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Editoriali
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La guerra infinita su: Chiesadituttichiesadeipoveri News
Cari Amici,
riprendiamo il nostro dialogo, che ha avuto una lunga pausa per varie ragioni. Ma in questo tempo non hanno conosciuto pausa né il genocidio a Gaza, né la guerra in Ucraina, e ciò che è ancora più grave è che non se ne vede la fine, perché sia nell’uno che nell’altro conflitto una delle parti esclude di porvi termine fino a quando non abbia raggiunto il suo obiettivo o, come dice uno di loro, “finché non abbia finito il lavoro”. E l’obiettivo, o il lavoro da finire, è irraggiungibile sia per l’uno che per l’altro: per lo Stato di Israele si tratterebbe di chiudere definitivamente la questione palestinese, estirpando il popolo palestinese da tutta la terra – dal mare al Giordano – che esso considera sua, e lo sta facendo con la devastazione di Gaza programmata con gli algoritmi e guidata dall’Intelligenza Artificiale; l’Ucraina, a sua volta, insieme all’Europa e agli Stati Uniti che ne sono i mandanti, persegue l’obiettivo della sconfitta o in ogni caso dell’annichilimento della Russia. Dunque dalla crisi innescata da queste due guerre, che danzano sul ciglio di una possibile guerra nucleare e mondiale, non sembra possibile un’uscita attraverso le vie della politica e della razionalità umana. E il discorso di Netanyahu all’ONU del 27 settembre scorso ha dato il colpo di grazia non solo all’idea che possa aver termine la spietata mattanza di Gaza, ma anche che possa esserci un mondo decente nel nostro prossimo futuro. Attribuendone il movente direttamente a Mosè, e quindi a un comando divino, il primo ministro israeliano ha infatti difeso i crimini del suo governo come protesi alla “vittoria totale”. Questa consisterebbe nel dar luogo a un mondo raffigurato in due mappe che egli ha esibito all’attonita assemblea dell’ONU (dimezzata per l’assenza polemica di un gran numero di Stati non gravanti nell’orbita occidentale). Nella sua descrizione queste due mappe sono l’una di benedizione e l’altra di maledizione, la prima è quella di una metà del mondo sotto lo scettro di Israele, dall’Arabia Saudita all’Oceano Indiano, e l’altra siamo noi. Israele ha peraltro cominciato ad attuare questo disegno con l’invasione del Libano, l’assalto alle forze di interposizione dell’ONU, tra cui gli Italiani, e perciò la rottura anche militare con la comunità delle Nazioni, l’attacco all’Iran.
Netanyahu non è il primo a fare il mondo a pezzi. L’altro è il Corriere della Sera che ama celebrare le glorie dell’Occidente come quelle che lo dividono dal “resto del mondo”, “democrazie” contro “autocrazie”. Ma c’è anche il mondo teatro della “competizione strategica” indetta dagli Stati Uniti, dove la sfida sta nel mettere al tappeto la Russia e la Cina, c’è l’Europa che manda l’Ucraina a morire e ghettizza i mondi che una volta andava a scoprire, e c’è il vecchio fantasma della cortina di ferro che torna a dividere l’Est e l’Ovest.
