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Editoriale
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Che succede?
Comitato “Insieme per la pace disarmata”
Evento regionale per la pace a Cagliari – 29 Giugno 2025.
[versione non definitiva]Le organizzazioni firmatarie del presente documento convengono di costituire insieme un nuovo comitato informale che assume la denominazione di “Insieme per la pace disarmata”
. Il comitato si pone come primo obiettivo collettivo lo svolgimento di un evento per la pace con carattere regionale, a Cagliari, il prossimo 29 giugno, organizzato in due momenti:
- Dalle 9,30 alle 13: assemblea aperta presso il Teatro Sant’Eulalia;
- Dalle 18 alle 23: evento di sensibilizzazione pubblica all’aperto, con contributi artistici e di vario genere (spazio ancora da individuare).Le organizzazioni aderenti si riconoscono nel seguente
Manifesto politico
1. La pace, la vita, la salute, il lavoro, la casa, l’ambiente, la giustizia sociale e l’eguaglianza sostanziale, le libertà civili e politiche, le libertà di espressione, di opinione e di protesta sono
diritti irrinunciabili di ogni individuo, a prescindere dalla nazionalità, dalla residenza, dall’etnia, dal genere, dalla religione e da qualsiasi altra caratteristica personale o di gruppo.
Intendiamo perciò contribuire a realizzarne la tutela e la piena attuazione adottando ogni iniziativa politica, sociale, culturale, ecc., utile al bene comune, insieme alla lotta non violenta attiva contro ogni ingiustizia.2. Crediamo che la Pace si ottenga con l’impegno di ogni cittadina e cittadino, corpo intermedio, istituzione nazionale e sovranazionale, volto alla costruzione del bene comune dei popoli, all’inclusività, alla cooperazione ed alla solidarietà, all’eliminazione di ogni forma di discriminazione, all’esigibilità sostanziale dei diritti delle persone. Perciò intendiamo impegnarci tutti e tutte insieme, nei nostri ambiti, per contribuire alla costruzione di un mondo più a misura di ogni persona umana.
3. La nostra azione è tesa ad evitare ogni violenza, istituzionale, di gruppo o individuale, ogni guerra e ogni atto di terrorismo, affrontandone ed eliminandone le cause attraverso l’esercizio della politica a tutti i livelli e adottando la non violenza attiva quale metodo per la risoluzione dei conflitti.
4. Vogliamo impegnarci nella promozione di una cultura e di una pedagogia della pace, del disarmo, della nonviolenza che influisca sulle coscienze, sull’educazione e sulla politica, che costruisca relazioni interpersonali, sociali e internazionali fondate sulla trasformazione nonviolenta dei conflitti, nell’incontro creativo delle differenze e delle divergenze e nel superamento del mito della guerra, del nemico, della vittoria.
5. Rispetto ad ogni guerra, e ad ogni atto di violenza, stiamo sempre dalla parte delle vittime.
Ciò vale per tutte le guerre in ogni parte del mondo: il conflitto armato tra Russia e Ucraina, le guerre del Sud-Sudan e dello Yemen, del Congo, il massacro in atto in Palestina, ecc.6. In ogni conflitto armato vediamo vittime innocenti, sia tra i civili non combattenti che tra il personale militare, spesso mandato a combattere e morire contro la sua volontà, in nome di falsi ideali patriottici, a causa della prepotenza di chi li governa. Noi stiamo attivamente dalla loro parte in maniera nonviolenta, convinti che il ripudio della guerra, sancito anche dall’art.11 della Costituzione Italiana, sia necessariamente da interpretare riorientando ogni
sforzo istituzionale e di popolo verso la costruzione della pace.7. La guerra è un crimine contro l’umanità; noi rifiutiamo una morale astratta e chiediamo la tutela del diritto delle persone alla vita e alla libertà in sintonia con la nostra Costituzione e con la Dichiarazione Universale dei Diritti Umani. Esprimiamo una fortissima preoccupazione per il piano di riarmo europeo inteso non solo come mezzo per risolvere positivamente le controversie, ma addirittura come opportunità di sviluppo.
