Verso l’Incontro-dibattito sul Lavoro del 5 ottobre con Domenico De Masi. Materiali su Reddito di cittadinanza e dintorni

eebb67c5-52fa-43c9-adc8-b7c2edc5b6faunknownORIENTARE. IL CASO
di Redazione Mf, 19 settembre 2018.
Reddito di cittadinanza, l’esperimento finlandese
Nel 2017 la Finlandia ha dato avvio a un progetto pilota di due anni, rivolto a 2mila persone senza lavoro, che ricevono 560 euro al mese senza alcun vincolo. L’esperimento termina a dicembre 2018, poi il governo deciderà se sospenderlo o estenderlo
Mentre il governo italiano pianifica l’introduzione del cosiddetto “reddito di cittadinanza”, c’è un Paese in Europa che sta già sperimentando questa formula di welfare. Parliamo della Finlandia, che nel 2017 ha dato avvio a un progetto pilota di due anni. Dopo le notizie circolate sui media sulla volontà di porre fine all’esperimento, il governo di Helsinki ha confermato di voler proseguire con il progetto fino a dicembre 2018, come previsto. Poi si deciderà cosa fare. [segue]

Il progetto pilota della versione finnica dello “universal basic income” coinvolge 2mila persone senza lavoro, che ricevono dal Kela, l’Istituto di previdenza sociale finlandese, una somma mensile di 560 euro al posto dei sussidi di disoccupazione, senza alcun vincolo. Ai partecipanti, che hanno tra i 25 e i 58 anni, non viene chiesta infatti alcuna contropartita. Chi riceve il denaro non è obbligato a impegnarsi nella ricerca di un lavoro o ad accettare i lavori offerti dall’ufficio di collocamento.

I sostenitori finlandesi del reddito di cittadinanza ritengono che questa misura possa aiutare i disoccupati nella ricerca di lavori temporanei, garantendo un minimo per vivere, e quindi incoraggiandoli a cercare un impiego stabile anziché rassegnarsi a vivere di sostegni e aiuti statali. Un’altra argomentazione a favore è che la minima somma mensile possa aiutare chi è in una situazione di disagio lavorativo a superare l’incertezza intorno al proprio presente e al proprio futuro. E nello stesso tempo aumenterebbe la mobilità del lavoro, assicurando un reddito minimo tra la fine di un impiego e l’inizio di un altro.

In un Paese che ha già strumenti di welfare molto robusti (sussidi di disoccupazione, sussidi per la casa, sussidi per i figli eccetera), questo strumento rappresenta non tanto una misura di lotta alla povertà, quanto un modo per tagliare la burocrazia e per ridurre i disincentivi alla ricerca di un nuovo lavoro. Con gli attuali sussidi – è questo il ragionamento – chi è disoccupato è poco incentivato a trovare un impiego (perché perderebbe il sussidio, pari in media alla metà dei salari medi) e ancor meno a creare una nuova impresa. Il nuovo reddito di base, invece, rimarrebbe anche in caso di un nuovo lavoro trovato, o creato da sé, e sarebbe quindi meno distorsivo.

Il programma, partito a gennaio 2017, finora è costato circa 20 milioni di euro. A fine dicembre, alla scadenza dei due anni di esperimento, il governo di centrodestra guidato da Juha Sipila (presidente del Partito di Centro finlandese) deciderà se sospenderlo oppure estenderlo a tutti. I primi risultati ufficiali della sperimentazione arriveranno comunque non prima del 2019. Il gruppo di lavoro della Kela, che ha supportato il governo finlandese nel processo decisionale, ha creato diverse ipotesi alternative: un reddito di base universale, esteso a tutti i cittadini maggiorenni (esclusi i pensionati); un reddito di base parziale, applicabile a persone tra i 25 e i 63 anni in cerca di lavoro; una tassazione negativa; forme di reddito di partecipazione (con forti condizionalità) e credito universale. Anche se il un reddito di base di 560 euro limitato ai disoccupati tra i 25 e i 63 anni è quello che terrebbe i conti più in equilibrio, dicono.

Nell’ultimo sondaggio generale sul reddito di cittadinanza alla finlandese, fatto in autunno, il 51% degli intervistati ha dichiarato che fornire un reddito di base parziale di 560 euro al mese è stata una “buona idea”, mentre solo il 21% pensava il contrario.
Il governo di Helsinki, però, nello stesso tempo, ha avviato un processo di riforma del sistema dei sussidi di disoccupazione con quello che viene chiamato “activation model”, partito già all’inizio del 2018. Il nuovo modello prevede la sospensione dei sussidi di disoccupazione per coloro che non ricercano un posto di lavoro abbastanza attivamente. E diverse persone hanno già finito per perdere questi benefici. Proprio in un Paese noto in tutto il mondo per il suo sistema di welfare, con il tasso di povertà e disparità di reddito tra i più bassi al mondo.

