Monthly Archives: marzo 2023

Convegno dell’Aimos. Riflessioni di un laico

4c07ca7b-63c9-44ff-bbd1-f64435a24c50di Franco Meloni
Non sono solito frequentare Simposi di medici, infermieri e altri operatori della sanità: uno come me si affida alla scienza medica e a chi la rappresenta nelle diverse sue professioni. Con giudizio (quello del Manzoni: Adelante Pedro, con juicio, si puedes), ovviamente. E tanto basta. Ma la telefonata di alcuni giorni fa dell’amico Paolo Castaldi, presidente dell’Aimos, di cui pure sono consigliere di competenza amministrativa, era perentoria: “Franco devi partecipare al prossimo nostro Convegno di Area critica: parliamo di politiche sanitarie, di nuovi modelli socio-sanitari, di risorse da impiegare, possibilmente bene… questioni che riguardano tutti i cittadini…”. Giocarsi un venerdì sera per un Convegno di sanitari? Se lo dice Paolo ne vale il sacrificio: obbedisco! E così è stato e ne sono contento. Di seguito alcune riflessioni. Non aspettatevi un resoconto, sarebbe troppo impegnativo e peccherebbe di approssimazioni. Meglio – per quanti vogliono approfondire gli argomenti, perchè assenti o magari perchè molto sfugge anche ai più attenti partecipanti – ripercorrere le relazioni e gli interventi ai dibattiti negli “atti” successivi, che l’Aimos metterà a disposizione nel proprio sito web o con altri mezzi di efficace comunicazione.

C3dem. L’etica della cura: una nuova prospettiva

i-carec3dem_banner_04L’etica della cura: una nuova prospettiva.
26 Marzo 2023 by Fabio | su C3dem
di Sandro Antoniazzi

Che cos’è l’etica della cura?
La parola cura ha molti significati.
Alcuni più medico-sanitari, altri più sociali, ma il carattere comune più significativo è indubbiamente quello relazionale.
La parola americana “care” è indubbiamente più espressiva, perché significa “prendersi cura di…”, ”interessarsi di…”, “preoccuparsi di…” (“I care” era il motto che don Milani che opponeva a “me ne frego”).
Dunque, cura dice che nelle relazioni è contenuto un interesse per l’altro, una preoccupazione per l’altro da noi.
Ogni attività sociale – in famiglia e nelle convivenze, coi vicini e nel quartiere, nel lavoro, nei servizi, nelle istituzioni – è fatta di relazioni; l’etica della cura se ne occupa in modo integrale, cioè sia a livello soggettivo che in quello collettivo-sociale.
Consideriamo alcune di queste situazioni.
Il campo delle attività e dei servizi sociali è di fatto un settore marginale, femminilizzato, considerato come un costo e quindi mal sopportato, accettato per necessità.
Non produce surplus e dunque si presenta economicamente povero, dotato di scarse risorse perché dipendente dai contributi pubblici (sempre lesinati) e dalla spesa delle famiglie. E’ in corso anche un processo di privatizzazione che però riguarda solo i ceti benestanti che se lo possono permettere (basta guardare le rette delle RSA).
E’ tradizionalmente un settore con occupazione femminile, sia perché si pensa che la cura sia un’espressione più propria delle donne, sia perché è quasi “naturale” pagare le donne meno degli uomini.
Le ristrettezze delle risorse economiche e il carattere personale del lavoro, fa sì che si esprima una forte pressione nei confronti dei lavoratori (spesso cooperative di immigrati) perché rendano il più possibile; così i lavoratori vengono a trovarsi in conflitto tra le esigenze di rendimento massimo e quelle di un lavoro di cura che richiede attenzione alle persone da curare.
Ecco, dunque, un settore dove si manifesta in modo evidente l’esigenza di un’attenzione primaria alla dimensione della cura.
Passando al lavoro domestico, si può dire che tradizionalmente esisteva una divisione del lavoro per cui l’uomo lavorava fuori casa guadagnando un salario e la donna rimaneva in casa ad allevare i figli e svolgere i lavori casalinghi.
Questo sistema è stato in larga misura superato dall’evoluzione della società e dalle lotte delle donne (a partire da quelle sul salario domestico).
Ma nella realtà non è cambiato molto e la maggior parte del lavoro domestico è tuttora a carico delle donne.
L’etica della cura spinge a una profonda revisione di questo stato di cose: da una parte sostenendo che dove l’attività svolta in casa costituisce un vero e proprio lavoro sociale deve essere riconosciuto e pagato (riguarda il mantenimento e l’allevamento dei figli e l’accompagnamento degli anziani e dei disabili che hanno bisogno di cura), dall’altra affermando che il lavoro di cura che ora continua a gravare prevalentemente sulle donne, venga più equamente ripartito e condiviso anche dagli uomini.
Procedere in questa direzione porterebbe a un profondo cambiamento della nostra vita sociale e personale, a una condizione di maggiore giustizia e anche a più democrazia (perché una più giusta redistribuzione del lavoro di cura permetterebbe anche alle donne di partecipare maggiormente).
Esiste poi un campo, per certi versi nuovo, dove il lavoro di cura viene oggi richiamato: si tratta della dimensione relazionale (e intellettiva) che sta assumendo una parte del lavoro recente.
Le trasformazioni tecnologiche ed economiche tendono a ridurre il lavoro manuale (svolto sempre più dalle macchine) e a sviluppare un lavoro, quello terziario (commercio, finanza, servizi alle imprese e alla persona, consulenza) in cui assume importanza primaria il lavoro della persona.
Ora il lavoro della persona è fatto di intelligenza e di sentimento che necessariamente si esprimono nel lavoro; anzi spesso costituiscono fattori essenziali per l’esecuzione del lavoro stesso, fattori che secondo alcuni il padrone “sfrutta” per il suo profitto.
Esistono diversi lavori, dunque, dove si manifesta questa dimensione “relazionale” come caratteristica inerente al lavoro e in questi casi appare evidente che il tradizionale sistema di remunerazione in base alle ore di lavoro non è più adeguato.
Come tenere conto nella valutazione del lavoro di questa dimensione relazionale di cura?
Questi sono alcuni esempi, in settori fondamentali, di applicazione dell’etica della cura nel campo sociale e del lavoro, ma è stata avanzata anche un’altra problematica non meno rilevante; gli ambientalisti definiscono spesso il loro impegno ecologico con il termine “cura del pianeta”.
E’ evidente che qui la parola cura è usata in una forma ben diversa, si può dire in modo prevalentemente simbolico. Si apre così una serie di problemi importanti.
La cura della persona comporta, si può dire logicamente, anche la cura dell’ambiente in cui si vive; si tratta però dell’ambiente prossimo.
Questa cura dell’ambiente porta a sua volta riconsiderare il rapporto uomo-natura, rapporto personale, ma che stimola una riflessione filosofica.
Addentrandosi in questi problemi, dato che la questione ambientale riveste un carattere mondiale, si apre l’esigenza di confrontarsi con culture diverse, dei tanti popoli che abitano il pianeta.
E poi come far concordare questa cura per il pianeta con quella più strettamente relazionale tra persone, al di là degli accostamenti logici e di linguaggio?
Insomma, l’ordine di problemi che si pongono all’etica della cura è estremamente vasto, ma nello stesso tempo affascinante perché affronta i problemi in una prospettiva nuova che può offrire nuove soluzioni, nuovi modi di vedere, intuizioni inedite.