In un mondo così frantumato sarebbe molto strano che non ci fossero guerre su guerre, infinite, pervasive e non convenzionali. Siamo ancora in grado di uscirne? Se “la casa brucia”, come ha gridato un convegno fiorentino a ciò dedicato, e la politica non è in grado di dare risposte, non se ne deve chiedere conto non solo a questo o a quel governo, a questa o a quella cultura, ma alla stessa modernità fondata sul vecchio presupposto, ben noto a Mosè, di mettere un idolo manufatto al posto di Dio? L’idolo è oggi la tecnologia grazie alla quale, come denunciò papa Giovanni nella “Pacem in terris”, siamo entrati nell’età che si gloria della potenza atomica, e che ora, con l’Intelligenza Artificiale, dà ragione a Heidegger per il quale la tecnica non ha più nulla a che fare con gli strumenti, ma “nella sua essenza è qualcosa che l’uomo di per sè non è in grado di dominare”. Messo di fronte a questo abisso, lo stesso Heidegger in una estrema riflessione consegnata alla rivista tedesca “Der Spiegel”, apriva un vertiginoso spazio alla domanda se “solo un Dio ci può salvare”. Era un’ipotesi temeraria, non “politicamente corretta”, in quanto proferita nel cuore di una modernità fondata sull’ipotesi opposta, che “Dio non ci sia e non si occupi dell’umanità”, che provocatoriamente era stata avanzata dal cristiano Ugo Grozio nell’Olanda riformata del XVII secolo per aprire la stagione dell’età adulta dell’uomo. Senonché di questa ipotesi la modernità ha fatto un assoluto e su questo presupposto ha fondato tutta la sua identità, la sua feconda laicità e il dogma del secolarismo, escludendo come dismessa e infantile l’ipotesi opposta. Ma oggi, di fronte alla guerra perpetua e alla minaccia della fine non è forse venuto il momento di rimettere in questione questo assunto, e chiederci se l’ipotesi esclusa della presenza amorevole di Dio nella storia non debba avere la stessa legittimità di quella assunta per vera?
Ciò non vuol dire invocare un miracolo, un intervento straordinario da parte di Dio, abbandonarsi a una trascendenza che non possiamo controllare, ma vuol dire sapere come in rapporto con questo Dio gli uomini possano cambiare, possano convertirsi, possano abbandonare i loro propositi di guerra di sterminio e di odio; e questo è possibile perfino se non credono in Dio e se non sanno nulla della grazia, perché come dice papa Francesco con un neologismo spagnolo, Dio “primerea”, cioè arriva col suo amore prima ancora dell’invocazione o del peccato dell’uomo.
È questo il messianismo cristiano, fondato sull’incarnazione, sullo “scambiarsi” degli uomini con Dio, sulla vocazione a farsi come lui, di cui parla san Paolo nella seconda lettera ai Corinzi. Se rimettiamo in gioco l’ipotesi esclusa, forse possiamo chiedere a noi stessi e agli altri che sono con noi in questa vita, di rimettere in discussione le loro scelte, di rimettere in discussione le loro guerre, di rimettere in discussione la loro idea del Nemico, e dar mano a costruire una società diversa, un mondo diverso, un mondo che non finisca.
Nel sito pubblichiamo l’intervento di Raniero La Valle al citato convegno di Firenze [vedasi più sotto], e un articolo dell’americano Alon Ben-Meir sugli errori compiuti da tutti gli attori della tragedia israelo-palestinese.
Con i più cordiali saluti,Chiesa di Tutti Chiesa dei Poveri
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https://www.aladinpensiero.it/?p=157726
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La sfida di Israele
CAMBIARE LA MODERNITÀ?
11 OTTOBRE 2024 / EDITORE / DICONO LA LORO /
Netanyahu rompe con la comunità internazionale e apre una voragine all’antisemitismo. Dopo 3000 anni di guerra non è forse il caso di riprendere l’ipotesi di una presenza dell’amore di Dio nella storia? La lezione di Claudio NapoleoniRaniero La Valle
Pubblichiamo l’intervento fatto da Raniero La Valle il 5 ottobre 2024 a Firenze al convegno promosso dall’associazione “Il coraggio della pace”, sul tema: “La casa brucia, La guerra dell’Occidente”
Cari Amici,
Il tema di questo Convegno è che l’Occidente sta distruggendo se stesso. Ma ancora di più, il fatto è che l’Occidente ha perduto se stesso. Non perché compie dei crimini, perché questo lo ha sempre fatto dalla Pace di Augusto e dalla “donazione di Costantino” in poi, ma perché non riconosce questi crimini come tali; l’Occidente ha abbandonato il diritto, che era il suo valore più prezioso, la sua vera gloria, l’anima del suo ethos, contraddice i valori di cui si vanta, esalta l’individuo e fa a pezzi i popoli, persegue lo sviluppo e produce sfruttamento, incrementa il turismo e dà la caccia ai migranti, promette sicurezza e dà le armi a un suicidio, assiste a un genocidio e lo chiama difesa.
