opposizione?”.
Amato, nella propria lettera a D’Alema (“Misuriamoci insieme con la novità del futuro”) sottolineava il fatto che le nuove condizioni socioeconomiche determinate dai grandi squilibri distributivi, nonché la “bomba demografica sempre più vicina ad esplodere”, ponessero le forze di sinistra davanti a in “drastico dilemma”: predisporsi ad affrontare le conseguenze dei crescenti flussi di immigrati, o apprestarsi a promuovere una riforma delle istituzioni con cui realizzare un’“efficace ridistribuzione dello sviluppo”? Fra i tanti rischi che, secondo Amato, si correvano nello sciogliere il dilemma, quello che più doveva preoccupare era la mancanza di una bussola in grado di consentire un valido orientamento nel risolvere i nuovi problemi; ovvero, di assolvere alla stessa funzione della bussola che aveva “ispirato per decenni il movimento socialista”.
Questa nuova “bussola politica” avrebbe dovuto consentire ai socialisti riformisti di stabilire se, all’inizio del nuovo secolo, il riformismo d’antan avesse lasciato solo “una traccia di buone intenzioni”, oppure continuasse ancora ad offrire soluzioni per governare le sfide poste dai nuovi problemi.
Secondo Amato, per la nuova sinistra, era possibile uscire dall’incertezza, pur tenendo conto che “il riformismo non aveva più gli stampi in cui si erano formate le identità collettive su cui aveva fatto leva per la sua azione”, se dall’analisi del passato essa (la nuova sinistra) avesse potuto “trarre una costante”; questa non doveva identificarsi con gli strumenti che il riformismo aveva usato per decenni, ma “con le finalità e gli effetti di fondo” che nel passato avevano caratterizzato la sinistra “in relazione alla coesione, agli equilibri, alla governabilità stessa delle nostre società”. Ma in che modo la nuova sinistra poteva trarre dagli “stampi” del vecchio riformismo la “costante” della quale parlava Amato, all’altezza delle nuove sfide emergenti? Le vie che potevano essere seguite – egli affermava – erano due.
La prima era quella indicata dalla destra e che gran parte dei Paesi democratici ad economia di mercato aveva iniziato a percorrere, a partire dalla seconda metà degli anni Settanta del secolo scorso; questa via, supportata dall’ideologia neoliberista, rispondeva, secondo Amato, alle sfide del mondo, assicurando la più larga libertà d’iniziativa a tutti i componenti le società.
Il collante che assicurava la coesione di tale tipo di società, secondo Amato, era la certezza offerta a tutti che i loro egoismi non sarebbero stati contrastati, e che chi fosse riuscito a correre di più sarebbe stato “comunque premiato (senza guardare troppo per il sottile sui mezzi usati per aumentare la velocità della corsa)”; ma anche, si può aggiungere, senza alcuna preoccupazione del possibile peggioramento dell’ineguale distribuzione del prodotto sociale e della diffusione del fenomeno della povertà relativa ed assoluta.
A lungo andare, però, è stato inevitabile, a parere di Amato, che la coesione collettiva delle società scendesse “al di sotto dei livelli di guardia”, rendendo impossibile affrontare le sfide del mondo senza la necessaria disponibilità del consenso sociale a supportare la redistribuzione dello sviluppo. Non è questa – affermava Amato – la via che poteva essere percorsa per affrontare quelle sfide, senza che fosse compromessa, non solo la libertà delle società, ma addirittura un “futuro pacifico del mondo”.
In alternativa alla soluzione proposta e sostenuta dalla destra, per Amato esisteva quella suggerita dal socialismo riformista, in grado di affrontare “proprio i grandi temi del mondo” e di coinvolgere “soprattutto le nuove generazioni in una diffusa protesta contro la povertà, le disuguaglianze” e il poco che si faceva per ridurle. Ciò avrebbe implicato che il riformismo valorizzasse il patrimonio di idee del quale disponeva, per far diventare più libere le società, senza per questo renderle più divaricate e ingiuste; il socialismo riformista poteva però realizzare la valorizzazione del proprio patrimonio ideale solo a livello sopranazionale (ad esempio europeo), l’unico che, secondo Amato, potesse consentire di affrontare le sfide poste dalla globalizzazione, rimediando alle lacerazioni che tormentavano il mondo, a beneficio di chi ne soffriva e “a garanzia della sicurezza delle nostre stesse società”.