8. Chiediamo che l’ONU riprenda la missione originaria di luogo di confronto e di soluzione pacifica delle controversie e lo faccia senza posizioni dominanti per nessuno.
9. Rifiutiamo ogni piano di riarmo europeo o nazionale e ogni tentativo di far passare l’idea che con una maggiore presenza di armi e di forze armate si possa perseguire la pace. La produzione di armi segue le leggi del mercato, perciò più armi si producono, più verranno utilizzate, in maniera da poterne produrre ancora e ancora.
10. Rifiutiamo la propaganda bellica di ogni tipo, attuata attraverso una sempre più frequente presenza delle forze armate nelle scuole e nelle università e mediante una pervicace commistione tra iniziative sanitarie, sportive, culturali, artistiche e forze armate. Cittadini e cittadine non sono clienti da imbonire ma persone consapevoli, titolari di diritti, alle quali non si può dare per pietà ciò che sarebbe dovuto per legge, come una sanità efficiente ed una società vivibile in tutti i suoi aspetti.
11. Ci opponiamo all’uso del territorio della Sardegna a fini di addestramento militare e di sperimentazione di nuove tecnologie belliche, o civili potenzialmente pericolose, alla produzione ed esportazione di ordigni bellici, alle speculazioni energetiche e industriali di qualsiasi genere, svolte senza rispetto alcuno per la volontà delle persone che abitano i territori coinvolti e per l’ambiente naturale terrestre e marino della nostra isola. Chiediamo la riconversione civile e sostenibile della fabbrica di armamenti presente nel sud-ovest dell’isola, insieme alla bonifica e alla restituzione ai sardi delle aree attualmente soggette a servitù militari.
12. Vogliamo impegnarci a promuovere nella nostra isola lo sviluppo di un’economia pacifica e sostenibile, che ne salvaguardi anche le lingue e le tradizioni, attualizzandole dinamicamente, e che consideri il suo l’ambiente naturale e sociale come eredità da preservare e ripristinare in maniera da poterlo lasciare a chi verrà dopo di noi senza pregiudicarne il futuro. Preservando l’ambiente difendiamo la salute.
Elenco delle organizzazioni firmatarie…
Cari amici,
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Il referendum è stato sconfitto. Ma è ben altro che una sconfitta della sinistra. È una sconfitta degli stranieri che non possono diventare cittadini, devono rimanere “non persone” in un ordinamento dove anche le Banche sono persone. Sono migranti senza diritti quando sono venuti in uno Stato di diritto. Sono profughi venuti in nome del primo dei diritti che è quello alla vita, e hanno trovato il disprezzo dei diritti e le morti sul lavoro. Vivono in città che si gloriano dei “valori della destra”, e sono città senza valori così che quanti le guardano da fuori, magari dal mare, si stupiscono ed esclamano, come dice la Bibbia:
“ Questa è la città gaudente,
che se ne stava sicuro
e pensava: “Io e nessun altro”!
Qualcuno le passa vicino
fischia di schermo e agita la mano ”.
Ed è stata anche una sconfitta dei precari, degli underdog. Sono sottoccupati, sottopagati, sottostimati, e devono restarlo per tutta la vita, altro che diventare presidenti del consiglio.
È stata una sconfitta dei licenziati senza giusta causa. Senza causa si può pretendere di restare al potere, ma se ti tolgono il lavoro senza giusta causa non c’è un potere che giustamente ti difenda.
Ma al di là dei risultati, tutti si rallegrano o deprecano che non sia raggiunto il quorum, e gli uni vogliono ridurlo o addirittura abolirlo dimenticando la saggezza dei costituenti, gli altri vogliono alzare perfino il quorum delle firme necessarie per chiedere il referendum.
Ma il vero problema è: perché il quorum, che prima funzionava, adesso non funziona più? Il quorum è il prodotto e il segnale di una democrazia perfetta, non regge, almeno in quella misura, in una democrazia deperita.
