Sa Die de sa Sardigna. Le 5 domande dei Sardi

img_3062Queste righe accompagnano ‘le cinque domande del 2025′ che il Comitato di sa Die de sa Sardigna hanno posto come esemplificative di problemi antichi e nuovi della nostra terra e del nostro Popolo. Ce ne possono essere altre e sicuramente ce ne sono: è bene che emergano all’attenzione di tutti, perché insieme vengano valutati, affrontati, risolti.
Da quarantacinque anni molti di noi si occupano di proporre la festa nazionale dei sardi – di cui due anni orsono abbiamo celebrato il trentennio della sua solennizzazione legislativa – come occasione di riflessione, di presa di coscienza e responsabilità, di festa. Tutto questo ci appare sempre più una necessità. L’ultima delle nostre proposte (la prima era stata dopo quella dell’istituzione annuale de ‘s’omine’ de Sardigna, nel 1995), è stata quella de ‘sa torrada’: il ritorno annuale dei ‘Sardi di fuori’ che, con i ‘Sardi di dentro’ individuano questo periodo di festività primaverili per incontrarsi e riflettere, come noi andiamo a fare, e per assumere decisioni sul presente e sul futuro del Popolo sardo. Anche quest’anno abbiamo pronte le disponibilità di decine di intellettuali sardi pronti ad andare nelle scuole per offrire ai giovani occasioni di conoscenza e di riflessione sui problemi e sulle risorse della propria terra.
Con questo spirito proponiamo – per la domenica 27 aprile 2025, vigilia di SA DIE DE SA SARDIGNA 2025, a partire dalle ore 10,00 – un’assemblea aperta presso il SALONE DI PALAZZO REGIO, in CAGLIARI, alla quale invitiamo ad intervenire esponenti della politica, dell’economia e della cultura e prendervi la parola.
I lavori inizieranno con la lettura del documento del Comitato, al quale seguiranno gli interventi di una ventina di testimoni della realtà sociale sarda, con la lettura del loro intervento, sulle nostre domande e/ o su altre da loro ritenute di comune interesse. Evidentemente saranno gradite nuove proposte. Tutto ciò che verrà detto, verrà raccolto, pubblicato e messo a disposizione delle istituzioni sarde: Giunta; Consiglio Regionale, Istituzioni locali, organizzazioni della cultura e dell’economia.
A CHI RIVOLGIAMO le DOMANDE? Agli uomini delle istituzioni, dello Stato, della Regione e dei Comuni. Ma anche a noi stessi. A tutta la comunità dei Sardi. Custa, populos, est s’ora …
Cagliari, 21 aprile 2025
La Presidenza del Comitato per Sa Die de sa Sardigna
Salvatore Cubeddu – Luciano Carta – Antonello Angioni
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LE CINQUE DOMANDE
Cinque domande in attesa di risposte