Dunque è venuto il momento di prendere una decisione impossibile e necessaria, oggi, non domani, prima dell’ultimo ucciso, prima dell’ultimo bambino dilaniato, prima dell’ultima donna stuprata, prima dell’ultima speranza perduta. Fermiamo la guerra. È vero che la guerra ci ha accompagnato per tutta la storia, e la modernità l’ha messa come arbitra tra Stati sovrani, ma proprio per questo va strappata fin dalla radice, non basta fermarla a Gaza o in Ucraina o nel Libano, bisogna farlo in ogni luogo della terra.
Ma come? Quello che mi ripromettevo venendo qui oggi era un’analisi del punto cui la guerra è arrivata, e fare delle proposte per dare un contributo ad uscirne. Poi mi sono reso conto che questo non basta più, bisogna dire qualche altra cosa e forse qualche cosa che precede la proposta politica.
Ma, prima di tutto che cosa possiamo dire della guerra, anzi delle guerre in atto?
Io penso che dobbiamo guardare al cambiamento che nella guerra è intervenuto, dobbiamo guardare a come sta cambiando questa istituzione che è la guerra. E dunque possiamo dire forse che dopo 3000 anni la guerra ha cambiato natura. Sono 3000 anni che c’è la guerra, la guerra ha accompagnato sempre il corso della storia. Da quando è stata teorizzata dalla filosofia greca, da Eraclito, che l’ha definita come “il padre e il re di tutte le cose”, questa guerra ci ha accompagnato sempre, è stata il re che ha dominato, è stata la sovrana delle nostre relazioni pubbliche. Però da quando questa guerra è cominciata (ed è durata finora), ha avuto dei cambiamenti. E il più importante che vorrei ricordare è quella svolta che c’è stata nel 1945, quando con l’avvento dell’età atomica – di “questa età che si gloria della potenza atomica”, come aveva detto Giovanni XXIII nella Pacem in Terris – essa era uscita dalla ragione; la diagnosi di papa Giovanni era che ormai la guerra, dal momento che c’era il nucleare, che era cominciata l’età atomica, non aveva più alcuna possibilità di entrare dentro una logica, dentro una dimensione razioneale, e quindi non era più una cosa umana, perché una cosa che sta fuori della ragione, di questa ragione che abbiamo messo – anch’essa – sul trono, non è umana; però la guerra non era uscita solo dalla ragione, era uscita anche dal diritto, perché lo Statuto dell’ONU l’aveva messa fuori legge considerandola un crimine; e in Italia era uscita anche da quel suo legame indissolubile con le glorie della Patria, perché con la Costituzione le avevamo dato il libello del ripudio, non possiamo più celebrarla come il segnale delle glorie patriottiche.
Ma ora siamo nella situazione in cui la guerra ha cambiato di nuovo natura, e l’ha cambiata sotto almeno tre profili.