Nascita e sviluppo dell’etica della cura
Si fa giustamente risalire la nascita dell’etica della cura a Carol Gilligan, psicologa allieva di Lawrence Kohlberg, e al suo libro “Con voce di donna”.
Criticando la concezione del proprio maestro che considerava i maschi più maturi sul piano della razionalità etica, perché più capaci di astrazione, Gilligan dimostrava che questo dipendeva dalla scala di valori usata: in realtà l’approccio degli uomini e delle donne era semplicemente diverso e dunque diversa era anche la loro valutazione morale, più relazionale per le donne, più astratta per gli uomini.
Ma mentre questa differenza veniva tradizionalmente usata per sostenere una condizione di inferiorità delle donne, Gilligan ne fa la base per sostenere un diverso approccio morale, basato sulla relazione più che su principi astratti.
Gilligan, almeno inizialmente, riferiva questo modo di vedere come proprio delle donne, ma il dibattito sviluppatosi sulla sua tesi e soprattutto il contributo di Joan Tronto, ha spostato decisamente il discorso su un piano generale.
Ogni persona è vulnerabile e ha bisogno di relazioni e di cura e dunque l’etica della cura ha un valore universale: se l’etica della giustizia, che rimane necessaria e ineludibile, si basa su principi astratti, l’etica della cura è altrettanto necessaria perché invece più aderente alla condizione in cui si trovano le persone.
Il dibattito che poi si è sviluppato nel mondo femminista ha riguardato in particolare il confronto con l’etica della giustizia, soprattutto quella di Rawls, criticando in particolare le sue carenze nell’affrontare le situazioni reali.
Le critiche che si rivolgono all’etica della cura manifestano la preoccupazione che serva a riproporre e quasi a confermare una diversità/inferiorità della donna e inoltre vi sono tesi delle femministe marxiste che tendono a contrapporre all’etica della cura il modello della “riproduzione”.
Che la riproduzione sia essenziale al capitalismo è un fatto indiscutibile (siamo in un sistema capitalistico e tutto è necessariamente integrato e funzionale al sistema), ma l’etica della cura è però, forse, più in grado di rispondere ai problemi sociali che ne derivano.
Dunque, l’etica della cura è cresciuta, ha chiarito i suoi fondamenti, le sue distanze ma anche la sua compatibilità con l’etica della giustizia; deve ora, anche se nata in ambiente femminista, andare oltre e dimostrare nella pratica di saper affrontare in modo convincente i molti problemi della società attuale.

