Quei terribili giorni dei bombardamenti su Cagliari

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Festa Patronale Sant’Eulalia
Commemorazione a 80 anni dai bombardamenti su Cagliari.

di Giancarlo Morgante
L’incontro, voluto da Don Marco Lai, ha visto una significativa partecipazione di pubblico coinvolto emotivamente. Moderatore degli interventi il giornalista Paolo Matta con la partecipazione di Pasquale Mistretta, Gianfranco Leccis, Anna Palmieri Lallai, I filmati forniti da Sergio Orani sono stati accompagnati dalle letture di Emanuele Pisano.
Toccante l’intervento di una Mamma Ucraina, in compagnia della sua bambina, che ha parlato delle inenarrabili sofferenze che sta subendo la sua gente in Ucraina a seguito dei bombardamenti da parte della Russia.
Purtroppo, visto l’interesse per gli argomenti e il succedersi degli interventi in scaletta, non c’è stato tempo per altri interventi.
Avrei voluto riportare alcune pagine di un libro “C’era una volta…Castello” di Gino Ivaldi, dove lo scrittore è stato, da adolescente, testimone dei bombardamenti subiti dalle città di Cagliari nel 1943.
Tra i ragazzi, narrati dall’autore (nello scritto sotto riportato) , che giocavano nella terrazza del Bastione di San Remy poco prima dei bombardamenti c’era anche mio padre, per gli amici Cucuccio. Mio padre più volte raccontò di quelle terribili giornate e di come la gente dopo il primo comprensibile sbandamento si sia prodigata per soccorrere i feriti trasportandoli negli ospedali da campo allestiti nei rifuggi ricavati in parte nelle grotte naturali di Cagliari (viale Merello e la fossa di San Guglielmo). [segue]
Arrivarono di venerdì
Il giorno in cui sulla città venne rovesciato il diluvio , la banda dei ragazzi si trovava sulla terrazza Umberto I nel Bastione di S.Remy. Depositati a scuola i più piccoli, per ingannare l?attesa della fine lezione onde riportarli a casa, si decise per la consueta partita di pallone. Il pomeriggio, primaverile e con temperatura mite, aveva incoraggiato la passeggiata di molte mamme con piccini in carrozzella e tentato un gruppo di vecchietti a scaldarsi al sole, seduti sulle panchine ad assistere alla chiassosa disputa.
Le sirene non avevano ultimato i tre regolamentari ululati che la terrazza fu deserta, eccezione fatta per i giocatori di pallone i quali, nell’incoscienza propria dell’età, sin dall’inizio erano soliti salire durante gli allarmi, sulla torretta che sovrasta la gradinata del Bastione, per assistere ai duelli tra caccia italiani e inglesi.
Si accedeva passando da una porticina metallica nascosta in una delle quattro colonne dell’arco, all’interno della quale era uno stretto passaggio con pioli di ferro infissi nella parete che portavano nella sommità della torretta.
Erano spettacolo impagabile le traccianti delle mitragliere e le acrobazie dei velivoli viste in diretta. Quel giorno, invece, la sceneggiata deluse l’attese. Trascorsi pochi pochi istanti dall’allarme apparve all’orizzonte, in alto nel cielo, oltre il capo Sant’Elia, uno sfolgorio di indefinibili puntini tremolanti ad intermittenza, un rimbombo di tuono che di solito s’accompagna al temporale. Sensibilizzati dai tre anni di guerra già trascorsi a riconoscere, dal rombo dei motori, tipo e nazionalità degli aerei, fu chiaro, trattarsi quel giorno, dei temuti quadrimotori statunitensi “Liberator”, preannunciati con volantini lanciati sulla città da ricognitori in precedenti incursioni. “Torneremo, portavano scritto, con i Liberatos. Italiani, chiedete la pace a chi ha voluto la guerra”.
Più per istinto che per raziocinio, si avvertì che quel giorno la città sarebbe stata investita dalla furia della guerra, al di la degli obiettivi militari. Per di più resi timorosi anche dagli effetti di uno spezzonamento che il venerdì precedente aveva causato vittime tra la folla che accorreva verso un rifugio nella via Santa Restituta, per quella volta si rinunciò a salire sulla torretta. Questa determinazione, e al solo ricordarlo assalgono i brividi, a molti salvò la vita. Le fortezze volanti arrivarono davvero. Fuggi fuggi generale, dimentichi anche dei piccoli a scuola, e chi abitava in Castello corse verso il portico sotto il palazzo Boyl e coloro che per loro disgrazia avevano dimora nella marina o in Villanova scapparono verso la piazza Costituzione, a precipizio per la scalinata del Bastione.