Concludendo la propria lettera, Amato sottolineava come una via di sinistra, volta a valorizzare il patrimonio ideale del socialismo riformista europeo, comportasse la necessità di compiere un’analisi dei problemi che all’inizio del nuovo secolo agitavano le società europee, senza limitarsi alla sola raccolta delle tendenze emergenti dai sondaggi di opinione; ma occorresse anche che la circolazione della rivista “Italianieuropei” coinvolgesse, non solo chi la faceva, ma pure chi la leggeva, nel “pensare e ragionare” al fine di mettere a punto un progetto di riforma delle istituzioni, per conformarle all’urgenza di governare democraticamente i problemi delle società moderne.
Non diversamente da Amato, D’Alema, nella sua lettera (“Ci unisce il legame con il socialismo europeo”) si dichiarava convinto che, di fronte ai nuovi problemi che travagliavano il mondo all’inizio del nuovo secolo, fosse “urgente una ricerca sulle ragioni, i punti di forza e anche i limiti, di un riformismo moderno”, attrezzato e all’altezza di reggere l’impatto di eventi che stavano modificando la vita dei popoli e la percezione della realtà. Di fronte alla nuova realtà, si riproponevano, a parere di D’Alema, le due domande che da tempo investivano “la natura stessa del riformismo e con essa le sorti della sinistra in Italia e nel resto d’Europa”: la prima volta a sollecitare una risposta al quesito se riformismo e socialismo potessero avere ancora un futuro, oppure se la globalizzazione (causa del nuovo stato sociale del mondo) implicasse la “fine della politica”; la seconda domanda, complementare alla prima, diretta invece a risolvere l’interrogativo riguardo all’”avvenire del riformismo” e all’individuazione della “ragione ultima di una ricomposizione unitaria [soprattutto in Italia] della sinistra”.
La risposta sollecitata dalla prima domanda, secondo D’Alema, era dirimente; essa mirava a stabilire se fosse possibile “recuperare quella che Gramsci definiva ‘la forza creativa della politica’”, oppure fosse ineludibile il suo declassamento, non tanto la sua scomparsa, ma “la perdita del legame tra l’agire collettivo e una maggior libertà dei singoli”. Se fosse stata riconosciuta la perdita (o l’affievolimento) di questo rapporto, sarebbe stato inevitabile accettare che la politica si riducesse ad essere ancella dell’economia e del mercato.
La risposta alla seconda domanda era considerata da D’Alema prioritaria al discorso sul possibile rilancio del riformismo e del recupero della forza creativa della politica; a suo parere, si doveva stabilire quale funzione il riformismo potesse svolgere nella prospettiva di una considerazione “globale della politica, dell’economia, del sapere, e naturalmente della sicurezza”; inoltre, la stessa risposta avrebbe anche consentito di stabilire se la ricomposizione unitaria della sinistra riformista disponeva delle risorse e della categorie linguistiche necessarie per partecipare al governo delle trasformazioni indotte dal processo attivato dalla globalizzazione; oppure, nel caso contrario, se il riformismo della sinistra fosse obbligato a un “ripiegamento domestico” e a rinunciare all’ambizione di partecipare al “governo democratico della globalizzazione”.
Secondo D’Alema, coloro che avessero creduto nel rilancio del socialismo riformista per fare fronte alle sfide della globalizzazione, non dovevano fare affidamento sull’esperienza del passato, ma rivolgere la loro riflessione su ciò che essi intendevano fare per il futuro, sulla funzione da svolgere e all’interno di quale luogo svolgerla. Su quest’ultimo punto, D’Alema mostrava di non avere dubbi; il luogo in cui riproporre il ricupero del socialismo riformista, in funzione di un rilancio della politica per il governo democratico della globalizzazione, non poteva che essere l’Europa; era questo l’unico approdo inevitabile per un rinnovamento della cultura politica e di governo da parte di tutte quelle forze sociali che avessero inteso unificarsi e identificarsi nella prospettiva d’azione di un rinnovato socialismo riformista.
A sostegno di questa sua posizione, D’Alema concludeva osservando che, all’inizio del nuovo secolo, in quasi tutta l’Europa, le forze del socialismo erano impegnate a ”cercare una sintesi moderna dei principi di libertà e di uguaglianza, di un individualismo non egoista e della responsabilità verso il futuro”. Partecipare a questa “battaglia di idee” era, per D’Alema, “il solo modo per non astrarre i destini del riformismo italiano” dal percorso che l’Europa andava definendo per sé e per il proprio futuro.