La democrazia è deperita e il quorum non si raggiunge non a causa dei quesiti, magari mal compresi, ma perché si è rotta la coesione sociale. Quando i referendum funzionavano era perché c’era la coscienza di essere una comunità chiamata a decidere su problemi a tutti comuni, privati e pubblici, dal divorzio all’ordine pubblico al nucleare; ci si divideva certo nella scelta (il referendum era fatto apposta) ma a nessuno veniva in mente di fare un dispetto agli altri non andando a votare. Eravamo una Nazione, che aveva l’assillo della sua unità; all’inizio c’era perfino l’idea del monopolio pubblico della radio e della TV, per la paura che non si creasse una lingua comune, che ancora non c’era, o che la cacofonia dei messaggi rompesse l’armonia di fondo di una cultura condivisa: certo era una democrazia ancora acerba, ma in cammino, tanto è vero che l’obiettivo comune, perfino tra comunisti e anticomunisti, era una “democrazia compiuta”. La democrazia, e il voto, non erano ancora la rissa per cui la ragione degli uni è per forza il torto degli altri. Questa era la Nazione, non c’era bisogno di nominarla ogni minuto. Poi si è cominciato a smontarla, con l’idolatria dell’individualismo, le televisioni di Berlusconi, le privatizzazioni selvagge, la Lega Nord, “Forza Etna”, il maggioritario, chi vince vince tutto, chi perde perde tutto, lo “spoil system”, fino alla minaccia del premierato, tutti mezzi per rompere i legami sociali. E anche l’orrore per lo straniero, che non si permette di credersi italiano, è il segnale che la Nazione non c’è più, è già perduta, altrimenti l’integrazione sarebbe il suo orgoglio. E la Premier insiste nel professarsi come capo della Nazione, proprio mentre finisce di smontarla.
Nel sito Prima Loro pubblichiamo un articolo sul genocidio a Gaza, di Elena Basile.
Con i più cordiali saluti,
da “Prima Loro” (Raniero La Valle).
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[…] RAPPORTO SVIMEZ 2017: SECONDO LE PREVISIONI, IL MEZZOGIORNO RESTA AGGANCIATO ALLA RIPRESA ECONOMICA DELL’ITALIA ANCHE NEL 2017 E NEL 2018. LA RESILIENZA ALLA CRISI NON E’ STATA OMOGENEA, TRA REGIONI E TRA SETTORI. RIPARTE L’INDUSTRIA MERIDIONALE. I NUOVI VOLTI DEL DUALISMO: DEMOGRAFICO, GENERAZIONALE, NEI SERVIZI PUBBLICI. AUMENTA IL LAVORO MA CON BASSE RETRIBUZIONI, CRESCE IL PART TIME INVOLONTARIO. UN SUD USCITO DALLA RECESSIONE E REATTIVO GIOVA ALL’ITALIA INTERA, MA IL PERSISTERE DELLA GRAVE EMERGENZA SOCIALE E IL DEPAUPERAMENTO DEL CAPITALE UMANO MERIDIONALE MINANO IL CONSOLIDAMENTO DEL PROCESSO DI SVILUPPO. (a cura di Svimez) Le proposte SVIMEZ nel Rapporto 2017 sull’economia del Mezzogiorno presentato il 7 novembre a Roma, nella Sala della Lupa, alla Camera dei Deputati. ————————— (…) Secondo la SVIMEZ, che ha elaborato una stima inedita del depauperamento di capitale umano meridionale, considerando il saldo migratorio dell’ultimo quindicennio, una perdita di circa 200 mila laureati meridionali, e moltiplicata questa cifra per il costo medio che serve a sostenere un percorso di istruzione elevata, la perdita netta in termini finanziari del Sud ammonterebbe a circa 30 miliardi, trasferiti alle regioni del Centro Nord e in piccola parte all’estero. ————————— Il Mezzogiorno è uscito dalla lunga recessione e nel 2016 ha consolidato la ripresa, registrando una performance per il secondo anno superiore, se pur di poco, rispetto al resto del Paese. L’industria manifatturiera meridionale è cresciuta al Sud nel biennio di