1) La prima novità è che la guerra oggi ti può raggiungere ovunque, anche dove non è stata dichiarata nessuna guerra, come in Iran, come in Libano; la guerra può arrivare “da remoto”, cordless, col cercapersone, col telefonino, con il messaggio improvviso che sopraggiunge come un bagliore, come un fulmine domesticato, come la pubblicità sgradita, che ti arriva in casa; la morte arriva per grandi numeri, ma individualizzata, ti viene addosso, uno per uno, non 180.000 in un colpo solo, come a Hiroshima, ma disseminata per regioni intere, provocando lo scempio dei corpi a volontà, quanti se ne possono volere, quanto più si vuole spaventare, distruggere, punire. Il genocidio per corrispondenza. Questo è Netanyahu! Ma operazioni immaginate e programmate in questo modo, con tecnologie sofisticate e complesse, sono una perversione del pensiero, anche se vengono ammirate dai giornali in Occidente. Le persone, gli uomini, le donne, non sono persone ma “obiettivi” e basta dar loro un nome infamante, chiamare Hezbollah i libanesi o gli iraniani, chiamare Hamas i palestinesi, chiamare terroristi i talebani, ed ecco l’indiscriminata licenza ad uccidere, ma non solo i cosiddetti “obiettivi”, a morire possono essere anche i bambini nelle culle che vengono localizzati a distanza dal pianto (sapete che ci sono quei piccoli trasmettitori che fanno sentire il bambino che piange, anche quelli possono diventare strumenti di morte), e i clienti del supermercato alla lettura del codice a barre dei prodotti che passano alle casse, e magari gli arrestati a domicilio col braccialetto elettronico L’informatica va alla guerra, l’Intelligenza Artificiale prende il comando, ogni prodotto della tecnologia può diventare un’arma; per salvarcene dovremmo tornare all’età della pietra: nella pietra, infatti, non si possono inserire circuiti elettrici, con la fionda eravamo più sicuri. Finirà che non sarà più permesso di salire su un aereo coi cellulari, con i computer, con gli smartphone, e negli aeroporti si creeranno montagne di telefonini, che poi la gente dovrà ricomprare, e saranno fonte di enormi ricchezze.
2) L’altra novità, oltre l’elettronica ubiquitaria, è la guerra infinita. Essa non ha più fine, è come l’ergastolo: fine pena, mai. Non deve finire in Ucraina, non deve finire a Gaza, nel Libano. L’atto di nascita di questa guerra infinita si può far risalire alla famosa frase del maresciallo Badoglio quando alla caduta del fascismo, annunziando di aver avuto dal re l’ordine di formare un governo militare al posto di Mussolini, dichiarò, contro ogni speranza: “la guerra continua”. Da allora non è mai finita, dalla guerra fredda alla prima guerra del Golfo è continuata fino ad ora: di guerra in guerra e si potrebbe dire di abisso in abisso.
Perché la guerra non finisce?
Non finisce anzitutto perché l’America mette la sua sicurezza nel dominio del mondo, dice di non volere nessuna potenza eguale a sé e concepisce la sua politica estera come una “competizione strategica” fino alla sfida finale con la Cina. Perciò non ha un termine che possa essere previsto. La competizione strategica non è la pace, è la guerra potenziale o reale, che dura sempre.
In secondo luogo non finisce perché è stata presa la decisione di non farla finire, la decisione di adottare la guerra come permanente anche mentre si finge di perseguire negoziati, tregue e soluzioni di cui si sa che non potranno essere realizzate (come i due Stati in Palestina, come la “sconfitta” della Russia, come le immigrazioni controllate).
La guerra non finisce perché con la guerra si possono instaurare i fascismi: con la guerra è più facile fare uno Stato di polizia, passare il potere alla Polizia sul piano interno, agli Eserciti sul piano esterno – lo vediamo con la NATO – e al potere economico e bancario sul piano mondiale.
In Israele con la guerra perpetua finisce la cosiddetta democrazia del Medio Oriente, e Netanyahu porta a compimento il passaggio da quello che doveva essere uno Stato democratico (addirittura socialista, si pensava all’inizio), allo Stato ebraico, monoetnico, dove per legge costituzionale i diritti di natura politica sono riservati in esclusiva al solo popolo ebreo; e dice Netanyahu che non smetterà la guerra finché il lavoro non sarà finito, e il lavoro è l’estirpazione dei palestinesi da Israele.
In Ucraina la guerra (che deve durare per legge) è finalizzata alla transizione a un regime dispotico (capo carismatico, abolizione dei partiti, divieto di espatrio, bulimia di armamenti per fare dell’Ucraina lantemurale dell’Occidente).