La cura in campo sociale
Il campo più naturale in cui l’etica della cura può trovare applicazione è certamente quello sociale.
Consideriamo il lavoro domestico. Le battaglie storiche delle donne erano partite dal salario per il lavoro svolto a casa, sostenendo che il loro non era un’attività naturale morale dovuta al ruolo di madre e di moglie, ma che si trattava di un lavoro vero e proprio, secondo alcune “produttivo” a tutti gli effetti.
Questa via teorica è stata abbandonata perché infruttuosa e anche l’idea del salario è andata perdendosi a favore del più popolare Reddito di base.
Queste proposte sottintendono problemi teorici importanti.
Intanto se si sostiene il Reddito di base, il quale è indipendente da qualsiasi attività, si rinuncia in pratica alla tesi del lavoro domestico, che è un lavoro vero e proprio il quale va ricompensato: rinuncia negativa di un’acquisizione importante.
In secondo luogo, il lavoro domestico non è un lavoro “produttivo, né in senso marxiano né per l’economia capitalistica; è un lavoro a tutti gli effetti, ma è un lavoro sociale, un lavoro utile, un lavoro di utilità sociale che, in quanto tale, va retribuito dal pubblico o dalla società.
In questo senso è molto più propria la proposta del “care income”, sostenuta da femministe americane (un contributo elevato per ogni figlio sino alla maggiore età e per ogni anziano bisognoso di cura).
Per il lavoro sociale istituzionalizzato si possono prendere le RSA come l’esempio più chiaro su cui sviluppare la riflessione.
L’economia di queste strutture è povera: il settore pubblico riconosce un contributo che è inferiore al 50% e il resto è a carico della famiglia (per un costo che attualmente in Lombardia si aggira tra i 2.000 e i 3.000 euro mensili). L’inflazione recente ha ulteriormente aggravato l’onere familiare.
Così le direzioni aziendali cercano di far tornare i conti assumendo cooperative di immigrati al costo più basso possibile e sfruttando al massimo questi lavoratori, chiedendo tempi e carichi di lavoro a limite delle loro possibilità. Ma le RSA non sono fatte per prendersi cura degli anziani, coi tempi e i modi necessari?
Dunque, il problema delle RSA è trovare un equilibrio finanziario che non spinga a questa produttività esasperata che contraddice la finalità dell’ente e, inoltre, una sua “collocazione” nella città o paese come un luogo centrale della vita sociale comune.
Del resto, la “Ca’ Granda”, l’ospizio o albergo dei poveri di Milano, non era stata costruita al centro della città di Milano?
E poi la responsabilità pubblica/sociale non è solo quella dello Stato. Perché non pensare a una responsabilità sociale attraverso una proposta di finanziamento mutualistico regionale o provinciale? Basterebbe qualche centinaio di euro a testa per abitante per coprire l’attuale spesa di ricovero, insostenibile per la maggior parte delle famiglie.
Infine, la componente relazionale del lavoro attuale: qui i problemi di principio sono molti e trattandosi di problemi nuovi si presentano più complessi e variegati, perché molte e creative sono le ipotesi in circolazione. Vediamo quelli principali.
Il primo riguarda un classico problema teorico (“teoricissimo” per la quantità di dibattiti che ha sollevato nel tempo), quello del valore-lavoro.
Secondo un gruppo di economisti di sinistra la teoria del valore-lavoro di Marx non sarebbe più valida, perché non in grado di misurare l’attuale lavoro, intellettivo e affettivo.
In verità il limite del pensiero di Marx non è considerare il lavoro come generatore di valore, ma invece di pensare che questo potesse essere considerato come strumento di misura; non lo era neppure ieri, lo è tanto meno oggi.
Ma questi nuovi intellettuali di sinistra criticando il valore-lavoro, non criticano solo lo strumento di misura, ma rigettano il lavoro: il lavoro non è più un valore.
Invece il lavoro riveste un valore rilevante, ieri come oggi, tanto per Marx quanto per noi (lo dimostrano, se ce ne fosse bisogno, la presenza di 3,5 miliardi di lavoratori nel mondo).
E si può aggiungere rispetto a Marx, e soprattutto alla tradizione marxista, non solo e non tanto per lo sfruttamento (concetto “economico” che indica la differenza tra il lavoro dell’operaio e il suo prodotto complessivo), ma prima e ancor più per l’oppressione, cioè per la condizione di dipendenza in cui si trova il lavoratore, che limita la sua libertà e dignità.
L’altra tesi fondamentale, sempre collegata all’interpretazione del lavoro intellettivo e affettivo come carattere dominante dell’economia attuale, è che ormai sarebbe difficile distinguere tra lavoro e vita; praticamente l’intera vita costituirebbe un contributo/partecipazione all’economia capitalistica.
Si può riconoscere un minimo di plausibilità a questa tesi, ma indubbiamente entro limiti ben più ristretti da quelli invasivi sostenuti da questi pensatori.
Prendiamo, ad esempio, un tipico lavoro moderno, quello effettuato al computer: molti di questi lavori sono ripetitivi e non vanno al di là dell’inserimento di dati, registrazioni standard, controlli predefiniti, invii periodici, ecc… In pratica, per molti versi, si presenta come un lavoro tayloristico, col computer invece della catena di montaggio.
Se ci sono lavori dove il contributo intellettivo e affettivo è rilevante questo va adeguatamente retribuito: ma in realtà le imprese lo sanno bene e retribuiscono in modo congruo questi lavoratori, spesso essenziali per la produzione aziendale.
Se la motivazione a giustificazione del Reddito di base, individuata nel contributo generale all’economia e alla società, si presenta debole, non mancano altre motivazioni a sostegno: il paese è ricco e dunque una parte della ricchezza può essere distribuita a tutti, il sistema di redistribuzione della ricchezza attraverso la contrattazione non funziona più e quindi sono necessarie altre soluzioni, si favorirebbe l’eguaglianza, si consentirebbe maggiore libertà nella scelta del lavoro, ecc…
Non entriamo nel merito di tutte queste giustificazioni, che in genere tendono ad accumularsi tra loro, limitandoci a sostenere che per quanto la proposta possa presentarsi allettante, incontra una difficoltà impeditiva al momento insuperabile, che è rappresentata dall’onere finanziario della misura.
Pur calcolando un’ipotesi bassa di reddito garantito – quantificabile in 500 euro mensili – si avrebbe una spesa annua di 360 miliardi (500 euro x 60 milioni di persona x 12 mesi), che rappresenta più della metà delle entrate previste dallo Stato per il 2023 (672 miliardi); spesa chiaramente insostenibile.
Peraltro, il paese sarà ricco a livello dei privati, ma non certamente a livello pubblico, perché come è noto lo Stato italiano ha un debito molto elevato (in Europa siamo secondi, superati solo dalla Grecia).
Sono proposte che vanno tenute presenti anche se al momento impraticabili, magari utilizzabili per soluzioni parziali e comunque da discutere bene, soprattutto per non perdere il valore del lavoro, di cui si deve certamente avere cura.