oltre il 7%, più del doppio del resto del Paese (3%); influiscono positivamente le politiche di sviluppo territoriale mentre restano le difficoltà delle imprese del Sud ad accedere agli strumenti di politica industriale nazionale. La stretta integrazione e interdipendenza tra Sud e Nord rafforza la necessità di politiche meridionaliste per far crescere l’intero Paese. Ottima la performance soprattutto al Sud delle esportazioni nel biennio 2015-2016 Le previsioni per il 2017 e il 2018 confermano che il Mezzogiorno è in grado di agganciare la ripresa, facendo segnare tassi di crescita di poco inferiori a quelli del Centro-Nord. Tuttavia la ripresa congiunturale è insufficiente ad affrontare le emergenze sociali. Il tasso di occupazione nel Mezzogiorno è ancora il più basso d’Europa (35% inferiore alla media UE), nonostante nei primi 8 mesi del 2017 siano stati incentivati oltre 90 mila rapporti di lavoro nell’ambito della misura “Occupazione Sud”. La povertà e le politiche di austerità deprimono i consumi. Il Sud è un’area non più giovane né tantomeno il serbatoio di nascite del Paese. Il Governo nell’ultimo anno ha riavviato le politiche per il Sud; fondamentali due interventi: le ZES e la “clausola del 34%” sugli investimenti ordinari. Le previsioni per il 2017 e il 2018 – Secondo stime SVIMEZ aggiornate a ottobre, nel 2017 il PIL italiano cresce dell’1,5%, risultato del +1,6% del Centro-Nord e del +1,3% del Sud. Nel 2018 il saggio di crescita del PIL nazionale si attesta al1’,4% con una variazione territoriale dell’1,4% nel Centro-Nord e dell’1,2% al Sud. A trascinare l’evoluzione positiva del PIL nel 2017 e nel 2018 l’andamento della domanda interna, che al Sud registra, rispettivamente, +1,5% e +1,4% (nel Centro-Nord, invece, aumenta quest’anno del +1,6% e il prossimo del +1,3%). Nel 2018 la SVIMEZ prevede un significativo aumento sia delle esportazioni che degli investimenti totali, che cresceranno più nel Mezzogiorno che al Centro-Nord: le esportazioni del +5,4% rispetto a +4,3%, gli investimenti del 3,1% rispetto a +2,7%. Aumento apprezzabile dell’occupazione: +0,7% al Sud sia nel 2017 che nel 2018, e +0,8% in entrambi gli anni al Centro Nord. Secondo la SVIMEZ, queste previsioni inglobano anche gli effetti della legge di Bilancio 2018, e scontano la mancata attivazione della clausola di salvaguardia relativa all’aumento delle aliquote IVA nel 2018 per circa 15 miliardi. La SVIMEZ ha realizzato una simulazione per valutare quali sarebbero stati gli effetti della manovra sull’IVA nelle due macro aree del Paese, se fosse stata realizzata: in quel caso l’economia meridionale avrebbe subito il maggior impatto, in quanto, nel biennio 2018/2019, il PIL del Sud avrebbe perso quasi mezzo punto percentuale di crescita, -0,47%, mentre quello del Centro-Nord avrebbe avuto un calo dello -0,28%. I principali dati economici del 2016 – Nel 2016 il PIL è cresciuto nel Mezzogiorno dell’1%, più che nel Centro-Nord dove è stato pari a +0,8%. Nello specifico delle singole Regioni meridionali, il PIL 2016 più performante è quello della Campania +2,4%, seguita da Basilicata +2,1%, Molise +1,6%, Calabria +0,9%, Puglia +0,7%, Sardegna +0,6%, Sicilia +0,3%, Abruzzo -0,2%. Nel 2016 il prodotto per abitante è stato nel Mezzogiorno pari a 56,1% di quello del Centro Nord (66% di quello nazionale). Il PIL per abitante della regione più ricca d’Italia, il Trentino Alto Adige, con i suoi 38.745 euro pro capite, è più che doppio di quello della