Povera Patria Sarda, così ridotta da sfruttatori e ascari

Chidecideraperlasardegna1L’eterno ritorno della premiata ditta Chimica & affini
di Nicolò Migheli
By sardegnasoprattutto 9 febbraio 2017/Società & Politica/

Alla fine forse non se ne farà niente. La soluzione della vertenza Eurallumina ha tutto il sapore di una promessa elettorale. La Rusal ha chiesto un mese per integrare la documentazione. Si vedrà. Certo che la vicenda Eurallumina, dopo una chiusura di otto anni diventa l’epifenomeno di che cosa è diventata oggi la Sardegna. Da una parte le giuste rivendicazioni dei dipendenti che lottano per difendere il posto di lavoro, dall’altra una politica incapace di strategie di sviluppo che non siano la conferma dell’esistente.

Le dichiarazioni del senatore. Luciano Uras riportate dall’Unione Sarda: “Siamo vicini ai lavoratori Eurallumina, che hanno il diritto al lavoro in sicurezza ed a una prospettiva di sviluppo sostenibile ed armonico”, sono un compendio di arrampicamento sugli specchi. Il sofista e profeta del I secolo d.c. Apollonio di Tiana, ci suggerisce la chiave interpretativa: “Non vi stupite di questo, che io comprenda quello che dicono gli uomini, imperciocché io so perfino quello che essi non dicono” Ed è in quella prospettiva di sviluppo sostenibile ed armonico la contradictio che nol consente, quello che gli uomini non dicono ma nascondono con artifizi verbali.

Come una fabbrica di alluminio, responsabile di inquinamento vasto, di produzione di fanghi rossi sia sostenibile ed armonica ce lo dovrebbe dimostrare il senatore Uras. Secondo i piani industriali tale discarica dovrebbe essere allargata, dovrebbe esserci la costruzione di una nuova centrale a carbone e lo smaltimento delle ceneri in quei siti. Nelle scienze economiche e sociali la sostenibilità si ha quando la soddisfazione della generazione presente non compromette i diritti di quella futura.

A Portoscuso e in tutto il Sulcis siamo già ben oltre la soddisfazione della generazione presente, almeno che per questa non si intendano solo il lavoro e gli stipendi. Cosa importante per carità, ma i costi sono commisurati? Tempo addietro il sindaco di quella località a seguito di un rapporto circostanziato della ASL ha dovuto emanare una ordinanza per raccomandare alla popolazione il non uso di prodotti agricoli coltivati in quel territorio in quanto pericolosi per la salute umana; i molluschi e pesci sono contaminati da metalli pesanti.

Però l’assessora regionale all’ambiente non ha nulla da dire, anzi esprime soddisfazione per la ripresa di Eurallumina. Altri dati che sarebbe utile conoscere: quanti abitanti di quell’area sono stati colpiti da tumore? Quale è l’aspettativa di vita degli operai e dei pensionati di quegli stabilimenti? Quale quella dei loro familiari? Tutte informazioni che potrebbero confermare o smentire drammaticamente la sostenibilità di imprese simili. Un posto di lavoro val bene il cancro? L’avvelenamento dei luoghi, i probabili effetti sul Dna dei bambini sono compatibili con i diritti delle future generazioni?

Le osservazioni del Mibact, che per alcuni politici sarebbero solo consultive (sic!), sottolineano la contrarietà alla ripartenza della fabbrica perché in contrasto con il PPR Sardegna, con lo strumento principe che la Regione si è data per il governo del territorio e per il suo futuro che doveva essere appunto sostenibile. Preventivamente i senatori sardi del PD però si erano premuniti chiedendo al ministro Franceschini che i suoi uffici non ostacolassero con deliberazioni critiche la ripresa produttiva della fabbrica.