Dalle due lettere di Amato e D’Alema emergeva chiaramente l’idea di un progetto di rifondazione del retaggio culturale, politico e ideologico sul quale basare l’unificazione delle forze della sinistra italiana nell’ambito di un’azione politica inquadrata a livello europeo. Il senso del contenuto delle lettere, però, non andava al di là dell’esposizione di quanto sarebbe stato opportuno che il socialismo riformista italiano facesse per ricuperare alla modernità il proprio retaggio culturale, politico e ideologico. Poche, anzi nulle, le affermazioni circa le “cose” che il socialismo riformista avrebbe dovuto fare per una sua partecipazione al governo democratico della globalizzazione.
Il rilievo dei limiti propositivi delle due epistole che Amato e D’Alema si erano scambiate, dichiarandosi d’accordo sull’opportunità di un ricupero della tradizione del socialismo riformista per il governo democratico della globalizzazione, è stato esposto chiaramente nell’articolo “Domande ancora senza risposta” di Alfredo Reichlin, apparso nel secondo numero di “Italianieuropei” (quindi subito dopo la pubblicazione, sotto forma di lettere, dei due articoli di Amato e D’Alema, con cui essi hanno posto le basi, come già si è detto, per la nascita nel 20001 della rivista). Non casualmente, Caldarola, nella presentazione della ripubblicazione di tutti gli articoli, ha osservato che, nel suo intervento, Reichlin ha avuto lo sguardo “più lungo”, risultando anche “il più giovane”, in quanto, oltre ad affermare la “necessità di una sinistra che si impadronisse delle contraddizioni del mondo e che sapesse volgerle in un’azione positiva attraverso uno strumento politico, un partito vero di massa”, abbozzava anche un “progetto di futuro”, nel quale avrebbe dovuto identificarsi la ridefinizione del riformismo.
Questo progetto, affermava Reichlin, doveva consistere nelle ridefinizione del “riformismo come risposta [...] a ciò che ci chiedono le generazioni del Duemila”; in altre parole, doveva trattarsi di un progetto di futuro, “paragonabile per la sua forza”, a quello che si era “espresso nell’invenzione dello Stato sociale”. A tal fine, occorreva, secondo Reichlin, porre termine a discorsi fondati costantemente sul “dover essere”, e iniziare a formulare una proposta nuova di futuro, in grado di assicurare un governo democratico della globalizzazione, mettendo in campo “nuovi soggetti politici internazionali, nuove forme di statualità”. che però fossero “capaci di produrre anche nuovi modelli sociali ed economici”.
Una nuova sinistra, affermava Reichlin, che si fosse identificata in un rinnovato socialismo riformista, doveva necessariamente ridefinire le linee organizzative delle società, e fissare i principi cui ricondurre la responsabilità della politica verso le comunità. La mancata elaborazione e proposta di un progetto di futuro – concludeva Reichlin – era un fatto molto grave, perché quando una “domanda politica” non trova un’”offerta politica” corrispondente, diventa inevitabile la comparsa di pulsioni negative nei comportamenti collettivi. Insistere nella conservazione del welfare realizzato, la cui attività caritatevole ha cessato di servire ai poveri, agli esclusi e alla riproposizione di un nuovo riformismo socialista, può dare origine alla formazione di “vasti movimenti populisti di destra”. Reichlin è mancato ai più, sottraendosi al disagio di assistere all’avverarsi della sua previsione. Per fortuna, commenta Caldarola, sono rimasti i suoi suggerimenti.
E’ servito il messaggio di Reichlin a rendere consapevoli gli eredi dispersi del socialismo, che ai fini del ricupero di un loro rinnovato ruolo, è necessaria l’elaborazione di un progetto per il futuro? Leggendo gli articoli pubblicati nella prima parte del numero 4/2018 di “Italianieuropei”, si direbbe di no; con la sola eccezione dell’articolo della filosofa Donatella Di Cesare (“Una narrazione alternativa per ricominciare”), nel quale ella ribadisce che compito di una rinata sinistra non è solo quello di difendere la democrazia, ma anche quello di stabilire come affrontare, sulla base di un progetto di futuro, le nuove sfide del mondo attuale, attraverso una nuova “narrazione di quel che avviene non solo in Italia, ma nel mondo globalizzato”; gli autori degli altri articoli, invece, hanno imperniato i loro discorsi quasi esclusivamente sul come sconfiggere l’attuale governo “giallo-verde”.
Troppo poco, per sperare di assistere al nascere, in tempi sufficientemente brevi, di un nuovo soggetto politico social-riformista all’altezza dell’attuale stato del mondo; tutti i discorsi sono monchi della proposta di un progetto di futuro che indichi l’auspicabile rinnovamento della società e in funzione del quale si giustifichi la costituzione del nuovo soggetto politico, dotato della necessaria capacità di un’azione politica creativa.
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* Anche su Mondoperaio n.10/2018