La cura del pianeta
Il termine “cura del pianeta” propone immediatamente uno scenario vastissimo cui corrisponde un ipotetico programma altrettanto smisurato.
Se alla base si esprime un’istanza etica indubbia, prevale però lo spessore politico della proposta: si tratta, si può ben dire, di cambiare il mondo e ciò chiama in causa tutti, le organizzazioni internazionali, i governi, le imprese, le singole persone.
Ognuno ha la sua responsabilità e il suo compito in quest’opera, ognuno non solo è utile, ma necessario, se si intende salvare il pianeta.
Naturalmente diverso è il contributo che si chiede alle persone da quello che si chiede alle istituzioni: alle persone si chiede di estendere la loro “cura” dalle persone all’ambiente in cui vivono; verso le istituzioni si svolge un’opera di pressione con documenti, manifestazioni, sit-in, proteste perché accolgano le raccomandazioni di intervento a favore dell’ambiente.
L’esempio e la forza che viene dalle esperienze di base è una condizione essenziale per essere credibili e per poter contare nei confronti delle istituzioni.
Ma non è mai facile per il singolo cittadino comprendere i grandi problemi a livello mondiale, spesso complessi anche tecnicamente; e poi gli Stati hanno tante posizioni diverse in base al loro grado di sviluppo economico delle loro risorse, della loro collocazione geopolitica.
A livello delle persone l’etica della cura dovrebbe preoccuparsi di formare una cultura (una coscienza) sui problemi ambientali, sapendo che per curare il pianeta sarà necessario modificare il nostro modello di vita facendo anche delle rinunce (come sta già avvenendo per l’energia e come già si sta programmando per l’auto o per l’acqua).
E significa anche aver presente che nel mondo esistono tante culture diverse, che vanno comprese e con cui bisogna dialogare, se effettivamente si ha a cuore l’intero pianeta.
Sui problemi ambientali, e più in generale sui temi in cui sono coinvolte le istituzioni, è preminente senza dubbio l’etica della giustizia.
Ora il confronto tra l’etica dominante e quella della cura diventa più stringente e più determinante, perché la cura ha molto da dire sulle decisioni che si assumono e sul modo di vedere i problemi.
Giustamente alcune associazioni di provenienza femminista e ambientalista parlano di “società della cura”, come una finalità a cui tendere nel proprio impegno: una società fatta di persone che si curano degli altri e dell’ambiente e una società dove le decisioni sulla vita comune sono prese insieme con cura.
L’etica della cura non ha un modello di società da proporre, anche la “società della cura” non è una forma di società definita; se tutti ci preoccupiamo, ci prendiamo cura, allora la vita di tutti e la convivenza certamente migliora.
—————————–