Le misure di redistribuzione del reddito sono in effetti un segno distintivo del welfare state scandinavo e godono di un solido sostegno pubblico in Finlandia. Circa il 75% della popolazione vuole infatti che lo Stato diminuisca ulteriormente le disparità di reddito. E nell’ultimo sondaggio generale sul reddito di cittadinanza alla finlandese, fatto in autunno, il 51% degli intervistati ha dichiarato che fornire un reddito di base parziale di 560 euro al mese è stata una “buona idea”, mentre solo il 21% pensava il contrario. D’altra parte, il cosiddetto “activation model” del governo è stato estremamente impopolare tra i finlandesi, non solo tra le persone a cui è stato sottratto il sussidio. Secondo un sondaggio dell’emittente nazionale Yle, il 56% degli intervistati si è opposto alla misura e solo il 36% lo ha sostenuto.

Certo, poi c’è il problema delle coperture. Se il reddito di cittadinanza venisse generalizzato, a lungo termine si porrebbe ovviamente il problema della sua finanziabilità. I critici temono che estendere il reddito di cittadinanza imponga ulteriori aumenti della già alta pressione fiscale su cittadini e imprese. Una volta avuti i risultati nel 2019, comunque, si capirà se ha funzionato o no, e con quale impatto sulle casse statali. E forse anche l’Italia potrà trarne insegnamento. Anche se, precisano già dal gruppo di studio della Kela, nessun modello è esportabile da un Paese all’altro.

Il caso finlandese è un esperimento con pochi eguali nel mondo (a parte dei test di Olanda e Canada), per avere un verdetto servirà ancora tempo.

One Response to Verso l’Incontro-dibattito sul Lavoro del 5 ottobre con Domenico De Masi. Materiali su Reddito di cittadinanza e dintorni

  1. admin scrive:

    La mozione approvata dalla Camera l’11 settembre 2018.
    Atto Camera

    Mozione 1-00018
    presentato da
    D’UVA Francesco
    testo presentato
    Lunedì 16 luglio 2018
    modificato
    Martedì 11 settembre 2018, seduta n. 42
      La Camera,
    premesso che:
    con l’approvazione della legge 15 marzo 2017, n. 33 (legge delega recante norme relative al contrasto della povertà, al riordino delle prestazioni e al sistema degli interventi e dei servizi sociali) e della sua disciplina attuativa (decreto legislativo 15 settembre 2017, n. 147, recante disposizioni per l’introduzione di una misura nazionale di contrasto alla povertà), il Governo Renzi ha istituito una misura unica nazionale di contrasto alla povertà, il reddito d’inclusione (Rei), individuato come livello essenziale delle prestazioni da garantire uniformemente su tutto il territorio nazionale. Lo strumento, secondo un’impostazione selettiva, opera in modo da raggiungere sostanzialmente le famiglie (110.000 famiglie, ovvero 317.000 persone) che risultano in condizione di povertà assoluta, con un importo medio del beneficio mensile pari a poco meno di 300 euro per la generalità della platea, che sale a 430 euro per le famiglie con minori;
    con riferimento all’anno 2017, i dati dell’Istat hanno stimato in povertà assoluta 1 milione e 778 mila famiglie residenti in cui vivono 5 milioni e 58 mila individui; anche la povertà relativa è cresciuta, riguardando 3 milioni 171 mila famiglie residenti (12,3 per cento, contro 10,6 per cento nel 2016), e 9 milioni 368 mila individui (15,6 per cento contro 14,0 per cento dell’anno precedente);
    l’incidenza di povertà relativa si mantiene elevata per le famiglie di operai e assimilati (19,5 per cento) e per quelle con persona di riferimento in cerca di occupazione (37,0 per cento), queste ultime in peggioramento nel suddetto anno di riferimento;
    i dati sulla povertà sono peggiori del previsto: la popolazione esposta a rischio di povertà o esclusione sociale – precisamente pari a 18.136.663 individui – risulta infatti superiore di 5.255.000 unità rispetto al target previsto da Europa 2020;
    l’Italia, peraltro, presenta una disuguaglianza dei redditi maggiore rispetto alla media dei Paesi europei. Con un indice di Gini – tra i principali indicatori utilizzati per misurare questo fenomeno – pari a 0,331, l’Italia occupa la ventesima posizione tra i Paesi della Ue (esclusa l’Irlanda, per la quale il dato non è disponibile), che a sua volta presenta una media dello 0,307. Distribuzioni del reddito più diseguali rispetto all’Italia si rilevano in altri Paesi dell’area mediterranea quali Portogallo (0,339), Grecia (0,343) e Spagna (0,345);
    secondo l’Istituto di statistica, è cresciuta nell’anno in corso la percentuale di under 25 senza un posto di lavoro, con il tasso di disoccupazione giovanile che è salito al 32,8 per cento, in aumento di 0,3 punti percentuali;
    in ambito pensionistico si rileva che su 7,2 milioni di pensionati, il 17 per cento può contare su un reddito sotto i 500 euro, il 35 per cento ha una pensione tra 500 e 1.000 euro e solo il 2,9 per cento ha una pensione che va oltre i 3.000 euro;
    dal punto di vista teorico la scelta tra selettività e universalismo riflette una diversa concezione circa il ruolo dello Stato. Nel caso del cosiddetto Rei, il modello di riferimento è quello di uno stato sociale con compiti residuali, in cui la fornitura delle prestazioni non può che essere subordinata alla prova dei mezzi e il livello dei benefici deve essere appena sufficiente a garantire un livello minimo di risorse;
    i presentatori del presente atto di indirizzo ritengono invece, che uno stato sociale debba avere compiti redistributivi, erogando, in moneta o in natura, prestazioni sociali volte a garantire alla generalità dei propri cittadini un tenore di vita adeguato, comunque commisurato anche a uno standard di povertà relativa;
    una delle principali motivazioni addotte a favore del ricorso a criteri selettivi, ovvero del cosiddetto Rei, è da ricercarsi nella presunta minore onerosità per il bilancio statale unita ad una maggiore efficacia in termini di equità;
    la misura del Rei avvantaggia esclusivamente coloro che si collocano nelle posizioni reddituali inferiori della distribuzione. Viceversa, l’erogazione di un beneficio universale comporta benefici anche per le classi medie;
    il Rei attua misure tradizionali allo scopo di garantire un livello minimo di sussistenza nel caso i singoli individui non dispongano di fonti alternative di reddito. In particolare, tale misura agisce come una sorta di protezione contro il rischio di non lavorare e si configura sostanzialmente come misura redistributiva per combattere esclusivamente la povertà di reddito;
    da un punto di vista legislativo, il diritto soggettivo ad un reddito minimo è evidenziato anche nella Costituzione Italiana. Più precisamente all’articolo 36, primo comma, che recita: «Il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia una esistenza libera e dignitosa». Il concetto di «esistenza dignitosa» è ripreso dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, all’articolo 34, terzo comma. Emerge quindi che la Costituzione Italiana, l’Onu e l’Unione europea concepiscono come fondamentali, gli strumenti in grado di garantire libertà e dignità a tutti coloro che non hanno i mezzi sufficienti per poter avere tali diritti;
    l’Italia, è dotata di un welfare caratterizzato da un ritardo strutturale in relazione ai mutamenti che stanno avvenendo nel mercato del lavoro; il welfare italiano non ha preso, fino ad ora, in considerazione le trasformazioni che riguardano il tradizionale lavoro basato su occupazione a tempo pieno, mansioni per lo più univoche e una carriera definita sul ciclo di vita;
    l’Agenda Europea del 2020, continua ad affermare come obiettivo non ancora realizzato, la piena occupazione nel mercato del lavoro per favorire la coesione economica, sociale e territoriale;
    il reddito di cittadinanza non ha – come ribadito dal Presidente del Consiglio Conte nelle sue comunicazioni in occasione del voto sulla fiducia al Governo – mera natura assistenziale, bensì di reinserimento dei cittadini italiani momentaneamente disoccupati;
    un reddito di cittadinanza avente un importo più elevato rispetto al sussidio economico che il Governo Renzi ha introdotto, potrà determinare persino, nel prossimo futuro, una riduzione degli ammortizzatori sociali presenti nel sistema, andando così a sgravare il bilancio dell’Inps da una serie di costi e, in aggiunta, verrebbe garantita una riduzione dei contributi sociali a vantaggio sia dei salari, sia dei redditi da lavoro;
    in un mercato del lavoro sempre più flessibile, dove diventa sempre più facile perdere e trovare un nuovo lavoro, il reddito di cittadinanza consentirebbe di avere una continuità economica per i periodi in cui non c’è occupazione, e ciò, è positivo innanzitutto per i lavoratori, ma anche per il mercato stesso in un’ottica di flexsecurity connotata dalla flessibilità per chi assume da una parte e da uno Stato in grado di formare, riqualificare e reinserire il lavoratore, incrociando la domanda con l’offerta di lavoro dall’altra;
    sempre per quanto concerne il livello sociale, attraverso una misura, qual è il reddito di cittadinanza, è sicuramente possibile prevenire l’esclusione sociale degli individui con un reddito non continuo ed esiguo;
    con degli strumenti di controllo all’accesso al beneficio economico sarà possibile erogare il reddito di cittadinanza soltanto a quelle persone con cittadinanza italiana che ne hanno davvero diritto in una piena logica di efficientamento delle risorse pubbliche e di giustizia sociale;
    con la presenza del reddito di cittadinanza sarà possibile combattere il lavoro nero, in quanto, dotandosi di un minimo vitale, nel momento in cui si compie il reato, vi sarebbe la sospensione della misura in parola;
    il reddito di cittadinanza permetterebbe di sviluppare riforme e politiche innovative e sostenibili, determinando un possibile cambiamento storico, o comunque divenendo un importante punto di partenza;
    sostenere il reddito di cittadinanza significa superare il concetto di reddito minimo garantito sottoposto ad un elevato livello di condizioni, compresa la prova di eventuali mezzi di sussistenza ed agire contro la povertà e l’esclusione sociale;
    peraltro, il Governo è già al lavoro sulla determinazione di un «salario minimo» finalizzato ad innalzare il livello complessivo di reddito minimo delle famiglie italiane;
    pertanto, vanno adottate alcune iniziative in conformità al contratto per il Governo del cambiamento,