Oggi martedì 30 ottobre 2018

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Zedda o Maninchedda? That is the question
30 Ottobre 2018
Andrea Pubusa su Democraziaoggi.
Paolo Maninchedda, con la sua ben nota tenacia, organizza Sas Primarias – Primarie Nazionali della Sardegna per il 16 dicembre. Prepara già le schede, che saranno due: una riguarderà il candidato alla presidenza, ma l’altra sarà – scondo i promotori – un voto storico sulla percezione che i sardi hanno di sé. Spiega Franciscu […]
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Mieli: Cosa c’entra il fascismo? Le evocazioni pericolose
29 Ottobre 2018
Paolo Mieli – Il Corriere della sera, ripreso da Democraziaoggi.
Paolo Mieli, sul Corriere della sera, ha scritto un commento in cui contesta l’uso fuori luogo dell’accusa di fascismo agli avversari politici, specie verso quelli di destra. Su questo blog ho sempre contestato, ad esempio, che il M5S sia meritevole di quell’epiteto e, anzi, pensavo e penso che sia […]
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Oggi martedì 30 ottobre San Saturnino Patrono della città di Cagliari

San-Saturnino-del-LonisOggi SAN SATURNINO. E’ il patrono di Cagliari, oggi celebrato. Nato a Cagliari in data imprecisata, a Cagliari muore il 23 novembre del 304 (o del 303, anno di martirio di altri santi), decapitato perchè rifiuta di adorare gli dei pagani. In sardo è detto Sadurru (Saturno), ma anche Saturninu (vedi il dizionario del Porru). Le sue spoglie furono ritrovate nell’ottobre del 1621, dopo imponenti scavi archeologici ordinati da Francisco d’Esquivel, arcivescovo di Cagliari dal 1604 al 1624. L’arcivescovo fece trasferire i resti del santo nell’apposita cripta della cattedrale di Cagliari: il santuario dei Martiri, dove oltre a quelli di Saturnino, si trovano i resti di altri martiri. In tale occasione si stabilì la data del 30 ottobre per celebrare il santo. La venerazione per Saturnino dei cagliaritani data da allora. Significativo che i patrioti di Palabanda nel 1812 scelsero questa data per la loro mancata rivolta, quasi a metterla sotto la protezione del santo. (Nella foto: Cattedrale di Cagliari, statua lignea del santo, del 1759, attribuita allo scultore sardo Giuseppe Antonio Lonis di Senorbì).

