Una foto, una pagina di vita. Raccontiamo… (4)

cagliari skyline 14 9 15ape-innovativaSu proposta del nostro amico Peppino Ledda pubblichiamo una serie di raccontini sulla Cagliari del passato: vita vissuta di protagonisti – ultrasessantenni al momento della scrittura (2010) e oggi ancor più avanti negli anni o non più tra noi – sul filo della memoria. Lo facciamo per la gradevolezza delle narrazioni nella convinzione che, come diceva uno splendido adagio “Il futuro ha un cuore antico”. Ecco mentre siamo impegnati a dare prospettive alla nostra città per il presente e per il futuro, crediamo utile oltre che bello, ricordarne il passato, fatto di luoghi ma soprattutto di persone che lo hanno vissuto. I racconti sono contenuti in una pubblicazione . Oggi il quarto raccontino, dopo l’esordio del 17 settembre, il secondo del 18, il terzo di ieri 19.
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Livio Sorresu
Port’e Biddanoa

Mio padre, Vincenzo Sorresu, giovane di “Castedd ‘e susu” era uno dei migliori fotografi di Cagliari, allora erano molti, allievo del grande Alfredo Nissim, aveva lo studio in piazza Martiri, “sa bucch’e sa nassa” come dicevano i vecchi cagliaritani, perché lì era il centro di Cagliari. Lo studio era al primo piano di Casa Ballero, alla fine della piazza, esattamente al numero 12/bis, perché il 13 portava sfortuna.
- segue Quel “bis” non impedì la tragedia: il 26 Febbraio del 1943 i bombardamenti americani colpirono violentemente la città, il bastione S. Rémy fu distrutto, la parte sinistra della piazza martiri violentemente colpita. La casa Ballero crollata, uccidendo quanti si trovavano all interno dello studio fotografico. Mio padre aveva 40 anni, lo trovarono 16 giorni dopo abbracciato a due bambine delle quali stava immortalando l’ultimo sorriso. Erano le sorelle del noti coltellai di Cagliari Sini, con negozi in via Gio Maria Angioy e via Baylle. Con loro la sorella di mio padre, Santina, poi la madre delle bambine, una commessa dello studio e altri.
La foto di mio padre è del 1924, aveva ventuno anni ed un ricco avvenire davanti.
Port ‘e Biddanoa finì con lui e con i vecchi “casteddaius” che da sempre arricchivano la piazzetta che da allora fu solo Piazza Martiri, un luogo di passaggio. Per questo mi piace ricordarla come era una volta.
Per i nostri vecchi era “Port ‘e Biddanoa”, inevitabile tregua dopo la ripida erta de “sa Costa”, via Manno, ed invitante sosta per chi scendeva dal Castello.
Prezioso scrigno di nostalgiche memorie per chi, come me, giovinetto in quegli interminabili anni 40, la elesse a luogo di riferimento, di incontro, di attesa del calar di giovani fanciulle delle Scuole Magistrali, i libri stretti sul braccio, i lunghi capelli ondeggianti e lo sguardo malizioso, fautore di tumultuose emozioni all’incrociar col tuo.
Dall’ offelleria di Tramer il caldo profumo di dolci appena sfornati, suscitava languori che il desolante, permanente vuoto delle tasche, non poteva attenuare. I bimbi col nasino per aria sbirciavano nelle vetrine del signor Lippi (Lippis nella deformazione dei clienti, che mandava in bestia il titolare), poveri giocattoli confusi tra rocchetti e sigarette di filo. Anche l’attiguo tabaccaio Serra vendeva sigarette sfuse, ma di tabacco, e noi riunivamo i resti della paghetta settimanale per acquistare tre sigarette “Africa” che, divise in turni di due “tirate” ciascuno, avrebbero soddisfatto le piccole voluttà di cinque o sei ragazzi per un’ intera serata.
Nella vetrina del fotografo Mola uno splendido vecchio dalla canuta barba fluente, pareva guardarci corrucciato, come per ricordarci che a casa, ci attendevano le traduzioni dal “De Bello Gallico”, mentre “Fill ‘e preri”, lo strillone di Gigino Cocco, edicolante nell’ androne di casa Ballero, urlava, storpiandoli, i titoli dei vari quotidiani, davanti alla vetrina dell’altro fotografo, Sorresu, e del negozio di modestiabiti confezionati “ALTOLA”.
Davanti all’ ingresso della farmacia Saluz, all’ angolo con la via Torino, interminabili conversazioni letterarie, politiche e satirici pellegolezzi, tra illustri professionisti e giornalisti, col cappello di castorino in inverno o la “paglietta” in estate. Noi contavamo le pagliette o le barbe: se ne fossero transitate almeno quindici, avremmo evitato l’interrogazione dell’ indomani.
Intanto, al centro della piazzetta, un indimenticabile personaggio dotato di straordinarie capacita mnemoniche, Pietro Evento, recitava, a richiesta degli studenti, qualunque brano della Divina Commedia, memorizzata nelle lunghe ore di solitudine, interrompendosi solo per fare largo al tram n. 1, avviato verso il capolinea di Piazza Palazzo, che ospitava inevitabilmente qualche “picciocch ‘e crobi”, arrampicato sul respingente posteriore, che sarebbe diventato anteriore una volta rovesciato l’archetto, all’ultima fermata ai piedi delle scalette della Cattedrale.
Nel bar di Caredda e Loi, sotto il bastione dello sperone, con pochi centesimi (di lira) potevi comprare le caramelle “fior di latte” contenute, sfuse e scartate, in grandi boccioni di vetro; ma nella drogheria dei fratelli Maxia, all’inizio della via Garibaldi, vendevano gli squisiti tronchetti della “liquirizia di legno”.
In estate, sotto le scalette del bastione, sostava il carrettino della “Gelateria Siciliana”: il gelataio attirava i clienti soffiando in un fischietto a canne e offriva, tra le molte sue leccornie, dei gelati a forma di sandwich tra due cialde quadrate, prezzo 40 centesimi (sempre di lira).
Al calar del sole, illuminata dalle fioche luci dei pochi lampioni e delle poche vetrine, la piazzetta pareva un piccolo, romantico angolo di Montmartre.
Ora, nel silenzio della notte, mentre la città dorme, nello spiazzo di “Port ‘e Biddanoa” si ritrovano i fantasmi del Barone Sanjust col marchese di Laconi, don Cicito Ballero e don Tatano Canelles, il barbone “casu martzu” con Pietro Evento, Pippo Della Maria con Alessandro Cosentino, Mario Pes con Vincenzo Sorresu, tutti concordi nel beffeggiar le nuove generazioni che corrono, corrono veloci, senza soffermarsi un attimo, perché il semaforo non lo consente e la piazzetta è diventata soloun anonimo punto di transito. Solo loro, beccius casteddaius, animano ancora la notte della piazza, con l’arguzia ed il gusto del lazzo e del pettegolezzo. Poi, quando la prima, timida luce dell’alba annuncia il mattino, si salutano con larghe scappellate:
“meri miu su contu”, “a si biri su dottori”, “bona giornata don Cicitu”. “A si biri in paxi”.
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- Per correlazione.

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