In Italia c’è la consegna del potere alla Polizia mediante la legge per la sicurezza in corso di approvazione, che giunge fino al punto di vietare la vendita delle SIM card – le schede telefoniche – agli immigrati che non hanno il permesso di soggiorno, cioè vieta le comunicazioni individuali, tra le persone. Si conferma così che si va verso uno Stato di polizia, ciò che si sta facendo con la consegna della giurisdizione ai P.M., con il premierato, con l’indottrinamento scolastico, che è in corso, con la chiusura (o difesa, come si dice) dei confini e con la sostituzione della cultura che si sostiene sia stata finora egemone, cioè la cultura democratica e di sinistra, con quella prefascista e sovranista: non sarà fascista ma certamente è prefascista.
In Europa grazie alla guerra permanente la Von der Lein è acclamata come Capo del costituendo esercito europeo, il Parlamento europeo vota per la sconfitta della Russia, rinunziando così a fare politica: ma che l’Ucraina sia pure con le nostre armi sconfigga la Russia è fuori del principio di realtà, a meno che non si voglia passare attraverso la guerra atomica mondiale.
In sintesi viene prescelta la guerra perpetua come uscita dalla democrazia e come ritorno dello Stato al modello hobbesiano teorizzato da Carl Schmitt come ”Stato della moderna polizia” fondato sul criterio del Nemico e la guerra come possibilità reale. E questa è una lezione per noi: vuol dire che la lotta per la pace è ormai indissolubile da quella per la democrazia.
3) Il terzo cambiamento nella natura della guerra sta nel suo contenuto stesso. Lo scopo della guerra non era quello di uccidere i nemici, essa aveva i fini più svariati, conquistare un territorio, costruirsi un impero, impadronirsi di ricchezze, risarcire diritti violati, risolvere le controversie internazionali, come dice il nostro articolo 11; ma l’uccisione dei nemici, tanto più se civili, era il costo della guerra, non era il suo scopo, tanto è vero che c’erano le Convenzioni sul diritto di guerra, che legittimavano le carneficine, ma con moderazione, ammettevano che ci andassero di mezzo i civili, i non combattenti, gli obiettivi non militari, ma li chiamava danni collaterali, sarebbe stato meglio che non ci fossero, erano supposti come involontari; tanto meno si potevano bombardare gli ospedali, le autoambulanze, i bambini nelle sale parto, o tagliare alle popolazioni l’acqua e il cibo. Oggi invece la guerra ha per obiettivo di uccidere i nemici, perché sono loro che non devono esistere, che devono essere annientati, allora se ne uccidono 42.000 a Gaza, non importa se ci sono donne e 14.000 bambini, tanto più che i bambini diverranno adulti, saranno un pericolo, l’aveva già capito Erode con la strage degli innocenti; e per ammazzare un nemico, dovunque si trovi, specie se è un capo, se ne ammazzano cento; come racconta il Corriere della sera – questo giornale di salotto e di guerra – per ammazzare Nasrallah a Beirut “sono stati livellati alcuni palazzi, impiegate decine di bombe, alcune da una tonnellata, che hanno scavato crateri giganteschi e provocato forse centinaia di vittime, Concepite per distruggere protezioni, anche in cemento, penetrano nei target ed esplodono dall’interno”. Il giornale aggiunge che quelle bombe gliele hanno mandate gli Stati Uniti. Questi non sono danni collaterali, si uccidono uno per uno e tutti insieme gli appartenenti al popolo palestinese, ai termini della Convenzione dell’ONU questo è un genocidio; e ormai ogni guerra è un genocidio.
Ecco, questo è ciò che volevo dirvi fino a ieri, prima di procedere con delle proposte concrete: Comitati territoriali, ricorso a forme di democrazia diretta, petizioni alle Camere, ecc.