“Tenore Murales” di Orgosolo

157a864d-3dfb-48c3-ad70-7d2c69e26af8Venerdì 31 marzo 2023
Lezione concerto del “Tenore Murales” di Orgosolo, che si esibirà con l’eccezionale presenza di due Tenores, che a volte cantano saparatamente e a volte insieme, in una modalità conosciuta ad Orgosolo con il nome Mibelli;

Venerdì 31 marzo 2023 Commenti Opinioni Riflessioni Eventi

Autonomia differenziata: bene continuare l’opposizione in Consiglio regionale. Occorre anche un movimento di massa
31 Marzo 2023
A.P. Su Democraziaoggi.
L’altro giorno l’opposizione in Consiglio regionale ha imposto la discussione di una mozione di sfiducia a Solinas e alla giunta per la conduzione veramente inaccettabile dell’adesione alla proposta Calderoli. Solinas lo ha fatto senza prima convocare il Consiglio. Quasi certamente il dibattito non avrebbe cambiato le cose, ma il coinvolgimento dell’assemblea era doveroso. Si tratta […]
————————————————–oggi———-
4c07ca7b-63c9-44ff-bbd1-f64435a24c50Un evento Aimos non solo per gli operatori della sanità.
—————————————
La locandina: http://www.aservicestudio.eu/wp-content/uploads/2023/03/23-03-31-locandina.pdf
————————————-

Politica. Commento per chi vuole capire

1b2f43c6-f9b9-4a4f-b83c-e1b68edf733a«I cattivi cittadini che arrivano alle cariche istituzionali, quanto più sono indegni di occuparle, tanto più si mostrano incuranti e pieni di stoltezza e di arroganza»
Democrito, filosofo greco.

Oggi giovedì 30 marzo 2023 Commenti Opinioni Riflessioni Eventi

Forza Francesco!2735ab03-36c0-4840-b0ff-718c8932cd1a
—————————————————————
Commenti Opinioni Riflessioni Eventi
I progressisti sul personale fanno propaganda elettorare?

30 Marzo 2023
Andrea Pubusa su Democraziaoggi
I progressisti in Consiglio regionale chiedono la discussione di una loro proposta di legge che equipara il trattamento dei dipendenti comunali a quello dei regionali, fra i quali esiste attuamente un divario di circa seimila euro, all’anno. Oltre che una misura perequativa, si tratterebbe, nelle intenzioni dei proponenti, di un provvedimento che contribuirebbe a […]
——————————
La Resistenza spiegata ai bambini
29 Marzo 2023
Gianna Lai su Democraziaoggi
Il libri vivono tra i lettori, i lettori poi interpretano, specie se si tratta di piccoli studenti, in un vero processo di identificazione che li porta direttamente dentro i personaggi. Ecco il successo de “La Resistenza spiegata ai bambini “ di Francesca Parmigiani, beccogiallo 2021, la validissima spinta della narrazione di luoghi e donne […]
——————————-

Omaggio a Van Gogh

15a7fb86-0fbc-47a5-b378-183ff74d1b13Anniversario: Il 30 marzo 1853 nasceva Vincent Van Gogh, pittore.

Portami il girasole ch’io lo trapianti
nel mio terreno bruciato dal salino,
e mostri tutto il giorno agli azzurri specchianti
del cielo l’ansietà del suo volto giallino.

Tendono alla chiarità le cose oscure,
si esauriscono i corpi in un fluire
di tinte: queste in musiche. Svanire
è dunque la ventura delle venture.