Tutti atti che denotano una totale mancanza di idee e di una strategia per la Sardegna. L’eterno ritorno della chimica e delle fabbriche inquinanti come paradigma dell’azione politica. Una classe dirigente che si nega nel suo essere politica, ridotta a gestire i cascami di iniziative industriali sbagliate che hanno avvelenato l’isola oggi e chissà per quanti decenni. Non bastano più le narrazioni su di un nuovo modello di sviluppo, su agricoltura, artigianato, turismo, conoscenza, tecnologia.

No, è questo presente che incatena tutta la Sardegna alla ripetizione coatta di scelte che si rivelano essere, ancora una volta il tubo di scappamento dell’Italia e delle multinazionali che intascano i profitti, e qui lasciano quattro stipendi e veleni in abbondanza. Dispiace dirlo ma è così. Un rapporto perverso tra interessi locali e quelli globali, dove la politica con le propaggini sindacali altro non sono che la riedizione dei rapporti ineguali che caratterizzano la Sardegna dal Settecento in poi.

Si preferisce l’accordo con lo sfruttatore di turno, oggi Rusal, che sviluppare una idea di sé e della propria modernità. Borghesia compradora, ieri ed oggi, classi dirigenti e politiche che lucrano sul disagio, che su quello costruiscono carriere personali, insensibili ad ogni avvertimento, prone sull’interesse immediato, incapaci di un futuro che non sia per i propri circoli familistici e clientelari. Questo è, piaccia o no.
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Quando i tiranni sabaudi rasero al suolo la Sardegna
Sardegna ai tempi di Carloalbertodi Francesco Casula
L’Isola del «grande verde», che fra il XIV e XII secolo avanti Cristo fonti egizie, accadiche e ittite dipingevano come patria dei Sardi shardana è sempre più solo un ricordo. La storia documenta che l’Isola verde, densa di vegetazione, foreste e boschi, nel giro di un paio di secoli fu drasticamente rasata, per fornire carbone alla industrie e traversine alle strade ferrate, specie del Nord d’Italia. Certo, il dissipamento era iniziato già con Fenici Cartaginesi e Romani, che abbatterono le foreste nelle pianure per rubare il legname e per dedicare il terreno alle piantagioni di grano e nei monti le bruciarono per stanare ribelli e fuggitivi, ma è con i Piemontesi che il ritmo distruttivo viene accelerato.
Iniziarono presto: 20 anni dopo avere preso possesso dell’Isola, nel 1740 il re Carlo Emanuele III di Savoia aveva concesso al nobile svedese Carlo Gustavo Mandell il diritto di sfruttare tutte le miniere di Parte d’Ispi (Villacidro) in cambio di un’esigua percentuale sul minerale raffinato; e gli aveva permesso di prelevare nelle circostanti foreste il carbone e la legna per le fonderie, costringendo i comuni a vere e proprie corvè e distruggendo così il patrimonio forestale della regione.
Lo scempio era continuato anche quando miniere e fonderie, scaduto il contratto trentennale di Mandell, furono gestite direttamente dal regio governo. Anzi da allora la situazione si era aggravata, perché le richieste di combustibile si erano fatte più pressanti e perentorie.
Furono bruciati persino i boschi della piana di Oristano per incenerire i covi dei banditi mentre i toscani li bruciarono per fare carbone e amici e parenti di Cavour, come quel tal conte Beltrami devastatore di boschi quale mai ebbe la Sardegna, mandò in fumo il patrimonio silvano di Fluminimaggiore e dell’Iglesiente.
Con l’Unità d’Italia infine si chiude la partita con una mostruosa accelerazione del ritmo delle distruzioni, specie con il regno di Umberto I a fine Ottocento.
Scriverà Eliseo Spiga: ”lo stato italiano promosse e autorizzò nel cinquantennio tra il 1863 e il 1910 la distruzione di splendide e primordiali foreste per l’estensione incredibile di ben 586.000 ettari, circa un quarto dell’intera superficie della Sardegna, città comprese”.