Ma poi ho sentito e visto integralmente il discorso di Netanyahu all’ONU e questo discorso mi ha spaventato, perché mi ha fatto capire che siamo a un punto limite, siamo per così dire a una soglia terminale, dopo la quale non sappiamo che cosa può accadere, qualcosa che non riguarda più solo la guerra ma investe il nostro destino, l’epoca nostra. Questo discorso di Netanyahu è un discorso feroce, annuncia la decisione di combattere fino alla “vittoria totale”, dice che non c’è nessun posto in Iran, ma nemmeno in Medio Oriente che non possa essere raggiunto dalla violenza vendicativa dell’esercito di Israele; e poi presenta due mappe, una di benedizione e una di maledizione, due mappe di un mondo diviso in due, e da una parte c’è la mappa con Israele, e l’Arabia Saudita che Israele vorrebbe recuperare dopo gli accordi di Abramo, e il Medio Oriente fino all’Oceano Indiano, e questo sarebbe il mondo sognato, il mondo fatato, il mondo bello che Israele vorrebbe costruire insieme ai suoi partner, quelli che non sono i suoi nemici; e poi c’è l’altra mappa, che egli insieme alla prima ha mostrato, così, davanti all’assemblea dell’ONU, la mappa del male, la mappa della maledizione, di quelli che sono contro Israele, che è l’Occidente questo Occidente di cui stiamo parlando qui oggi. E ciò nel contesto di una rottura irriducibile con l’ONU, definita come una “palude di antisemitismo”, e quindi con la comunità delle Nazioni. Ma c’è ancora qualcosa di più importante, cioè viene esibito il fondamento indiscutibile di questa pretesa di predominio; e questo fondamento indiscutibile risale a migliaia di anni fa, e deriva da una lettura fondamentalista, una lettura integralista, letterale, della Bibbia, una lettura che rappresenta un vilipendio della Sacra Scrittura; e di fronte a questo l’Occidente, che ormai ignora queste categorie e non sa leggere la Bibbia, e forse non sa nemmeno cos’è, è disarmato, non può entrare in dialogo, non può nemmeno veramente capire gli appelli drammatici di papa Francesco, mentre, sul versante dei credenti, entra in una crisi grave quello che era il promettente e benedetto dialogo ebraico-cristiano, che risale alla profezia di Gesù al pozzo di Giacobbe, quando disse: “la salvezza viene dai Giudei”.
[segue]
Che cosa dice Netanyahu? Rivolgendosi agli iraniani li chiama popolo persiano, quello di Ciro, accomunandolo al popolo ebreo, come due popoli che hanno millenni di storia alle spalle; invoca il precedente biblico, che è Mosè, e dice, come già aveva detto l’anno precedente nella stessa sede delle Nazioni Unite, “che ci troviamo di fronte alla stessa scelta senza tempo che Mosè pose di fronte al popolo di Israele migliaia di anni fa, quando stavamo per entrare nella Terra Promessa. Mosè ci disse che le nostre azioni avrebbero determinato se avremmo lasciato in eredità alle generazioni future una benedizione o una maledizione”. E cita re Salomone, e cita Samuele, che aveva proclamato: “l’eternità di Israele non vacillerà”, e dice che Israele ha sempre eseguito il comando di Mosè, che l’antica promessa è stata sempre mantenuta. È questa l’interpretazione mondana e politica del messianismo ebraico, contestata dai più avvertiti intellettuali e rabbini ebrei, che però non è rimasta circoscritta all’ebraismo ma, come dice lo storico austriaco Friedrich Heer, nel suo importante studio sull’ “Idea Europa”, attraverso la Ginevra di Calvino è passata nel mondo anglosassone, ed è quella che ispira il messianismo americano, che presenta gli Stati Uniti come salvezza del mondo, spiegazione non ultima dell’asse che unisce oggi Israele agli Stati Uniti.Ebbene, di fronte a questa rivendicazione di diritti indiscutibili, di fronte all’interdizione di ogni giudizio politico, che poi porta al ricatto di definire antisemiti tutti quelli che osano criticare le politiche concrete dello Stato di Israele, di fronte a questa promessa di un conflitto permanente, di un conflitto che può diventare mondiale, in una situazione già così drammatica come quella in cui ci troviamo, che cosa dobbiamo dire? Dobbiamo dire che siamo a un punto di non ritorno, forse a un punto in cui non riusciamo con i nostri occhi, con le nostre capacità, con le nostre inventive, a vedere quali possano essere le risposte, quali possano essere gli antidoti, quale possa essere il modo di fermare la caduta su questa china.
