Afghanistan.

667fa5fa-5335-493b-96f7-8f621087d6f0 Kabul come Saigon, un paragone che non sta in piedi
di Marino de Medici*

Come già nel 1975, quando Saigon passò nelle mani dell’esercito nordvietnamita, i catastrofisti americani ed europei sputano fuoco e fiamme per il tragico abbandono dell’Afghanistan. Kabul come Saigon, dunque. Una sconfitta “epica” che cancella ogni credibilità dell’America, proclamano i catastrofisti tra i quali si distingue il Corriere della Sera con uno sfogo occultamente anti-americano. Gli storici seri sanno invece che il Vietnam non segnò la fine della credibilità degli Stati Uniti e avvertono che il disastro afghano avra’ uno svolgimento simile. Vero è che come per l’Afghanistan, molti in America chiedevano a gran voce maggiori stanziamenti per difendere il Vietnam, a cominciare da Henry Kissinger che nel Marzo 1975 dichiarava: “Non possiamo abbandonare gli amici in una parte del mondo senza mettere a repentaglio la sicurezza degli amici dappertutto”. Ma quanta e quale credibilità persero in realtà gli Stati Uniti? I nemici dell’America gongolavano e Mosca in particolare si apprestava a raccogliere i frutti della ritirata americana dal Sud-est asiatico. Di fatto, però, gli interessi strategici americani non subivano un crollo, mentre era l’Unione Sovietica ad accusare un colpo micidiale, quello della disfatta in Afghanistan nel 1979.
[segue]
Di fatto, la perdita del Vietnam del Sud non significò la fine della leadership americana ne’ indusse i Paesi in pericolo a ritenere di non potersi più affidare a quella leadership, a tutto scapito del permanere dell’influenza dell’America. Se questa venne in qualche modo compromessa, ciò avvenne in conseguenza dell’invasione dell’Irak senza una provata giustificazione strategica. Resta però il fatto che i Paesi alleati ed amici continuarono ad affidarsi alla protezione garantita dall’America e ad offrire supporto reciproco.
Dopo l’abbandono deciso da Biden, gli Stati Uniti non sono privi di risorse per l’Afghanistan, a cominciare dai mezzi necessari ad isolare politicamente i talebani, incluso il diniego di miliardi di dollari del tesoro afghano congelati da Washington.

La priorità dell’America non è quella di trattare un modus vivendi con i leader talebani, ma di contrastare con tutta la potenza disponibile una resurrezione dell’ISIS e di altre organizzazioni terroristiche. Questa strategia si impone non solo per l’Afghanistan ma per tutto il Medio Oriente dove gli Stati Uniti affiancheranno i Paesi minacciati dal terrorismo ISIS. La perdita dell’Afghanistan non cambia questo scenario, senza riguardo alle lugubri profezie dei catastrofisti. L’America recupererà la sua influenza in uno scenario ben più vasto dell’Afghanistan, come già avvenne nel dopo Vietnam degli Anni Settanta.

Occorre ricordare ai catastrofisti che il disastro nel Vietnam aprì un nuovo capitolo nel confronto globale a favore dell’America che acquistò il partenariato di Paesi che temevano l’effetto domino e agivano di conserva con l’America per contenere il comunismo in tre Paesi asiatici: Cambogia, Laos e Vietnam. Ed ancora, gli storici ricordano che l’apertura di Nixon alla Cina ridusse il confronto cino-americano e fece in modo che la vittoria nord-vietnamita non favorisse un predominio regionale cinese.
Paradossalmente, la fine del coinvolgimento americano nel Vietnam obbligò la leadership americana a rivolgere l’attenzione ad altri temi strategici, dall’integrità delle alleanze al negoziato di disarmo con Mosca. Dai difficili frangenti della sconfitta sud-vietnamita finì con l’emergere una più produttiva “soft power” americana. Questa è l’ora di rientrare in gioco con la rinuncia alle guerre senza fine, le “forever wars” che succhiano la capacità dell’America di contribuire al progresso globale.

Come già nel dopo Vietnam, l’America ha la possibilità di plasmare un ordine regionale tra Paesi consociati del Sud-est asiatico che non hanno interesse alcuno a vedere l’Afghanistan nel ruolo di “sponsor” di un nuovo terrorismo. E’ fortemente improbabile infatti che l’Afghanistan talebano possa trasformarsi in una fiorente democrazia. Tanto vale cogliere la palla al balzo dell’uscita da una guerra interminabile e far leva sugli interessi nazionali delle potenze regionali. Come avverte lo storico Mark Atwood Lawrence, la sfida insita nello sforzo di Washington di recuperare la sua posizione globale non proviene da leader stranieri improvvisamente turbati da dubbi circa l’affidabilità degli Stati Uniti ma da una problematica interna negli Stati Uniti. Basti pensare all’improntitudine con cui il leader repubblicano al Senato, Mitch McConnell, ha definito il ritiro dall’Afghanistan “una delle peggiori decisioni di politica estera nella storia americana”.
McConnell tenta con ogni mezzo di riconquistare il Senato per i repubblicani nelle prossime elezioni di mid-term. Per lui ed i suoi soci repubblicani, la soluzione era sostanzialmente quella di “kick the can” ossia di calciare la lattina lungo una strada senza sbocco. La massa degli americani sa invece che Biden ha preso la decisione giusta. Purtroppo la storia è piena di casi in cui i leader pagano il prezzo di decisioni giuste. E’ del tutto possibile che Joe Biden rientri in questa categoria.
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4 Responses to Afghanistan.