Messaggio dei Vescovi sardi per un impegno corale per risollevare le sorti della Sardegna. Un pressante appello ai cattolici perché si impegnino in politica

ces-carta-geoLavoro: vescovi sardi, “si creino tutte le condizioni per favorire la piena occupazione” soprattutto dei giovani. Molti i temi affrontanti, tra i quali il Reis, del quale viene richiesto un miglioramento per contrastare la crescente povertà e un impegno più deciso per i migranti. Infine un passaggio chiave del messaggio: un pressante appello ai cattolici perché si impegnino in politica. 29 ottobre 2018 – MESSAGGIO
Politica: vescovi sardi, “cattolici siano disponibili a candidarsi. Dottrina sociale patrimonio per una fattiva costruzione del bene comune”
“Come vescovi siamo chiamati a ribadire la necessità di un impegno incessante delle istituzioni politiche affinché si creino tutte le condizioni atte a favorire la piena occupazione”. Lo scrivono i vescovi delle diocesi sarde in un messaggio diffuso ad un anno dallo svolgimento a Cagliari della 48ª Settimana sociale dei cattolici italiani. “Nella nostra responsabilità di vescovi – affermano – riteniamo opportuno e doveroso intervenire per richiamare le nostre Chiese, ma anche le Istituzioni politiche e sociali, nonché tutte le persone di buona volontà, a non lasciar cadere nel vuoto le sollecitazioni e le proposte emerse in quell’occasione”. Tra le preoccupazioni individuate, c’è “anzitutto il persistere della crisi occupazionale, sia con riferimento al lavoro che si sta perdendo – resta importante la ricorrente verifica sulla utilità e la valorizzazione delle industrie – e a quello esistente, quando precario, insalubre, non adeguatamente retribuito, sia per quanto attiene il non semplice ingresso dei giovani nel mercato del lavoro”. E se “il lavoro è necessario non solo come mezzo di sussistenza ma anche come condizione imprescindibile per conferire dignità alla persona umana”, i vescovi sottolineano che “il mercato del lavoro in Sardegna continua ad essere caratterizzato da minori opportunità lavorative per gli individui più qualificati”. “Il lavoro – ammoniscono – va assicurato a tutti come via di piena realizzazione personale e integrazione sociale”. In particolare, i vescovi chiedono che “si agisca per favorire l’occupazione dei giovani sardi”. [segue]

Rossana Rossanda

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Venerdì 26 ottobre 2018 Diego Bianchi ha trasmesso su Propaganda Live, il programma su La7, un’intervista a Rossana Rossanda realizzata qualche giorno prima. La puntata integrale è qui. Rossana compare dopo 1 ora e 55′ circa.

Il manifesto pubblica lo sbobinato della trasmissione per gentile concessione dell’autore.

Sei appena tornata dalla Francia, mi hai detto che non pensavi di trovare l’Italia così. Che pensavi?

Mancavo dall’Italia da 15 anni, pensavo di trovare un paese in difficoltà economica, politicamente basso, ma non scivolata dov’è adesso, con questa lite continua. Nessuno sente il problema di dire com’è che siamo arrivati a questo punto, com’è che oggi si possono risentire accenti che dopo la guerra non erano più pensabili. La sinistra, che ha perso milioni di voti, non si interroga o, se si interroga, non ce lo dice.

Una volta invece ci si interrogava sempre.

Certo. Adesso non so più se il partito democratico, o come si chiami, farà il congresso.

Quei bei congressi di una volta…

Belli non erano. Erano anche un po’ noiosini. Però c’era il problema di dire dove siamo, cosa succede su scala mondiale, su scala italiana e che cosa proponiamo noi. Sono cose elementari, perché una forza politica deve chiedersi in che mondo mi trovo, in che paese siamo, e che cosa farei io se fossi il governo.