Mentre il poeta Peppino Mereu, a fine Ottocento, mette a nudo la “colonizzazione” operata dal regno piemontese e dai continentali, cui è sottoposta la Sardegna, proprio in merito alla deforestazione: Sos vandalos chi cun briga e cuntierra/benint dae lontanu a si partire/sos fruttos da chi si brujant sa terra (I vandali con liti e contese/ vengono da lontano/a spartirsi i frutti/dopo aver bruciato la terra). E ancora: Vile su chi sas jannas hat apertu/a s’istranzu pro benner cun sa serra/a fagher de custu logu unu desertu (Vile chi ha aperto la porta al forestiero /perché venisse con la sega/e facesse di questo posto un deserto).
E Giuseppe Dessì, nel suo romanzo Paese d’ombre scrive: “La salvaguardia delle foreste sarde non interessava ai governi piemontesi, la Sardegna continuava ad essere tenuta nel conto di una colonia da sfruttare, specialmente dopo l’unificazione del regno”.
Mentre Carlo Corbetta, (scrittore lombardo della seconda metà del secolo XIX), in seguito a un viaggio in Sardegna, (e in Corsica) scrisse un’opera in due volumi Sardegna e Corsica. E a proposito della distruzione dei boschi e della deforestazione, scrive che la si deve in massima parte agli speculatori e trafficanti di scorza che col loro coltello scorticatore ne denudano i tronchi e grossi rami delle elci e quercie marine e delle quercie comuni e la spediscono in continente ad estrarne tannino per la conceria delle pelli e per le tinture.
Si tratta di un’analisi gravemente deficitaria. E’ vero che le sugherete erano preda subito dopo l’Unità d’Italia (a partire soprattutto dal 1865) di gruppi di commercianti che cercavano il tannino e la potassa. Ma i veri responsabili che Corbetta non individua, sono ben altri: i re sabaudi e i loro governi. Probabilmente Corbetta non voleva nè poteva individuarli, essendo essi amici e contigui ai suoi sostenitori, Quintino Sella in primis. Il suo viaggio in Sardegna era stato possibile proprio grazie all’appoggio proprio di Quintino Sella. Questi, più volte Ministro delle Finanze nel 1869 soggiornerà due volte in Sardegna in qualità di componente della Commissione Parlamentare d’Inchiesta sulle condizioni dell’isola.
Ma è soprattutto Gramsci, in un articolo sull’Avanti (Edizione piemontese) del 23 ottobre 1918, censurato e riscoperto 60 anni dopo, a denunciare la devastazione ambientale e climatica, frutto della spoliazione e distruzione dei boschi. Nell’articolo – intitolato significativamente “Gli spogliatoi di cadaveri”, individua fra questi gli industriali del carbone. Essi scendono dalla Toscana e stavolta, il lascito perla Sardegna è la degradazione catastrofica del suo territorio. L’Isola è ancora tutta boschi. Gli industriali toscani ne ottengono lo sfruttamento per pochi soldi: a un popolo in ginocchio anche questi pochi soldi paiono la salvezza, scrive ancora Gramsci.
Così – continua l’intellettuale di Ales – L’Isola di Sardegna fu letteralmente rasa suolo come per un’invasione barbarica. Caddero le foreste. Che ne regolavano il clima e la media delle precipitazioni atmosferiche. La Sardegna d’oggi alternanza di lunghe stagioni aride e di rovesci alluvionanti, l’abbiamo ereditata allora, concluderà.
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One Response to Povera Patria Sarda, così ridotta da sfruttatori e ascari

  1. […] Post scriptum Il comunicato della Regione comunque si concludeva così: “Ringraziamo gli uffici degli assessorati coinvolti che hanno lavorato strenuamente in questi mesi”, ha concluso l’esponente dell’esecutivo, che ha poi raggiunto gli operai che da questa mattina manifestavano davanti al palazzo di viale Trento e ha loro confermato, insieme all’assessore Erriu, quanto emerso in Conferenza di servizi. Gli operai hanno dunque deciso di sciogliere il presidio”. ——————- Correlazione https://www.aladinpensiero.it/?p=64880 […]

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