E allora a me viene in mente una conversazione che ho avuto con Claudio Napoleoni, due mesi prima della sua morte. Non so se voi ricordate chi era Claudio Napoleoni, un grande economista, un grande filosofo, un grande politico, un grande intellettuale formato alla scuola della cultura marxista, ma molto critico, molto capace di guardare al futuro. In questo dialogo che ho avuto con lui poco prima della sua morte, Napoleoni ha detto che il suo problema – un problema, non una risposta, una questione che stava aperta nella sua testa – era che la storia del mondo fosse arrivata a un punto in cui “l’uscita dalla chiusura che si è verificata, e quindi la rivoluzione in questo senso molto alto, che diventa allora la rivoluzione non contro la società feudale o contro la società borghese, ma diventa il rovesciamento del segno della storia, è tale che la regola di contare solo sulle risorse della ragione umana senza alcun riferimento al divino, non basta, non basta più”, e il problema della pace non lo risolviamo. Il punto di partenza era la coscienza della crisi: già allora si poteva parlare di una crisi grave dell’Occidente, di una crisi grave nella storia del mondo (noi avevamo scritto una lettera al partito comunista chiedendo che assumesse come obiettivo della sua azione politica l’uscita dal sistema di dominio e di guerra, che già allora, in piena guerra fredda, ci sembrava tale da poter portare alla fine del mondo). Di fronte a tale crisi, il suo rovello era di capire se aveva ragione Franco Rodano – uno dei suoi interlocutori più importanti, l’ispiratore del “compromesso storico” – nel dire che dalla chiusura cui era arrivato il corso storico, dalla sua crisi , si potesse uscire per mezzo della politica; e Napoleoni disse che era arrivato alla conclusione che la tesi di Franco Rodano, secondo cui ci fosse un’uscita laica, un’uscita politica dalla crisi, non poteva essere dimostrata, e allora o si cambiava questa tesi, oppure si doveva dare un’altra dimostrazione, molto diversa dalla sua, a questa tesi.
Però, diceva, cambiare la tesi, cioè cambiare la tesi che la laicità è sufficiente, che l’operazione puramente umana è capace di dare una soluzione alla crisi storica, che la politica ce la può fare a risolvere le contraddizioni, cambiare questa tesi è un’operazione di fronte alla quale tutta la nostra cultura tende a ribellarsi, perché cambiare la tesi, cioè cambiare la tesi dell’autosufficienza dell’umano, vuol dire: no, o la dimensione religiosa è chiamata in causa direttamente, o non ce la facciamo: e questa è un po’ la tesi di Heidegger, il grande filosofo del Novecento, è la tesi di Augusto Del Noce (che era un filosofo della destra cattolica). Ed è la tesi che dice: “A questo punto solo un Dio ci può salvare”; una tesi che è anche una domanda. (Heidegger in una intervista allo Spiegel aveva detto che di fronte alla tecnica moderna, che non è più solo uno “strumento” e non “ha più a che fare con strumenti”. ma “nella sua essenza è qualcosa che l’uomo di per sè non è in grado di dominare”, solo un Dio ci può salvare)
È stato questo il caso serio lasciato aperto nell’eredità di Claudio Napoleoni, a cui però nel ricordo che di lui è stato fatto in un importante convegno accademico e politico tenutosi recentemente al Senato e alla Camera dei Deputati, non è stato fatto, se non da me, alcun cenno.