regione più povera, la Calabria, che è pari a 16.848 euro ad abitante. I consumi delle famiglie meridionali sono aumentati nel 2016 dell’1,2%, contro l’1,3% del Centro Nord: in particolare, la spesa alimentare e quella per abitazioni cresce al Sud meno che nel resto del Paese. Nel 2016 gli investimenti sono cresciuti nel Mezzogiorno del 2,9%, un incremento sostanzialmente in linea con quello del Centro Nord (+3%. Nel 2016 in agricoltura il valore aggiunto, dopo il boom del 2015, è tornato a diminuire, -8,8% rispetto al 2015, che si traduce in -9,5% nel Mezzogiorno e -1,9% nel Centro Nord. Nell’industria il prodotto è cresciuto al Sud (+3%) più che al Centro Nord (+1%). Positivo nel Mezzogiorno anche il valore aggiunto delle costruzioni (+0,5%), rispetto al centro Nord (-0,3%). Infine, nel terziario il valore aggiunto del Mezzogiorno con +0,8% ha superano quello del Centro Nord (+0,5%). Secondo la SVIMEZ, l’aumento del PIL meridionale mostra primi segni di solidità: il recupero del settore manifatturiero, cresciuto del +2,2%, la ripresa dell’edilizia (+0,5%9, il positivo andamento dei servizi (+0,8%), soprattutto nel turismo, legata alle crisi geopolitiche dell’area del Mediterraneo che hanno dirottato parte dei flussi verso il Mezzogiorno. Interdipendenza tra Sud e Nord – La domanda interna del Sud, data dalla somma di consumi e investimenti, attiva circa il 14% del PIL del Centro-Nord (nel 2015, un ammontare di circa 177 miliardi di euro). I recenti referendum in Lombardia e Veneto hanno riaperto la discussione sul tema del residuo fiscale. I flussi redistributivi verso le regioni meridionali sono in calo di più del 10%, da oltre 55,5 a circa 50 miliardi. Peraltro le risorse che, sotto diverse forme, affluiscono al Sud, non restano circoscritte al solo Mezzogiorno, ma hanno effetti economici che si propagano all’Italia intera. Secondo la SVIMEZ, che ha fatto una valutazione quantitativa di tali effetti, su 50 miliardi di residui fiscali di cui beneficia il Mezzogiorno, 20 ritornano direttamente al Centro-Nord, altri contribuiscono a rafforzare un mercato che resta, per l’economia dell’intero Paese, ancora rilevante. Rilancio degli investimenti pubblici. Nel 2016 hanno toccato il punto più basso della serie storica (la spesa in conto capitale è stata il 2,2% del PIL, nel Mezzogiorno appena lo 0,8%), dopo il modesto incremento del 2015. L’andamento della spesa in conto capitale in questi anni mette il Mezzogiorno su un livello molto più basso rispetto ai livelli pre crisi. Il crollo della spesa per infrastrutture nell’ultimo cinquantennio è stato del -2% medio annuo a livello nazionale, sintesi di un -0,8% nel Centro-Nord e -4,8% nel Sud. In termini pro capite, gli investimenti in opere pubbliche nel 1970 erano pari a livello nazionale a 529,6 euro, con il Centro-Nord a 450,8 e il Mezzogiorno a 673,2 euro. Nel 2016 si è passati a 231 euro a livello nazionale, con il Centro-Nord a 296 e il Mezzogiorno a meno di 107 euro pro capite. Secondo la SVIMEZ, l’attivazione della clausola del 34% potrebbe invertire il trend, ma dovrebbe riguardare non solo le Amministrazioni Centrali ma anche il Settore pubblico allargato. La SVIMEZ chiede inoltre di rafforzare l’efficacia di tale norma prevedendo un monitoraggio al Parlamento e l’istituzione di un Fondo di perequazione delle risorse ordinarie in conto capitale, in cui riversare le eventuali risorse non spese nel Mezzogiorno, per poi finanziare i programmi maggiormente in grado di