  1. Franco Meloni scrive:

    Nicolò Migheli sulla sua pagina fb.
    I trumpiani de noartri sono scatenati contro Biden e il ritiro disastroso dall’Afghanistan. Però dimenticano che gli accordi di Doha li ha voluti il biondo, comprese le clausole segrete che saranno di pubblico dominio nel 2046. Biden quelle intese le ha condivise e non ha cambiato manco il plenipotenziario che trattava con i talebani. I trumpiani dimenticano che c’è molta continuità nella politica estera degli Usa più di quanto non si creda. Biden nonostante gli avvertimenti del Pentagono ha voluto che quelle intese venissero rispettate compresa la data del 31 di agosto come termine ultimo. Però se quella ritirata è stata così disastrosa lo si deve al presidente o alle strutture tecniche che non hanno fatto bene il loro lavoro? Certo Biden ormai è un’anatra zoppa ma, credetemi, con il biondo non sarebbe andata meglio.

  2. admin scrive:

    Lettera a Marino de Medici.
    Caro Marino,
    ho letto con attenzione il tuo articolo, che trovo molto interessante. Ti dico subito che non ho alcun titolo per argomentare in modo diverso da quanto tu fai con la riconosciuta competenza e conoscenza dei fatti americani. Posso solo avanzare qualche interrogativo, come cerco di fare, più avanti. Ma prima di tutto osservo come la tua difesa dell’operato di Biden in certa parte è convinta “partigianeria”. E come non condividere questo sentimento dopo i quattro anni del pessimo Trump che tu ci hai insegnato a disvelare in tutte le sue manifestazioni, spesso criminali? Trump, se fosse persona seria dovrebbe solo tacere e portare rispetto al suo, nonostante tutto, Presidente! Proseguendo. D’accordo con la tua analisi: gli Stati Uniti d’America allo stato non avevano altra scelta che uscire da questa avventura militare durata vent’anni, di cui condividono le responsabilità con molti paesi: tutto l’Occidente (compresa l’Italia) e oltre. Forse qualcosa di diverso Biden l’avrebbe potuta fare, modificando in parte gli accordi di Trump con i talebani, per un’uscita più “garantita”; ma questo lo si può dire solo con il “senno di poi”. Ora, e questo far parte dei miei interrogativi: che fare? Ecco: la mia paura è che gli USA si muovano soprattutto per trovare un nuovo equilibrio che si basi sul riaffermare la loro leadership nella zona, seppure con diverse modalità. Con i talebani occorre comunque trovare una modalità relazionale che non li spinga verso il terrorismo dell’Isis e di altre formazioni estremistiche. Gli Stati Uniti sono il soggetto più importante, attrezzato e titolato per guidare – non in solitaria ovviamente – il mondo verso una nuova prospettiva, che è quella della Pace universale, dove tutte le Nazioni possano avere riconosciute le diverse specificità e ruoli. Ovviamente oggi come oggi si tratta di un approccio utopistico. Ma va ostinatamente perseguito. Perchè gli strumenti giuridici – seppure indeboliti dalla poca pratica da parte degli Stati – ci sono, eccome, creati dai Governi democratici dopo il Secondo conflitto mondiale: in primis le Nazioni Unite. Da rafforzare. Un ruolo dovrebbe certamente assumere l’Europa (UE), oggi solo potenza economica senza capacità di esprimere una propria politica a 360 gradi. Sarebbe importante un nuovo protagonismo dell’Europa per un riequilibrio con le altre potenze, quelle già consolidate, come la Cina, e quelle emergenti. Io sono cattolico (come Biden) e per quanto riguarda la ricerca dei Valori, la Pace in primis, sono in sintonia con gli insegnamenti evangelici di Papa Francesco. A proposito di Utopia, ho aderito a un movimento spontaneo che si chiama “Costituente della Terra”, che pubblicizzo anche nella piccola News che dirigo (http://www.aladinpensiero.it/?p=126490). In conclusione. Sì, ritengo che l’avventura ventennale degli Usa e degli altri Stati occidentale in Afghanistan sia stata complessivamente un fallimento, da analizzare ulteriormente e utilizzare come esperienza (purtroppo anche con le tragedie che ha comportato) per imboccare nuove vie, senza cadere nelle posizioni catastrofiste, che tu giustamente critichi. I fallimenti sono un dato ricorrente nella Storia dell’Umanità, e ne cospargono il cammino. Tuttavia è fondamentale che non ci facciano tornare indietro, ma, seppure faticosamente e a tratti lentamente, ci consentano di andare avanti.
    La direzione? Quella tracciata dall’Onu con l’Agenda per lo Sviluppo Sostenibile 2030. Con Biden gli Usa sono tornati a guidare questo processo. Non sarà la caduta di Kabul a fermarlo. Speriamo proprio!
    Grazie e Saludos
    Franco Meloni

  3. admin scrive:

    Su huffingtonpost
    “Biden supererà presto la crisi afghana. E la polpetta avvelenata sarà di Russia e Cina”
    Il gen. Carlo Jean controcorrente: “Il presidente Usa non poteva fare altro. Per i talebani ora è alto il rischio di una guerra civile
    https://www.huffingtonpost.it/entry/biden-superera-presto-la-crisi-afghana-e-la-polpetta-avvelenata-sara-di-russia-e-cina_it_612e4403e4b05f53eda00b9d

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