Portami tu la pianta che conduce
dove sorgono bionde trasparenze
e vapora la vita quale essenza;
portami il girasole impazzito di luce.

Eugenio Montale: Vincent van Gogh

Costituente Terra Chiesadituttichiesadeipoveri News

Ripudiare la guerra per la paceEROI DI UNO SCEMPIO MILLENARIO costituente-terra-logologo76
Newsletter n. 110 del 29 marzo 2023 Chiesadituttichiesadeipoveri Newsletter n. 291 del 29 marzo 2023.

Cari amici,

A Zelensky che chiede sempre nuove armi, l’Inghilterra ha risposto annunziando l’invio di un milione di proiettili all’uranio impoverito. Non risulta che Zelensky li abbia rifiutati, mentre al fronte ispeziona i carri armati tedeschi giunti in Ucraina a combattere la Russia come i panzer tedeschi che la attraversarono per la loro invasione nella seconda guerra mondiale. Intanto tornano al campo di battaglia i militari ucraini inviati in Germania, in Inghilterra e in Italia per imparare l’arte delle nuove tecnologie dell’industria di guerra.
I proiettili ad uranio impoverito sono armi anticarro a bassa potenzialità nucleare, come di ridotta radioattività sono le armi atomiche tattiche rispetto a quelle strategiche. Come ha spiegato il 23 marzo il Corriere della Sera, giornale che sostiene la fornitura di armi all’Ucraina, l’uranio impoverito, il “DU (depleted uranium)” causa “un aerosol micidiale che permane nell’ambiente migliaia di anni e intossica chi lo inala o lo ingerisce, e si sospetta che arrivi a modificare il DNA causando linfomi, leucemie e malformazioni dei feti”. Noi conosciamo questi effetti nei soldati italiani contaminati nelle missioni all’estero, come quella in Bosnia Erzegovina e Kosovo, e sono note le conseguenze a lungo termine delle atomiche sul Giappone; e fu per l’orrore di quelle armi che l’Imperatore del Giappone decise di porre termine alla guerra. Ma qui non c’è nessun imperatore che pensa alla sorte del popolo, e non sappiamo che cosa accadrà nella annunciata battaglia di primavera nel teatro di guerra del Donbass, che l’Ucraina vuole riconquistare come condizione per mettere fine alla guerra; ma se pure l’uranio impoverito non arriverà a contaminare il resto d’Europa, certamente produrrà lo scempio previsto e potrà permanere per migliaia di anni nella popolazione del Donbass. E allora perché preferire che muoia pur di non perderla, devastarla per farla stare da una parte o dall’altra del confine? Si vede qui tutta la nequizia, che noi già conosciamo, del nazionalismo irredentista: per far sventolare una bandiera si mandano al macero centinaia di migliaia (e in una guerra mondiale, milioni) di persone.
Tutto ciò mette a nudo la mistificazione di cui la povera Ucraina è vittima. Si esalta infatti il popolo ucraino che combatte fino alla morte (come viene celebrato in Televisione e nei collegamenti da remoto) per la sua indipendenza e libertà, ragione per cui si rifiutano i negoziati e il cessate il fuoco, perché, come dice Biden e sulla sua scia dicono gli ucraini, non servirebbero ad altro che a permettere alla Russia di riorganizzare le sue truppe per l’invasione del Paese e magari di altri pezzi d’Europa. Ma tutti sanno che la posta in gioco di un negoziato e della pace non è affatto l’indipendenza, la sovranità e la propensione europea dell’Ucraina, ma sono la sua neutralità tra la Russia e la NATO, lo statuto definitivo del Donbass, la fine del contenzioso sulla Crimea e la garanzia della inoffensività della Russia.
Non è dunque per l’esistenza stessa dell’Ucraina, per la libertà e la felicità del suo popolo che l’Ucraina è vittima di una guerra a cui non si vuole porre fine; altri sono i moventi di ciascuno dei protagonisti: si combatte per il dominio mondiale della coalizione atlantica, per la frustrazione dell’Europa interessata più ai motori a scoppio che alla pace, per l’intransigenza di chi ritiene così di difendere la Patria aggredita. Ma non si combatte per le persone gettate nella fornace, non per cittadini immolati a ideali artefatti e non veri, non per un mondo che guarda attonito alla strage ed è a rischio di una guerra planetaria.
Perciò è tempo della pace.
Pubblichiamo nel sito l’articolo del Corriere della Sera sull’uranio impoverito e un articolo di Raniero La Valle, “Ahi serva Europa”, uscito oggi su “Il Fatto quotidiano” [vedi di seguito]. Infine: la preghiera che il Papa pronunziò in piazza san Pietro durante la pandemia, che sarà ritrasmessa a partire dal 10 giugno 2023 da un’orbita spaziale.
Con i più cordiali saluti,