Facciamo un congressino veloce. Ti sei data una risposta, una motivazione? Su scala internazionale per esempio in Brasile sta vincendo l’estrema destra.

Accade dappertutto. Una ipotesi è la delusione fornita dalla sinistra, sia nei luoghi dove ha potuto governare, sia in quelli dove non lo ha fatto. C’è delusione. Gli operai non votano più.

Non votano più a sinistra?

Non votano più. La sinistra ha perduto il suo elettorato.

Sei ottimista sul breve termine?

No. La sinistra del Pd di fatto non ha proposto niente di profondamente diverso da quello che fa la destra e allora perché dovrebbe conservare il suo elettorato?

Ti riferisci a qualcosa in particolare?

L’immigrazione è a parte perché è un fenomeno nuovo. Ma certo che si potesse approvare l’ultimo decreto di Salvini, anche con la firma della Presidenza della Repubblica, era inimmaginabile. Gli stessi diritti che noi vorremmo per noi, non li possiamo dare ai migranti. E’ qualcosa di insopportabile, non pensi?

Anche per questo il Pd è stato molto criticato dalla sinistra…

Ma quale sinistra? La sinistra non è rappresentata. In verità il più grande partito è quello degli astensionisti. Molta sinistra si è astenuta, non trovando nessuna offerta che la persuadesse. Penso che è un errore astenersi. Quando non si ha una rappresentanza bisogna ricostruirsela.

E tu che cosa pensi?

Io sono una persona di sinistra. Sono stata cacciata dal Pci perché ero troppo a sinistra. Una persona mite come me è stata considerata una estremista. Oggi Bergoglio non credo che mi scomunicherebbe facilmente.

Bergoglio ha fatto il papa sull’aborto, proprio oggi…

E’ un punto delicato. E’ meglio lui della piddina di Verona che ha votato contro l’aborto. Vorrei un politico italiano che parlasse come il papa, per esempio sui migranti. Se Minniti fosse un vescovo verrebbe bacchettato da Bergoglio.

Si parla molto di questo governo di destra, di ritorno del fascismo, del razzismo. Chiedo a te che il fascismo l’hai vissuto.

Non sono per dire che siamo agli anni ’30. Sono preoccupata, anche se non credo che il paese accetterebbe un ritorno esplicito al fascismo. C’è la semina di mezzo secolo di democrazia. Ma la battuta di Salvini “prima gli italiani” è qualcosa di intollerabile. Perché “prima gli italiani”? Che cosa hanno fatto di meglio degli altri? Cosa c’entra con le idee che hanno fatto l’Italia? Il fatto che la sinistra italiana non ha avuto il coraggio di votare lo jus soli è veramente insopportabile. Bisogna essere italiani non solo per essere nati qui ma per che cosa allora? Non vorrei andare a frugare e trovare qualcuno che dice che ci sono le facce ariane e quelle non ariane. Sento l’odore di qualcosa di molto vecchio.

Sei stata responsabile della politica culturale del Pci. Chi ti aveva dato questo ruolo?

Togliatti.

E che ne pensi, esistono oggi politiche culturali?

Non mi pare. La cultura significa i valori, per che cosa ti batti. Adesso il partito democratico non si batte più neanche per l’uguaglianza dei migranti. Non lo vedo alla testa e neppure parteggia per la politica delle donne. La 194 è una legge degli anni Settanta. Oggi forse non la rifarebbero più.

Quindi essere del secolo scorso può diventare quasi un vanto?

Assolutamente sì. Io sono del ‘900 e lo difendo. E’ stato il primo secolo nel quale il popolo ha preso la parola dappertutto. E dove l’ha presa, l’ha presa sostenuto dalla sinistra.

La domanda che in tanti si fanno, anche a sinistra, è come comunicare. Tu frequenti i social network?

No. Zero. Io sono sempre stata povera ma non vorrei dare neanche mezzo euro a Zuckerberg. In gran parte dipende da lui se siamo messi così.

Ci sono però questi strumenti di comunicazione, anche e soprattutto in politica.