Quando, nell’aprile del 1794, a Cagliari scoppiò l’insurrezione contro il malgoverno dei Savoia, il popolo e gli Stamenti, gli antichi parlamenti sardi, si schierarono uniti a difesa delle famose “Cinque domande”: una piattaforma rivendicativa presentata al sovrano per avere risposte alle gravi emergenze che condizionavano in negativo la vita dei Sardi. Quelle domande, tese a creare varchi di libertà in una società d’ancien régime, oggi non sarebbero più attuali essendo cambiato il quadro politico e istituzionale.
Potrebbe però essere utile elaborare, nel contesto attuale, le nuove “Cinque domande”, nella consapevolezza che, nel presente, certe risposte le può dare solo la Regione nell’esercizio della sua autonomia speciale. Quindi la stessa dovrà farsi carico di un’azione forte e decisa per arginare la politica neocoloniale dello Stato che concorre alla distruzione dei segni dell’identità e delle risorse, materiali e culturali, del popolo sardo.
E veniamo ora alle “Cinque domande”, edizione 2025.
1.​Innanzitutto, per i Sardi è fondamentale la salvaguardia e la promozione delle risorse identitarie (lingua, cultura, istituzioni, ambiente). Nei nostri territori è possibile leggere i segni di un paesaggio naturale e antropico forgiato attraverso una storia plurimillenaria di grande valenza identitaria: i dolmen, i menhir, le domus de janas, i pozzi sacri, i nuraghi, le chiese romaniche…beni culturali di rara bellezza, non riproducibili, in pericolo. Chiediamo in che modo la Regione intenda valorizzare le tematiche identitarie e affrontare efficacemente la materia urbanistica e paesaggistica.
2.​La seconda domanda riguarda il lavoro. Senza lavoro non solo non può esserci sviluppo ma si mette in pericolo la dignità della persona umana. I Sardi chiedono che la Regione promuova la valorizzazione delle risorse locali: istituzioni, lingua, storia, arte, ambiente, tradizioni e cultura in genere. Pertanto è centrale sapere se le istituzioni che rappresentano i Sardi stiano elaborando una politica di sviluppo produttivo in grado di difendere il territorio da logiche di accaparramento e di favorire lo sviluppo di un’agricoltura moderna, rispettosa dei territori, che preveda processi di verticalizzazione delle filiere di produzione, trasformazione e conservazione. In mancanza di tali misure, accompagnate da una seria politica dei trasporti che agevoli anche il turismo, in Sardegna si accentueranno l’inverno demografico, la desertificazione delle zone interne, la mancanza di lavoro e il ridimensionamento scolastico: i nostri giovani continueranno a essere costretti a emigrare in cerca di lavoro e ad arricchire altri territori.
3.​Il tema della salute è uno dei più sentiti dai cittadini, in un contesto in cui la struttura sanitaria è in continua fase di riorganizzazione: a ogni cambio di Giunta si assiste all’avvio di nuovi modelli operativi con scontri politici continui che non portano al miglioramento del sistema sanitario regionale. Auspichiamo che le istituzioni regionali acquisiscano piena consapevolezza della necessità di un progetto di tutela della salute condiviso e fondato sulle competenze che eviti ai Sardi di doversi curare fuori.
4.​La Sardegna, dopo l’avvio della decarbonizzazione non ha una politica energetica e c’è il rischio concreto che il ricorso massiccio alle energie rinnovabili (eolico e fotovoltaico) si risolva in una gigantesca speculazione a vantaggio di pochi che compromette in modo irreversibile il paesaggio. Attendiamo quindi una forte azione delle istituzioni regionali tesa a rivendicare la competenza sulle scelte strategiche a tutela del territorio. Nel contempo, lo sviluppo delle comunità energetiche potrebbe costituire, almeno in parte, una valida alternativa.
5.​Non vi è dubbio che la competenza sarà l’energia del futuro. Occorre dotarsi di una classe dirigente (sia a livello politico che burocratico) autonoma, responsabile e capace. Competenza, sensibilità ai valori della sardità e apertura alla partecipazione democratica rappresentano i pilastri di una classe dirigente davvero autonomista, consapevole di agire per il bene comune, il lavoro, la salute, l’ambiente, la cultura di un’isola che si ritrova veramente unita per Sa Die de sa Sardigna.
Il Comitato per “Sa Die de sa Sardigna”

One Response to Sa Die de sa Sardigna. Le 5 domande dei Sardi

  1. Aladin scrive:

    Agli uomini e alle donne delle istituzioni, dello Stato, della Regione e dei Comuni. Ma anche a noi stessi. A tutta la comunità dei Sardi. Custa, populos, est s’ora ….
    di Franco Meloni