Costituente Terra – Chiesadituttichiesadeipoveri (Raniero La Valle)
————–——————-
bbc60fe4-f5bc-4551-9414-653459790fca
AHI SERVA EUROPA
29 MARZO 2023 / COSTITUENTE TERRA / LA CONVERSIONE DEL PENSIERO/
L’Unione Europea ha fallito sulle sue due massime responsabilità, la pace e l’immigrazione, in cui ne andava della sua identità

Raniero La Valle

“Ahi serva Italia, di dolore ostello…”. Quando Dante scriveva queste parole l’Italia era un faro di civiltà, un giardino di bellezza, la culla del pensiero. Però non sapeva leggere i segni dei tempi, era in balia dei potenti, tradiva le sue origini e non riusciva a stare senza guerra.

Questo si potrebbe dire oggi dell’Europa, serva delle armi e del denaro, chiusa nel suo egoismo, dimentica dei suoi ideali, sovversiva delle ragioni stesse per cui è nata. Era nata per chiudere con le guerre, per togliere le dogane al carbone e all’acciaio al fine di costruire, e non ai cannoni e ai carri armati al fine di distruggere, era nata per abbracciare i suoi popoli e farsi amica e accogliente a quelli di altre comunità e perfino era decisa a fare rinunzie alla sua sovranità non per farsi serva di nessuno bensì per contribuire alla pace e alla giustizia tra le nazioni. E prima ancora di Spinelli e di Spaak, di Schumann e di Monnet, di Ursula Hirschmann e Simone Weil, di Adenauer e di De Gasperi, l’”idea di Europa” era cresciuta lungo un millennio, come l’avevano illustrata Erich Przywara e Friedrich Heer, tanto cari a papa Francesco, e come aveva ispirato le lettere dei condannati antifascisti (l’identità cancellata da Giorgia Meloni) della Resistenza europea.

Ed ora che cosa è diventata? Sono i segni di questo suo tempo che ce lo hanno rivelato e l’ultimo Consiglio europeo ce l’ha mostrato con la massima evidenza. L’Unione Europea ha fallito sulle sue due massime responsabilità, la pace e l’immigrazione, le due massime cure in cui ne andava della sua “identità culturale”, secondo il “progetto di pace e amicizia che ne è il fondamento”, come aveva detto Francesco al Consiglio europeo del 25 novembre 2014. La pace l’hanno licenziata a tempo indeterminato non solo i suoi cattivi capi, i suoi membri più atlantici, a cominciare dal Regno Unito, che arriva a promettere armi a componenti nucleari, ma anche i due personaggi che ne dovrebbero rappresentare l’unità e lo sguardo sul mondo, Ursula Von der Leyne e Jens Stoltenberg, l’una pavesata con i colori di un Paese in guerra, l’altro, dimentico della storia, andato a chiedere di votare i “crediti di guerra” ai partiti socialisti a Bruxelles, come alla vigilia della prima guerra mondiale.

Ma non solo: l’Europa non capisce nemmeno quello che, se mossi da probità professionale, le stanno dicendo gli esperti di geopolitica: che il suo vero “competitore” sono gli Stati Uniti, che per averla vassalla sono interessati a tenerla in guerra senza fine, vogliono dominarla col loro gas e i loro prodotti più avanzati, che non per niente hanno fatto saltare l’oleodotto che univa la Russia al resto dell’Europa. E non c’è nemmeno bisogno di particolari doti interpretative: l’hanno scritto gli Stati Uniti nella loro “Strategia della sicurezza nazionale” che la loro sicurezza, la loro difesa e l’obiettivo della loro bulimia militare stanno nel fatto che non vi sia alcuna potenza al mondo che non solo non superi, ma “nemmeno eguagli” la potenza americana. E se c’è una potenza che potrebbe osare eguagliarla non è la Russia, data già per disfatta, né la Cina, designata come suprema sfida del futuro, ma è l’Europa che, se facesse una politica meno suicida, potrebbe già ora competere economicamente e grazie alla proiezione della sua cultura, con l’egemonia degli Stati Uniti; ciò che potrebbe e dovrebbe fare proprio restando loro amica ed alleata per costruire insieme “un mondo libero, aperto, prospero e sicuro”, come essi lo vogliono, aiutandoli a evitare gli errori, come quello che fanno, e che facevano ben prima dei crimini di Putin, col volere la fine della Russia.