Non so se sia una vera comunicazione. Comunicare significa parlare a qualcuno di cui consideri che ha la tua stessa dignità.

Come si fa a parlare anche alla testa e non solo alla pancia? La sinistra sembra afona in entrambi i casi. Non è capace o non sa cosa dire?

Perché non ci crede più. Non è capace. Se la sinistra parla il linguaggio se non proprio della destra comunque dell’esistente, non può essere votata dall’operaio. La sinistra deve parlare a quella che è la parte sociale dell’Italia più debole e meno ascoltata. Quando uno vota il jobs act indebolisce le difese degli operai. Si può continuare a chiamarlo contratto a tutele crescenti, ma la verità è che ha diminuito la forza operaia.

Che idea hai sul Movimento 5 Stelle?

Il Movimento 5 Stelle non è niente. Gli italiani vogliono questa roba informe, generica, si fanno raccontare delle storie. Nella Lega invece cercano un’identità cattiva. Questo è Salvini. Di Maio non è cattivo, non è nulla.

Grazie compagna Rossanda.

Caro compagno… certo è difficile dire oggi questa parola. Non capiscono più in che senso lo dicevamo. E’ una bella parola ed è un bel rapporto quello tra compagni. E’ qualcosa di simile e diverso da amici. Amici è una cosa più interiore, compagni è anche la proiezione pubblica e civile di un rapporto in cui si può non essere amici ma si conviene di lavorare assieme. E questo è importante, mi pare.

Chiesa

18424219_459451227728609_5710761584493663130_nUna Chiesa (un po’) più giovane
29 Ottobre 2018
di Stefano Biancu su Meic.
Il 27 ottobre scorso si è concluso il Sinodo “dei” giovani ed è dunque stato reso pubblico il documento finale. Si tratta di un testo votato dai vescovi punto per punto e a partire dal quale il papa imposterà la propria esortazione apostolica post-sinodale. [segue]

Incontro-dibattito sul Lavoro del 5 ottobre 2018: gli interventi

costat-logo-stef-p-c_2demasi-renato-da-foto-varie
I contributi già pubblicati (in forma sintetica):
pubusa-al-conv- Andrea Pubusa;
5603ef31-8680-4df7-ba4a-cf00e8ab07eb- Luisa Sassu;
767845de-453f-4c68-be83-1aad0b71f8ac- Gabriella Lanero;
silvano-tagliagambe-1- Silvano Tagliagambe;
gianfranco-sabattini-conv-5-ott18
- Gianfranco Sabattini; – Gianna Lai. c98ccea8-615e-4836-9067-a7e9dde7613f
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Oggi lunedì 29 ottobre 2018

lampada aladin micromicrodemocraziaoggisardegnaeuropa-bomeluzo3-300x211Sardegna-bomeluzo22sedia-van-goghGLI-OCCHIALI-DI-PIERO1-150x1501413filippo-figari-sardegna-industre-2img_4633Anpi logo nazcostat-logo-stef-p-c_2-2serpi-2ape-innovativa
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fb190895-1cee-4b98-ad68-9f3016b93d50Come cambia il lavoro, un Convegno ed un libro
29 Ottobre 2018
Gianna Lai su Democraziaoggi.
Lavorare meno, lavorare meglio, lavorare tutti. Atti Convegno, Cagliari 4-5 ottobre 2017. A cura di Fernando Codonesu, Aracne Edizioni.
Dalla Costituzione si parte, dal valore della persona, ’secondo la solenne enunciazione dell’art.1, che pone il lavoro a base della Repubblica’, nell’introduzione di Andrea Pubusa alla raccolta sugli Atti del Convegno Lavorare meno, lavorare meglio, lavorare tutti. […]
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I sardi al voto con la peggiore legge elettorale regionale della Repubblica, frutto di un miserabile accordo CS/CD alla fine della scorsa legislatura. Lacerazioni e ritardi nei partiti. Per ora un solo candidato presidente: Andrea Murgia per AutodetermiNatzione.