raggiungere l’obiettivo del riequilibrio territoriale. Pubblica amministrazione al Sud: -21.500 dipendenti – La qualità dei servizi pubblici nel Mezzogiorno presenta un quadro di luci e ombre. Il Sud è un’area penalizzata nel godimento di alcuni diritti di cittadinanza e nell’offerta dei servizi pubblici. Tra gli aspetti postivi, un deciso calo dei procedimenti di giustizia civile pendenti, più accentuato al Sud, e un forte recupero nella diffusione dell’ICT nella P.A. Secondo la SVIMEZ, c’è un forte ridimensionamento della P.A. nel Mezzogiorno, in termini di risorse umane e finanziarie, tra il 2011 e il 2015: -21.500 dipendenti pubblici (nel Centro-Nord sono calati di -17.954 unità) e una spesa pro capite corrente consolidata della P.A. (fonte CPT) pari al 71,2% di quella del Centro-Nord. Un divario in valore assoluto di circa 3.700 euro a persona. La sfida di una maggiore efficienza della macchina pubblica al Sud passa per una sua profonda riforma ma anche per un suo rafforzamento attraverso l’inserimento di personale più giovane a più alta qualificazione. Ciò a dispetto dei luoghi comuni che descriverebbero un Sud inondato di risorse e dipendenti pubblici. La Qualità del Lavoro al Sud: crescono gli occupati al Sud ma a basso reddito – Nelle regioni meridionali nel 2016 gli occupati sono aumentati dell’1,7%, pari a 101 mila unità, ma mentre le regioni centro settentrionali hanno recuperato integralmente la perdita di posti di lavoro avvenuta durante la crisi (+48 mila nel 2016 rispetto al 2008), in quelle meridionali la perdita di occupazione rispetto all’inizio della recessione è ancora pari a 381 mila unità. Nel 2016 l’occupazione giovanile meridionale è aumentata marginalmente, di sole 18 mila unità (+1,3%), la crescita maggiore continua a riguardare gli ultra cinquantenni, con oltre 109 mila unità, pari a +5,6%. Sulla crescita dell’occupazione nel Mezzogiorno incide l’ulteriore aumento del part time involontario (+1,9%), di poco inferiore all’80% del lavoro a tempo parziale. L’unica regione del Sud dove gli occupati calano è la Sardegna e, in misura più contenuta, la Sicilia. I livelli restano comunque generalmente distanti da prima della crisi: -10,5% di occupati in Calabria, – 8,6% in Sicilia, -6,6% in Sardegna e Puglia, -6,3% in Molise, -5% in Abruzzo. Solo in Campania (-2,1%) e Basilicata (-0,8%) siamo su valori vicini a quelli del 2008. L’aumento dei posti di lavoro al Sud riguarda in particolare l’agricoltura (+5,5%), l’industria (+2,4%) e il terziario (+1,8%). Nei primi 8 mesi del 2017 sono stati incentivati oltre 90 mila rapporti di lavoro nell’ambito della misura “Occupazione Sud”, grazie alla proroga delle misure per la decontribuzione dei nuovi assunti nel Mezzogiorno decise dal Governo. Secondo la SVIMEZ, la crescita dei posti di lavoro nell’ultimo biennio riguarda innanzitutto gli occupati anziani, nella media del 2016 si registrano ancora oltre 1 milione e 900 mila giovani occupati in meno rispetto al 2008. E poi il lavoro a tempo parziale, che però non deriva dalla libera scelta individuale ma è involontario. Si sta consolidando un drammatico dualismo generazionale, al quale si affianca un deciso incremento dei lavoratori a bassa retribuzione, conseguenza dell’occupazione di minore qualità e della riduzione d’orario, che deprime i redditi complessivi. Il depauperamento del capitale umano meridionale Alla fine del 2016 il Mezzogiorno ha perso altri 62 mila abitanti. Il saldo migratorio totale del