    impegna il Governo:

    1) ad assumere iniziative per istituire il reddito di cittadinanza, quale misura per il contrasto alla povertà, alla diseguaglianza e all’esclusione sociale nonché a favorire la promozione delle condizioni che rendano effettivo il diritto al lavoro e alla formazione, attraverso politiche volte al sostegno economico e all’inserimento sociale di tutti i cittadini italiani in pericolo di marginalità, nella società e nel mondo del lavoro;

    2) a tal fine, a valutare l’opportunità di assumere iniziative per fissare un ammontare, parametrato alla soglia di rischio di povertà, calcolata sia per il reddito che per il patrimonio, alla base della scala Ocse per nuclei familiari italiani più numerosi;

    3) ad adoperarsi, per quanto di competenza, per consentire il reinserimento del fruitore del reddito di cittadinanza, nell’ambito del lavoro, attraverso l’adesione a offerte di lavoro, provenienti dai centri dell’impiego, pena la decadenza dal beneficio, in caso di rifiuto allo svolgimento dell’attività lavorativa richiesta;

    4) a valutare, da un lato, la tipologia di professionalità del lavoratore in questione, dall’altro lato la sinergia con la strategia di sviluppo economico, mirato all’obiettivo della piena occupazione, innescata dalle politiche industriali, volte a riconvertire i settori produttivi, così da sviluppare la necessaria innovazione per raggiungere uno sviluppo di qualità;

    5) ad assumere iniziative per prevedere delle condizioni di accesso al beneficio e dei sistemi di monitoraggio, per i fruitori della misura, tese a garantire l’erogazione del reddito di cittadinanza soltanto ai cittadini italiani che ne hanno davvero diritto;

    6) al fine di poter realizzare tale percorso nonché di potenziare le politiche attive del lavoro, ad assumere le iniziative di competenza per investire in primis nella riorganizzazione e nel potenziamento dei centri per l’impiego, anche attraverso l’adeguamento dei livelli formativi del personale ivi operante al fine di garantire il possesso delle competenze e delle esperienze necessarie per l’efficacia dell’azione di ricollocamento nel mercato del lavoro;

    7) nelle opportune sedi europee, ad adottare iniziative per potenziare, estendere e rendere più efficace ed efficiente la gestione dei fondi che incidono sulle politiche di welfare, finalizzati ad uno sviluppo equo e condiviso sostenibile e che supportino gli Stati membri nei settori ove sono più necessari, prevedendo appositi stanziamenti destinati alla lotta alla povertà e all’inclusione sociale;

    8) a valutare l’opportunità di assumere iniziative per assegnare una pensione di cittadinanza ai cittadini italiani che vivono sotto la soglia minima di povertà, attraverso l’integrazione dell’assegno pensionistico, inferiore a 780 euro mensili, secondo i medesimi parametri previsti per il reddito di cittadinanza.
    (1-00018) «D’Uva, Molinari, Tripiedi, Panizzut, Ciprini, Giaccone, Pallini, Murelli, Davide Aiello, Ziello, Amitrano, Locatelli, Licatini, Segnana, Costanzo, Boldi, Cubeddu, Caffaratto, De Lorenzo, Caparvi, Giannone, De Martini, Invidia, Foscolo, Perconti, Lazzarini, Segneri, Legnaioli, Siragusa, Gabriele Lorenzoni, Tucci, Moschioni, Vizzini, Lorefice, Tiramani, Massimo Enrico Baroni, Bologna, Chiazzese, D’Arrando, Lapia, Mammì, Nappi, Nesci, Provenza, Sapia, Sarli, Sportiello, Trizzino, Troiano, Leda Volpi».

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