Un istante dopo, mentre si correva a perdifiato, una rovente tromba d’aria preceduta da un insopportabile sibilo, paragonabile a migliaia di rottami metallici strofinati su una ruvida superficie, sollevò i fuggitivi da terra scaraventandoli dentro lo scardinato negozio del cappellaio Portigliotti, a fianco del portico che non si ebbe la possibilità di raggiungere. Per fortuna!
Scrollati di dosso scaffali e attrezzi, gli impauriti si rialzarono chiamandosi l’un l’altro, bianchi di polvere e calcinacci, con orecchie e naso sanguinanti per la pressione d’aria provocata dalle esplosioni. Diradatasi in parte la densa nube di polvere e fumo che copriva l’intera città in un tragico, irreale silenzio succeduto al fracasso, lo sbigottimento ed il terrore aumentarono nel constatare la distruzione del Teatro Civico a pochi metri di distanza, e la voragine sulla terrazza del Bastione, esattamente sul punto dove sino a pochi istanti prima si giocava a pallone. La torretta, abituale osservatorio dei ragazzi, s’era sbriciolata sulla scalinata, seppellendo il comando dei vigili urbani e gli amici che il destino, e la circostanza di avere casa in Villanova o nella Marina, aveva da quella parte indirizzato. Non sono mai stati rinvenuti i loro corpi.
La via Lamarmora era uno spesso tappetto di vetro frammisto a rottami di tegole e calcinacci, la cui scivolosità rendeva difficoltosa la corsa verso casa, tra la gente terrorizzata che si riversava nella ricerca di propri familiari, imprecando, pregando, e qualcuno bestemmiando. Nelle case, anche in quelle non direttamente colpite, tutto sottosopra, con porte e finestre scardinate, con mobili rovesciati dagli spostamenti d’aria.
Crollata la Questura nella via Fossario, colpita la chiesa di San Giuseppe, squarciati numerosi palazzi della via Lamarmora e montagne di macerie al posto delle case di fronte alla Prefettura nel quartierino chiamato “is domus de carilloni ”(cardilloni x asfodelo?).
Era di venerdì. Tornarono a mezzogiorno della domenica successiva, senza preavviso d’allarme perché mancava la corrente elettrica che azionava le sirene, ed il bombardamento fu ancora più pesante. Non ebbero scampo i molti sorpresi mentre si recavano a messa nelle chiese di San Salvatore o, ancora peggio, di San Francesco, in via Roma. Predestinati anche i tanti colti nel giardinetto di fronte alla stazione, intenzionati a salire sul primo treno in partenza, che non partì. Buona parte della popolazione aveva lasciato la città dopo la prima incursione e chi non poté andò a bivaccare nelle grotte in pestilenziale promiscuità.
Chi è venuto dopo avrà difficoltà a comprendere in tutta la sua interezza l’allucinante visione degli incendi che illuminavano la città, le grida disperate dei sepolti vivi sotto le macerie e la disperazione di chi li sentiva ma era impossibilitato ad aiutarli per mancanza di mezzi; e l’affannosa ricerca di parenti e amici da un pronto soccorso all’altro, frugando tra cumuli o resti di corpi straziati, accatastati in attesa di essere sepolti nelle fosse comuni.
Come, e con quali parole, si può descrivere la lunga, ininterrotta colonna di gente di ogni età e condizione, in interminabile marcia verso il primo villaggio disposto ad accogliere questa folla disperata?
A chi c’era, oltre al tormento dei ricordi, resta il desiderio e la speranza che quanto narrato rimanga davvero incomprensibile ai giovani e alle generazioni che verranno e non debbano, mai e poi mai, capirlo per diretta esperienza.
Anche se i nuvoli di guerra che di tanto in tanto si addensano su molte contrade, vicine e lontane, deludono troppo spesso questa aspettativa.

2 Responses to Quei terribili giorni dei bombardamenti su Cagliari

  1. […] Manno; dalla messa in suffragio delle quasi 2000 vittime; dall’interessante convegno serale (di cui ha parlato l’amico Giancarlo Morgante*). ——————————- Molto interessante anche il Convegno tenutosi la mattina […]

  2. […] Soffermiamoci un momento nella Giornata del 10 febbraio, dedicata alla ricorrenza degli 80 anni dei bombardamenti anglo-americani, che distrussero quasi completamente la nostra città. Il ricordo doloroso di quei tempi, è stato richiamato in diverse circostanze: da una bella mostra fotografica sulle distruzioni provocate dalle bombe, allestita in due cappelle della stessa chiesa dagli alunni della Scuola Manno; dalla messa in suffragio delle quasi 2000 vittime; dall’interessante convegno serale (di cui ha parlato l’amico Giancarlo Morgante*). […]

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