lettere dall’Australia
LETTERE DALL’AUSTRALIA – N. 16
TRE COSE VOGLIO DIRE.
1. LE SLOT MACHINES. E’ ormai un problema di tutto il mondo (civile?) la ludomania. L’attrazione compulsiva per il gioco, vera e propria malattia che può portare alla rovina non solo economica ma anche mentale.
In Australia è quasi impossibile che anche nel più piccolo paese non ci sia una sala dotata di queste machines, ma devo dire di qualche differenza tra l’Italia e qui. Per quanto riguarda l’Italia, sappiamo tutti, o dovremmo saperlo, dei tanti imbrogli perpetrati dai gestori a danno dei giocatori, certamente fino al 2008 (chissà ora come stanno le cose…). - segue -
Non parliamo dell’evasione fiscale, accertata e non sanzionata, storie che lasciano immaginare strani intrecci tra gioco d’azzardo, mafia e politica.
Poi lo squallore del contesto in cui si gioca in certi posti. Fatta eccezione per i grandi casinò, trovi spesso queste macchine negli angoli, dietro la porta d’ingresso dei bar, più o meno dove stavano i flipper (ricordate?), o attaccati ad una parete dove si gioca al lotto e al superenalotto: chi gioca sta in piedi, davanti a una parete, pesta i tasti sempre più istericamente finchè finisce i soldi e va via esasperato, mai mi è capitato veder uscire da posti del genere qualcuno raggiante del piacere di aver vinto.
Nei casinò non che cambi molto, ma il contesto è meno squallido: a Venezia l’ambiente è elegante e glaciale; a Campione d’Italia (enclave italiana in Svizzera) ho visto anni fa un ambiente già manicomiale, una pensionata (look da ex-maestrina) già in crisi compulsiva buttavia via la pensione picchiando un unico tasto che le costava due franchi svizzeri ad ogni pressione, senza mai sentire una volta la gaia pioggia di monete vinte.
In Australia situazioni del genere non mancano, ma sono quelle estreme.
Si gioca in salette, seduti comodamente, la machine indica che ore sono, spesso un cartello ti ammonisce a non cadere dal gioco alla patologia, circola nella sala il personale addetto, non solo per riordinare o per ovviare a eventuali guasti della macchina, ma anche ti offrono gratis una bibita o un cappuccino. Se notano qualcuno che cade nella disperazione delle tasche vuote dopo la mancata vincita intervengono a dire: ‘tu non vieni per giocare, tu sei malato e devi curarti”, e gli danno un biglietto da visita di un psicologo. In casi estremi rimborsano una piccola somma.
L’ambiente varia a seconda dell’ora, nel pomeriggio dopo il lunch e nel primo dopocena l’ambiente è familiare, pacifico, bonario; comincia a scaldarsi dopo le 21, solo verso la mezzanotte arrivano i duri giocatori, quelli del “o tutto o niente”, che vincono o perdono mille o piu’ dollari su una scelta di rosso o nero che ti propone la machine.
Si racconta di pensionati che a metà mese vanno ai pasti della parrocchia,
“i lost my pension”…; di qualche madre snaturata denunciata per aver malnutrito i figli, riservandosi i soldi per il gioco. Casi estremi.
Il giocatore che vuol solo giocare, passare un’ora o due a divertirsi, sa che non si può vincere, che non ci devi pensare, se non perdi è bene, se vinci è meglio, se perdi il tanto che avresti speso per il cinema è normale.
(continua)
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