Giorgio Oppi

6eba8146-8c3c-4285-b364-15139442c4d8Elogio di un democristiano.
Il tempo è scaduto. Almeno per Giorgio. A noi rimane la scians dei tempi supplementari: potremo scegliere da che parte del campo incominciare l’ultimo scampolo della partita, senza però sapere quando l’arbitro deciderà di rimandarci, ad uno ad uno, negli spogliatoi. [segue]
Giorgio giocava nella Libertas. Da qualche tempo, per la verità, aveva cambiato casacca, ma lo stigma dello scudo crociato gli era rimasto impresso in maniera indelebile, eterno come Melchisedek.
È per questo che, quando è capitato, abbiamo giocato da avversari. Lui a difendere un’eredità, io coltivando il sogno di non morire democristiano. Avrei anche vinto, visto che quel simbolo, ormai, se lo contendono solo per la partecipazione a campionati di seconda divisione. Eppure – le vestigia della storia non possono essere cancellate – mi sovviene di averlo imboccato anch’io quel sentiero, che sembrava la strada maestra per chi, come me, proveniva da una formazione permeata di cattolicesimo. Solo che, poco più tardi – al primo bivio – ho abiurato per inseguire un sogno destinato a tramutarsi nella ricerca dell’Isola non trovata.
Prima ancora, Giorgio era lo studente che animava i capannelli delle periferie della Casa dello studente. Il giovane aitante, dotato di ironia, che non disdegnava la bisboccia, la cricca, la festa – in tempi di auge della goliardia – mentre si preparava alla politica. Era, all’epoca, un pezzo dei “fuori sede” che componevano la geografia della città ancor prima prima dello spartiacque del sessantotto.
Giorgio, per la verità, non l’ho mai frequentato con assiduità, neppure il tanto da poter dire che eravamo amici. Eppure, nelle rare volte che continuavo ad incontrarlo, avvertivo la stessa familiarità di un tempo, quella che facilmente si insinuava, prima ancora, tra quanti ci addestravamo insieme alla politica, indipendentemente dallo schieramento.
Sarà stato perché Giorgio era democristiano, o perché anch’io lo sono stato, certo è che con lui mi son sempre trovato a mio agio ed ho continuato ad avvertirlo come un amico; pur sapendo che era diventato un uomo di potere, che aveva sfruttato le proprie capacità in altra direzione.
Ma tutto questo ha contato poco. Mi turba, invece, il mistero della morte. L’idea che, un giorno, una persona con la quale ho avuto e mantengo una relazione si allontani per non far mai più ritorno.
Come se la politica non esistesse. Così, ora che hanno calato il sipario, dopo che sono stati cantati i peana, dopo che sincerità e ipocrisia si sono confusi nel coro finale, mi rimane solo un po’ di tristezza.
Piango l’amico o – chissà – forse anche il democristiano.
Gianni Loy

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