Sud continua a essere negativo e sfiora le 28 mila unità, mentre nel Centro Nord è in aumento di 93.500. In particolare nel 2016 la Sicilia perde 9.300 residenti, la Campania 9.100, la Puglia 6.900. Il pendolarismo nel Mezzogiorno nel 2016 ha interessato circa 208 mila persone, di cui 54 mila si sono spostate all’interno del Sud, mentre ben 154 mila sono andate al Centro-Nord o all’estero. Questo aumento di pendolari spiega circa un quarto dell’aumento dell’occupazione complessiva del Mezzogiorno di circa 101 mila unità nel 2016. Secondo la SVIMEZ, che ha elaborato una stima inedita del depauperamento di capitale umano meridionale, considerando il saldo migratorio dell’ultimo quindicennio, una perdita di circa 200 mila laureati meridionali, e moltiplicata questa cifra per il costo medio che serve a sostenere un percorso di istruzione elevata, la perdita netta in termini finanziari del Sud ammonterebbe a circa 30 miliardi, trasferiti alle regioni del Centro Nord e in piccola parte all’estero. Quasi 2 punti di PIL Nazionale. E si tratta di una cifra al ribasso, che non considera altri effetti economici negativi indotti. La ripresa non migliora il contesto sociale – Nel 2016 10 meridionali su 100 risultano in condizioni di povertà assoluta, contro poco più di 6 nel Centro Nord. L’incidenza della povertà assoluta nel 2016 nel Mezzogiorno aumenta nelle periferie delle aree metropolitane e nei comuni più grandi. Il rischio di cadere in povertà è triplo al Sud rispetto al resto del Paese, nelle due regioni più grandi, Sicilia e Campania, sfiora il 40%. L’emigrazione sembra essere l’unico canale di miglioramento delle condizioni economiche delle famiglie meridionali. Secondo la SVIMEZ, l’introduzione del reddito di inclusione avvia un processo per dotare anche l’Italia di una forma universalistica di contrasto alla povertà e all’esclusione sociale. Ma per ora l’impegno finanziario è assolutamente insufficiente: del REI beneficerà soltanto il 38% circa degli individui in povertà assoluta per importi che sono generalmente compresi fra il 30 e il 40% della soglia di povertà assoluta per molte tipologie familiari. Vanno fatte scelte redistributive che, senza gravare sul bilancio pubblico, consentano di allargare la platea dei fruitori. Si tratta di una misura che avrebbe un impatto sui consumi senza dubbio notevole. Credito, il surplus dei depositi al Sud finanzia l’economia del Centro-Nord – Il rapporto tra impieghi – incluse le sofferenze – e i depositi è strutturalmente più elevato nel Centro-Nord rispetto al Mezzogiorno: nel 2016 esso è pari a 1,14 al Sud contro 1,74 nel resto del Paese. Questo divario evidenzia il trasferimento della raccolta dalle regioni meridionali a quelle centro-settentrionali. Nel 2016 nel Mezzogiorno, a fronte di depositi raccolti dalle banche operanti nell’area per 283 miliardi, ci sono solo 278 miliardi di impieghi. Livelli di impieghi inferiori ai depositi si riscontrano in tutte le regioni del Mezzogiorno, ad eccezione delle Isole. Il rapporto tra impieghi e depositi risulta particolarmente basso in Molise, Basilicata e Calabria. Al contrario, nelle regioni centro-settentrionali, si osserva un fenomeno opposto: a fronte di 959 miliardi di depositi raccolti, ci sono 1.610 miliardi di impieghi. ————————————– *COMUNICATO STAMPA Roma, 7 novembre 2017 ————————————————————- Rapporto Svimez 2017 Tutti i materiali L’ufficio stampa SVIMEZ Emanuele Imperiali d’Afflitto ufficio.stampa@svimez.it 3475315780 […]