    Innanzitutto mi rammarico che quest’anno non sia stato possibile celebrare la Santa Messa nella ricorrenza de Sa Die. Per me è molto importante che la coesione del popolo sardo abbia una componente spirituale, che la Messa rappresenta e consente, a maggior ragione se la celebrazione viene fatta in lingua sarda, per tutte le parti liturgiche. Ma, come sempre, con la benedetta eccezione dell’anno 2022, ci saremo accontentati del mix tra italiano e sardo, con i meravigliosi cori di accompagnamento in sardo. In attesa di tempi migliori, che pur stiamo preparando. La celebrazione della Messa, così come le manifestazioni della religiosità popolare, ha sempre coinvolto anche i non credenti, stante il fatto che sempre si creano momenti di condivisione spirituale, che fanno bene a tutti, contribuendo all’amalgama del popolo sardo. Proprio di autentico spirito di unità ha bisogno innanzitutto il popolo sardo. E, allora, per tale finalità, partiamo dalla “fiducia”. La Sardegna ne ha bisogno prima ancora di risorse materiali: creare un clima di fiducia che consenta di affrontare i problemi e di risolverli mettendo a frutto le capacità personali e delle comunità di appartenenza. Tutto ciò non è banale. Sicuramente è difficile. Pensiamo cosa significa creare fiducia nel mondo della politica: praticare rapporti di scambio intellettuale e collaborazione fattuale tra persone che nella ricerca del bene comune, nel confronto e nello scontro dialettico, arrivino a soluzioni ottimali. La condizione è che si pratichi l’ascolto reciproco e che si persegua l’obbiettivo della massima partecipazione. Cosa abbastanza diversa da quanto accade oggi, laddove la politica tende a selezionare le idee e le scelte sulla base degli interessi dei gruppi prevalenti e la partecipazione popolare alla gestione della cosa pubblica è sempre più ristretta. Allora occorre allargare gli spazi di partecipazione democratica sia per quanto riguarda l’accesso alle rappresentanze istituzionali (riforma delle leggi elettorali), sia per la promozione della cittadinanza attiva, sia per la valorizzazione delle competenze che devono prevalere sulle appartenenze. E’ la “partecipazione” la chiave giusta per ridare speranze di rinascita al popolo sardo, avendo come chiaro e virtuoso riferimento la nostra Costituzione, lo Statuto e i principi che informano l’Unione Europea. Risulta chiaro come lo strumento istituzionale principe per dare concreta attuazione alla volontà popolare siano le istituzioni, a partire da quelle più vicine ai cittadini, in un percorso di sussidiarietà: quindi i Comuni, fino alla Regione Autonoma, allo Stato, all’Unione Europea. Ci sarebbe molto da dire. Ma soffermiamoci sulla Regione Autonoma, che oggi in queste giornate e oltre costituisce il principale interlocutore. Diciamolo sinceramente: a fronte di un generalizzato sentimento di orgoglio di appartenenza da parte dei sardi non corrisponde una reputazione adeguata dell’Istituto Autonomistico. Ci sono diverse ragioni, ma questa situazione va ricuperata. La Regione Autonoma non è un regalo, una concessione da parte dello Stato e delle forze politiche dominanti. No. E’ frutto di grandi lotte dei sardi: dalla lotta ai dominatori di turno, dai Romani, agli Spagnoli, ai Pisani, fino ai Piemontesi, nella costante resistenziale di cui parlava Giovanni Lilliu. E’costata il sangue dei caduti sardi nei due conflitti mondiali. Non possiamo sprecare tutto questo con gestioni mediocri dell’Istituzione che abbiamo conquistato con lo Statuto, di rilievo costituzionale, del 1948. Certo questo Statuto l’avremo voluto più potente, avvicinandosi a un assetto federalistico, così come sostenevano Emilio Lussu e altri patrioti sardi. Nei nostri tempi c’è spazio e tempo per una riforma in meglio dello Statuto, ma oggi non sprechiamo nessuna delle opportunità che l’attuale assetto consente; agiamo per una sua piena attuazione e perché lo Stato non si sottragga agli impegni assunti, che sinteticamente riferiamo agli interventi previsti dall’art.13 dello stesso Statuto. Per tutto quanto auspichiamo e caparbiamente rivendichiamo, abbiamo bisogno di una classe dirigente all’altezza dei compiti difficili ma non impossibili che la situazione richiede. Ci sono tutte le condizioni perché questa classe dirigente si appalesi, basandoci sulle tante persone già operative e soprattutto sul potenziale da attivare, costituito dai tanti nostri giovani. Avanti, Fortza paris, nel duplice significato di insieme ed uguali!

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