Certo non è alzando l’età di pensione e gettando un Paese intero in una lotta sociale ad oltranza, non è stando appesi alle labbra e al “Crimea o morte” di Zelenski, non è dicendo “nazione” per non dire “fascismo”, né incentivando le fabbriche a stipulare contratti pluriennali per la costruzione di armi che avranno bisogno di altrettanti anni per essere consumate sui campi di battaglia, sulle città e sui famosi vecchi e bambini costretti a morire anche loro in guerra, non è con queste scelte che l’Europa potrà ritrovare la sua dignità, la nobiltà delle sue origini, gli ideali che l’hanno spinta ad unirsi. È per quegli ideali, non per essere “provincia” di un Impero che l’Europa è nata, con la vocazione ad attraversare il Mediterraneo e a guardare a Sud, a Israele alla Palestina e al mondo arabo, ad Est, alla Russia e alla Turchia, e ad Ovest, non solo a un’America sola, ma a tutte e due; e non è togliendo ai suoi popoli la loro tutela sociale che l’Europa unita sarà in grado di prevalere, politicamente e culturalmente, sui sovranismi. Ma allora quale politica dovremmo fare? E quanto dobbiamo aspettare per vedere arrivare qui una vera Schlein, non il dominio del passato ma il coraggio del cambiamento?

Raniero La Valle

Articolo pubblicato su Il fatto quotidiano del 29 marzo 2023

Mercoledì 29 marzo 2023 Commenti Opinioni Riflessioni Eventi

Commenti Opinioni Riflessioni Eventi
La sinistra e la critica necessaria del capitalismo
21/03/2023 – Fabrizio Venafro Su Volerelaluna
————————————————–
articolo21_orig2-1Sulcis: operai disperati, il governo pensa alle passerelle
ARTICOLI
Ottavio Olita
26 Marzo 2023 su Art.21 News.

Politica internazionale

bbc60fe4-f5bc-4551-9414-653459790fca

 

 

«La crisi in Israele è figlia di una società che ha dato il potere ai fascisti»
Di Chiara Cruciati.

il_Manifesto_quotidiano_comunista

Edizione del 28 marzo 2023

Martedì 28 marzo 2023 Commenti Opinioni Riflessioni Eventi

Commenti Opinioni Riflessioni Eventi.
bbc60fe4-f5bc-4551-9414-653459790fca
L’Iraq 20 anni dopo la seconda Guerra del Golfo
28 Marzo 2023
Parliamo della guerra quando è in corso. Ecco le riflessioni quando è finita.
Alfio Nicotra – Sbilanciamoci. Su Democraziaoggi.
A colloquio con Ismail Dawood, pacifista iracheno, a vent’anni dalla Seconda guerra del Golfo scatenata dagli Usa con il pretesto delle armi di distruzione di massa (mai trovate). Per parlare della Baghdad di allora e di adesso. Incontriamo […]
————————————————————-
cattoliciLa sconfitta dell’ecumenismo
La Repubblica – 27 Marzo 2023
di Enzo Bianchi su suo blog.

L’addio a Nino Nonnis, un grande sardo

luttoL’addio a Nino Nonnis nelle parole con cui Francesco Casula interpreta i sentimenti dei tanti che lo hanno apprezzato e ben voluto. Condoglianze e Vicinanza alla famiglia.
NINO NONNIS CI HA LASCIATO.
Nino Nonnis ci ha lasciato. Troppo presto. Lasciando un grande vuoto. Dolore e costernazione nei familiari, nei parenti ma anche negli amici e in chi lo conosceva.
Una perdita immane per l’intera cultura sarda.

27 marzo 2023 – Giornata Mondiale del Teatro

20230327-01

Il Parco di Molentargius e la riattivazione della salina

Il Parco di Molentargius e la riattivazione della salina: una straordinaria opportunità per accrescerne la valorizzazione ambientale Lunedì 27 marzo 2023 Edificio Sali scelti Viale La Palma Cagliari Sala Conferenze Helmar Schenk Parco Naturale Regionale di Molentargius-Saline

Lunedì 27 marzo 2023 Commenti Opinioni Riflessioni Eventi

Commenti Opinioni Riflessioni Eventi
PD. Volano parole grosse di Bonaccini. Risorgono le bande?
27 Marzo 2023
A.P. Su Democraziaoggi

Tutto succede così precipitosamente, che non fai in tempo a mettere ordine nel cervello, e non sai cosa pensare, non riesci a fare previsioni. Dunque, è bastato porre la questione dei presidenti dei gruppi parlamentari e i capibastone insorgono. Sono irremovibili, uno a Elly, uno a noi! Qui volano parole grosse. “Elly li vuole entrambi! […]
————————