Te la do io L’America

usa-sanita-marinoLa sanità pubblica in America: una chimera
marino-de-medici-fdi Marino de Medici*

Se la crisi covid-19 ha provato qualcosa aldilà di ogni dubbio è che gli Stati Uniti non hanno un reale sistema di sanità pubblica. Diversamente dai maggiori Paesi, gli Stati Uniti associano la copertura medica dei suoi cittadini ai loro impieghi di lavoro, facendo della stessa un “business” che non ha niente a che vedere con i bisogni dei comuni cittadini. Tutto questo purtroppo non cambierà nell’immediato futuro, per una semplice ragione, che l’industria della sanità non lo permetterà, decisa a proteggere i cento miliardi di dollari di profitto incamerati lo scorso anno, comprensivi di astronomici compensi per i suoi manager ed investitori. Il normale processo politico permette allo schieramento sanitario americano di spendere centinaia di milioni di dollari per reclutare legioni di lobbisti al Congresso con il risultato che la legge sanitaria approvata con grande fatica dall’amministrazione Obama è costantemente minacciata mentre le proposte di Medicare for All sospinte da Bernie Sanders ed altri esponenti democratici – appoggiate, stando agli ultimi rilevamenti, dal 67 per cento degli americani – languiscono ad opera dell’ostruzionismo finanziato dall’industria della sanità.
Altrettanto grave quanto l’incompetenza del presidente Trump, responsabile di un vergognoso ritardo della reazione al propagarsi della pandemia, la crisi ha evidenziato la mancanza di un apparato di sicurezza sanitaria nel Paese considerato il più ricco al mondo. [segue] Sin dagli inizi, l’America ha un sistema privato concepito per ritrarre profitti da un modello di assicurazione sociale per coloro che sono abbastanza fortunati da avere impieghi a tempo pieno. Come fa notare l’ex ministro di Obama, Robert Reich, negli Stati Uniti il termine “pubblico” – come nella sanità pubblica, educazione pubblica e benessere pubblico – rappresenta la somma totale dei bisogni individuali, non il bene pubblico. Per contro, osserva Reich, nel sistema finanziario americano la 
Federal Reserve si occupa della salute dei mercati finanziari nel loro insieme e quando distribuisce miliardi di dollari alle banche ai primi segni di debolezza, nessuno fiata.
Occorre ripeterlo: la sanità pubblica in America è amministrata da corporations private a scopo di lucro che non sono chiamate, come le banche, a mantenere una capacità di riserva.
Questo spiega perché nell’esplosione della pandemia si è scoperto che non c’erano abbastanza ventilatori ed abbastanza letti per i 2.000.900 ricoveri previsti. Ed ancora, 87 milioni di americani non dispongono di assicurazione medica o sono parzialmente assicurati. Ogni anno, mezzo milione di famiglie americane dichiara bancarotta per l’incapacità di far fronte alle spese mediche. Non solo, ma un americano su cinque è costretto a rinunciare alle medicine prescritte a motivo dei costi elevati. Di fatto, sono molte le classi di medicinali che negli Stati Uniti costano da cinque a dieci volte
in più rispetto ad un Paese europeo. La differenza tra l’assistenza disponibile in America e nell’Europa è particolarmente drammatica nel campo dell’occupazione: il 30 per cento dei lavoratori americani non riceve alcun compenso per malattia, una situazione che colpisce in modo speciale quei lavoratori che percepiscono meno di 10,49 dollari l’ora. Nuove regole proposte dall’amministrazione Trump esigono che per godere dei benefici del programma sanitario Medicaid per gli indigenti, dei “food stamps” (buoni per l’acquisto viveri) di altre forme di assistenza pubblica il beneficiario deve dimostrare di avere un lavoro o di cercarlo attivamente.
Una cosa è certa, che l’impreparazione ed insufficienza del sistema sanitario
dinanzi allo sconvolgente coronavirus non sono dovuti a mancanza di fondi e di risorse ma all’incompetenza e cattiva gestione del governo federale, ed in modo specifico al servilismo dei dirigenti scelti da Trump. Non altrimenti si spiega il tracollo di una istituzione che fino a tempi recenti era il modello al quale si rifacevano le autorità sanitarie di mezzo mondo, i Centers for Disease Control. Il CDC è oggi additato come uno dei responsabili del disastro epidemico negli Stati Uniti, stante la sua incapacità di valutare a tempo l’estrema virulenza della pandemia, di impartire indicazioni precise
al servizio sanitario del governo federale e degli stati e di fornire i test diagnostici urgentemente necessari. Un fallimento tanto più deplorevole, hanno notato gli esperti, in quanto i test kits del CDC non soddisfacevano i requisiti delle analisi e dovevano essere ritirati. Ancora più grave era la dichiarazione del direttore del CDC secondo cui “la capacità di testing è più che adeguata a far fronte alle presenti necessità”. I fatti purtroppo dimostravano il contrario. E dire che dal 2004 al 2018 il bilancio del CDC era aumentato del 30 per cento superando gli 11 miliardi di dollari. In aggiunta, i molti critici fanno notare che il CDC stanziava fondi per la lotta all’alcolismo ed al fumo in misura doppia rispetto alla prevenzione di malattie infettive.