3f555ee7-6c23-42b0-b6e2-6df7df3b95b0andrea-murgialampadadialadmicromicro133Si avvicina la scadenza delle elezioni regionali sarde (febbraio 2019), che saranno regolate dalla peggiore legge elettorale vigente tra tutte le Regioni italiane: una legge carognesca voluta alla fine della scorsa legislatura dal centro sinistra e dal centro destra, segnatamente da Pd-Sel e da Forza Italia, uniti in nome degli esclusivi interessi dei partiti, allora maggioritari, contro le minoranze e, soprattutto, contro gli interessi dei sardi. Come è noto questa legge, che nonostante le promesse degli stessi partiti non è stata modificata, se non per introdurre la garanzia della rappresentanza di genere (poca cosa, in quanto la modifica s’innesta in un immutato pessimo contenuto complessivo) danneggerà nella prossima scadenza elettorale proprio i partiti che l’hanno voluta, in modo particolare il Pd. A nulla sono valsi gli appelli fatti da molte organizzazioni democratiche e tra queste dal Comitato d’indirizzo costituzionale e statutario (CoStat). Si dirà: “chi è colpa dei suoi mali pianga se stesso” e va bene, ma purtroppo a pagare, a pagarla cara, saranno soprattutto i sardi, i quali presumibilmente in misura rilevante e crescente rispetto alle ultime consultazioni diserteranno le urne. Un’altra annotazione: a tutt’oggi nessuno degli schieramenti in campo, tranne uno, ha indicato il candidato presidente. Lo aveva fatto il M5S, che però ha preso atto della rinuncia alla candidatura del suo esponente Mario Puddu, in relazione alla condanna comminatagli per abuso d’ufficio. L’unico candidato per ora in campo è Andrea Murgia per AutodetermiNatzione. Vogliamo dare merito a questa organizzazione per la tempestività e per la qualità della persona scelta. Andrea Murgia si presentò alle primarie nel centro-sinistra, vinte da Francesca Barracciu, poi sostituita come candidato presidente da Francesco Pigliaru. Andrea, presentatosi come outsider, ottenne un ottimo risultato, soprattutto considerate le condizioni di partenza. La sua candidatura fu accolta con simpatia e appoggiata dalla nostra News, che per l’occasione fece eccezione alla sua terzietà rispetto ai candidati della sinistra e comunque degli schieramenti progressisti. Al riguardo ci piace riproporre un editoriale di Aladinews del 31 agosto 2013, che per certi versi, mutatis mutandis, mantiene una sua validità. Ovviamente auspicando un esito migliore, decisamente lusinghiero, come sicuramente Andrea Murgia e AutodetermiNatzione ampiamente meritano.
Murgia, Andrea Murgia. Ma chi è quello lì?
Ma cosa vuole questo Murgia, questo Andrea Murgia? [segue]

Ferrajoli sul diritto delle migrazioni

lucchettodi Luigi Ferrajoli*

Il principale segno di cambiamento manifestato finora dall’attuale sedicente «governo del cambiamento» è la politica ostentatamente disumana e apertamente illegale da esso adottata nei confronti dei migranti. Di nuovo il veleno razzista dell’intolleranza e del disprezzo per i «diversi» sta diffondendosi non solo in Italia ma in tutto l’Occidente, nell’Unione Europea e negli Stati Uniti, quale veicolo di facile consenso nei confronti degli odierni populismi e delle loro politiche di esclusione.

Bernice King ai giovani “La non violenza è una nuova definizione di grandezza”

forum_dei_giovani_ii__i_have_a_dream_per_un_mondosenza_razzismo_e_violenza_0
bernice-kingBernice A. King, Pastore battista e figlia di Martin Luther King, USA
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La figlia di Martin Luther King ha parlato a centinaia di giovani venuti per “Ponti di pace”, l’incontro internazionale promosso da Sant’Egidio.
Condividiamo il suo intervento, ringraziando per questa opportunità la Comunità di Sant’Egidio.

LA NON VIOLENZA: UNA NUOVA DEFINIZIONE DI GRANDEZZA
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