L’addio a Nino Nonnis, un grande sardo

luttoL’addio a Nino Nonnis nelle parole con cui Francesco Casula interpreta i sentimenti dei tanti che lo hanno apprezzato e ben voluto. Condoglianze e Vicinanza alla famiglia.
NINO NONNIS CI HA LASCIATO.
Nino Nonnis ci ha lasciato. Troppo presto. Lasciando un grande vuoto. Dolore e costernazione nei familiari, nei parenti ma anche negli amici e in chi lo conosceva.
Una perdita immane per l’intera cultura sarda.

Sindiese e non solo di nascita. In una Intervista ha infatti detto:”Io mi sento sindiese, perché a Sindia ci sono nato e ho respirato storie e miti che cerco di trasmettere a mio figlio. Conosco bene i nomi e so chi era Ciolino e Potente. Anche se me lo chiedessero a New York direi che sono di Sindia”.
Quando capitava che mi presentasse ai suoi amici diceva:”Questo è Frantziscu, marito di mia cugina Flavia, anche lei di Sindia”. E bastava così!
Ma oltre che di Sindia era e si sentiva di Cagliari, dove ha vissuto quasi tutta la sua vita e conosceva, parole sue “un sacco di gente, balordi e plurilaureati” che lo chiamavano come esperto di cagliaritano! Io direi della cagliarianità. Soprattuttto di quella popolare e popolana.
Nino era un artista poliedrico: attore e autore teatrale e cinematografico, scrittore poeta e romanziere. Ed era, a mio parere, soprattutto grandissimo affabulatore: che creava, nell’ascoltatore uno stato d’incanto e di divertimento. Grazie soprattutto alla sua ironia, al gusto del motteggio e della battuta scherzosa, della canzonatura: che raramente sfociava però nello scherno. La sua era, per così dire una satira oraziana che denotava una grande umanità e mai cattiveria.
“Del sacco di gente, balordi e plurilaureati” specie cagliaritani, che ben conosceva, rappresentava icasticamente gli elementi paradossali e ridicoli, il potenziale umoristico, attraverso una forte e travolgente caratterizzazione: pungente ma sempre bonariamente.
Ma, ripeto è soprattutto l’ironia la caratteristica peculiare che alita in tutti i suoi scritti (persino nei suoi gustosissimi commenti calcistici!), nel suo conversare, nella sua stessa vita: ironia che preferisce anche all’indignazione e all’invettiva; allo sberleffo satirico e all’aggressione verbale.
Ironia che riusciva ad esprimere grazie a un doppio registro linguistico, ricco e colto: il sardo, nella doppia versione, logudorese e campidanese e l’italiano.
Devo dire che nel suo “Raccontare” era più efficace e caustico nella versione campidanese, che ben conosceva e padroneggiava egregiamente: una lingua carica di deflagrazioni umoristiche e dalle grandi capacità allusive, impregnata di immagini ardite, di metafore, di parabole, di simboli e di proverbi, di dicius e di battute, anche salaci, di frastimos e di irrocos.
Una lingua che divertiva ma nel contempo insegnava. E, se mi è concesso fare un riferimento classico, anche Nino, come Orazio: ridendo castigat mores. Ma sempre senza insistenze moralistiche.

Ciao Nino e chi sa terra ti siat lebia

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