In ultima analisi, la constatazione più eclatante della pandemia negli Stati Uniti è che la massiccia diseguaglianza dei redditi ha esasperato la diseguaglianza dell’assistenza sanitaria compromettendo le classi più indigenti e quindi più vulnerabili. Ma non basta: gli studi demoscopici rivelano che la minoranza afro-americana, pur rappresentando il 15 per cento della popolazione, ha sofferto più del 30 per cento dei decessi dovuti al COVID-19. Sul piano generale, è altrettanto manifesto il fenomeno di una percentuale sproporzionata di infezioni e decessi tra i poveri e nella classe lavoratrice oltre che tra malati ed anziani. La diseguaglianza è responsabile
dell’insufficiente apporto sanitario di ospedali rurali e di cliniche riservate alle comunità. Ciò avviene in presenza di un dato importante, che gli Stati Uniti spendono mediamente 11.000 dollari per l’assistenza medica ad ogni adulto o bambino, più del doppio rispetto ai Paesi più avanzati. Chiaramente, il sistema sanitario americano è paurosamente sbilanciato a favore di un insieme di aziende mediche ed ospedaliere che l’anno scorso hanno ricavato profitti per 100 miliardi di dollari, come il sen. Sanders
ha costantemente denunciato. E’ questa un’altra ragione per cui i poteri forti, padroni della grande stampa, non gli avrebbero mai permesso di prevalere nella corsa alla candidatura democratica.
Se c’è uno spiraglio di luce nell’orizzonte così oscuro della sanità americana è la speranza che il prossimo presidente, se sarà Biden, ed un Congresso controllato dai democratici possano rivedere il sistema sanitario nazionale e porre rimedio agli insufficienti investimenti nella salute pubblica. Il temuto permanere della pandemia dovuta al coronavirus ha dimostrato che i politici non hanno tempo da perdere ma devono assicurare il più vasto accesso individuale alla sanità pubblica.
In una recente intervista, Laurie Garrett – ormai conosciuta come la Cassandra che mise in guardia contro l’arrivo dell’epidemia – ha riferito questa impressione della scuola di medicina di Harvard, dove aveva studiato: “La scuola medica è tutta di marmo, con grandi colonne. La scuola della salute pubblica è in uno strano edificio, con la più brutta architettura possibile e con i soffitti che minacciano di crollare”. “Gli Stati Uniti – concludeva – hanno bisogno di un governo federale che promuova e coordini studi rigorosamente programmati, indirizzati a governatori e sindaci affinché attuino norme sensate, sostenibili e adattate alle situazioni in atto”. In sintesi, quel che serve oggi in America è una leadership che invece di invocare un vaccino come la panacea per la prossima epidemia risponda all’imperativo morale e politico di tutelare la salute di tutti ed in modo speciale di coloro che non hanno i mezzi per curarsi. I soldi ci sono (basti citare il CARES Act da 2,2 trilioni di dollari), quel che manca è la volontà politica di varare un nuovo sistema sanitario che non sia a fini di lucro. Un primo passo sarebbe quello di fornire l’assistenza di Medicare (attualmente prevista per gli americani di più di 65 anni) a tutti gli americani. Ma c’è ancora molta strada da fare per arrivarci.
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*MARINO DE MEDICI, GIORNALISTA ITALO AMERICANO CHE VIVE NEGLI USA DA PIÙ DI 5O ANNI. OTTANTACINQUENNE É IL DECANO DEI GIORNALISTI ITALIANI IN AMERICA. AMA DEFINIRSI UN ROMANO CHE HA SCELTO DI VIVERE IN AMERICA.
Marino de Medici è romano, giornalista professionista da una vita. E’ stato Corrispondente da Washington dell’Agenzia ANSA e Corrispondente dagli Stati Uniti per il quotidiano Il Tempo. Ha intervistato Presidenti, Segretari di Stato e della Difesa americani, Presidenti di vari Paesi in America Latina e Asia. La sua produzione giornalistica ha spaziato dalla guerra nel Vietnam, ai colpi di stato nel Cile e in Argentina, a quaranta anni di avvenimenti negli Stati Uniti e nel mondo. Ha anche insegnato giornalismo e comunicazioni in Italia e negli Stati Uniti. Non ha ancora finito di viaggiare e di scrivere dei luoghi che visita. Finora è stato in 121 Paesi e conta di visitarne altri.

One Response to Te la do io L’America

  1. […] * Già docente di Chirurgia generale nell’Università di Bologna e direttore della Chirurgia generale degli Ospedali Bellaria e Maggiore di Bologna. ———————————– pER CORRELAZIONE: https://www.aladinpensiero.it/?p=107916 […]

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