Ma questo interrogativo apre un abisso di riflessione, apre uno spazio enorme di interrogativi, perché effettivamente noi siamo in una società, siamo in una cultura in cui l’ipotesi di lavoro “Dio”, è stata esclusa in via di principio: c’è la fondazione della modernità, nel XVII secolo, quando Ugo Grozio, questo giusnaturalista della Chiesa riformata olandese, dice: “facciamo la blasfema ipotesi che Dio non ci sia e non si occupi dell’umanità”, e facciamo funzionare il mondo anche secondo questa ipotesi. Però questa ipotesi è diventata poi un comando assoluto, e l’altra ipotesi, cioè che Dio ci possa essere e possa occuparsi dell’umanità, e quindi che gli uomini possano cambiare in ragione e per effetto di questa relazione è stata esclusa; ed esclusa questa ipotesi siamo arrivati al punto a cui siamo arrivati.
E allora la questione è: di fronte a una impossibilità della politica, a venire a capo di questa situazione di guerra, di questa minaccia della fine, non dobbiamo forse prendere in considerazione di rimettere in questione questo presupposto, questo assoluto della modernità? Non dobbiamo forse non solo prendercela con i poteri malvagi, non dobbiamo forse non solo cercare di cambiare le politiche, ma non dobbiamo forse anche interrogare la modernità, questa età che noi chiamiamo moderna e chiederle se l’ipotesi che ha escluso, l’ipotesi che ha scartato, non debba avere la stessa legittimità dell’ipotesi su cui invece ha fondato tutta la politica, tutta la cultura, tutta l’economia? Non è possibile pensare che ci possa essere un’ipotesi di questo Altro, di questo valore che sta fuori dell’umano, che questo riferimento possa avere ancora un valore per noi?
E questo, badate, non vuol dire invocare un miracolo, un intervento straordinario da parte di un Dio che non conosciamo, una “seconda venuta”, come a un certo punto disse Napoleoni, non vuol dire aprirsi a una trascendenza che non possiamo controllare, perché aprirsi all’ipotesi che Dio ci sia e si occupi dell’umanità, vuol dire aprirsi all’ipotesi che gli uomini e le donne che sono in rapporto con questo Dio possano cambiare, possano convertirsi, possano abbandonare i loro propositi di guerra di sterminio e di odio, possano invece andare a una conversione, a un’accettazione dell’altro, ad un atteggiamento di cura, di amore per gli altri, di sacrificio, di dedizione; e questo è possibile perfino se non credono in Dio, se sono atei o “post-teisti”, è possibile anche se non sanno nulla della grazia, perché come dice papa Francesco con un neologismo spagnolo, Dio “primerea”, cioè arriva col suo amore prima ancora dell’invocazione o del peccato dell’uomo; e lo stesso Napoleoni diceva che di questo aveva un esempio in casa, e faceva riferimento a sua moglie Annalisa.
È questo il messianismo cristiano, fondato sull’incarnazione, questo “scambiarsi” degli uomini (e donne) con Dio, questa vocazione a farsi come lui, di cui parla san Paolo; se rimettiamo in gioco l’ipotesi scartata, l’ipotesi esclusa, forse possiamo chiedere a noi stessi e chiedere agli uomini e alle donne che sono con noi in questa vita, possiamo chiedere di cambiare, di rimettere in discussione i loro presupposti, di rimettere in discussione le loro scelte, di rimettere in discussione le loro guerre, di rimettere in discussione la loro idea del nemico, e dar mano a costruire una società diversa, un mondo diverso, un mondo che non finisca. Riprendendo una frase di Aldo Moro che in una delle sue ultime lettere dal carcere delle Brigate Rosse scrisse alla moglie Noretta: “se al di là ci fosse la luce sarebbe bellissimo”, vorrei dire: “se la storia continua, sarebbe bellissimo”.
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