“BINTITRES” – Buona la prima.

img_4719Ridere? Sì! Anche ridere. Ieri sera, nella splendida cornice del Teatro fortino di Monte Mixi, per ascoltare, per vedere, diciamo pure per godere della verve di Elio Turno Arthemalle. Ché lo conosciamo, da tempo, e tutte le volte che andiamo a vederlo, o lo ascoltiamo alla radio, possiamo immaginare cosa ci toccherà.
Ma le variazioni sul tema, a volte, sono sorprendenti. Ieri, per esempio, si è esibito in tono dimesso, in tonalità minore. Luce naturale, scenografia assente. Oltretutto, almeno nel primo tempo dell’atto unico, ha persino recitato contro sole, da doversi proteggere la vista con un cappellino da golf.
Il tema: classico, storie cagliaritane. Avremmo potuto aspettarci la congiura di Palabanda, la saga di Ottone Baccaredda, o una rivisitazione dei piccioccus de crobi. Classici. Ed invece, eludendo la censura del proprio Super Io, Elio Arhemalle è ritornato indietro nel tempo di neppure mezzo secolo. Ventitrè, meno altri ventitrè anni. Ritrovandosi, poco più che bambino, in balia di una periferia, urbana, che dopo la tragedia della guerra ed il miracolo economico, si infilava negli anni di piombo.
Era in avanzata fase di gestazione, in quegli anni, il progetto della futura città turistica, il disegno di una facciata perbenista, dove l’apparenza sia ordine ed armonia, e tutto ciò che potrebbe disturbare la vista della cognata …. beni accuau in unu corrunconi. Nei ghetti di periferia, insomma, dove le persone perbene fanno ingresso soltanto quando occorre …
E così, anziché raccontarci con ordine la storia della città, come probabilmente avrebbe fatto Alessandro Barbero – che ancora gli fischiano le orecchie – si è divertito a riportare alla luce storie, anche tremende, che pensavamo dimenticate. Arrabiu!
Ventitré anni, più altri ventitré, era quando si poteva morire ammazzati senza neppure sapere il perché, com’era capitato a Wilson Spiga il 19 dicembre del 1976, colpito alla schiena dalle forze dell’ordine per non esseri fermato all’alt con la sua moto senza targa, o a Giuliano Marras, 15 anni, l’11 gennaio dell’anno seguente, colpito da una raffica di mitra dalla polizia mentre cercava di fuggire, a piedi, dopo un furto.
Elio Arthemalle, insomma, sorridendo, ma non troppo, ha persino tentato di farci credere che in un momento folle della nostra storia, sia stata data persino licenza di uccidere – la legge Reale – in nome del mantenimento dell’ordine costituito. Ha tentato di farci credere che ci sia stato un disegno nello svuotare i quartieri storici, i sottani pieni di vita, per creare un deserto nel centro della città che si ridesta, tutte le notti, per rappresentare una festa disinibita. Lontano dai ghetti delle periferie, dove gli esclusi si organizzavano, autonomamente, creavano scuole popolari, comitati di quartiere. Sinché è stato possibile. Poi molte cose son cambiate. Alcune abitudini non si sono perse, come quella di limitarsi a mettere ordine dove dovrà passare la cognata: “tutto il resto non importa che si perda …”.
Quando poi è calato il sole, dietro le torri nobili della città, Elio si è finalmente liberato del cappellino da golf, ma non ha cambiato registro. Ormai il danno era fatto. Aveva, ha riaperto pagine poco sfogliate della nostra storia. Di una storia recente non ancora omologata e a rischio di oblio. Grazie!
Una storia comune a molti, tanto che durante la rappresentazione ha persino dialogato con qualche spettatore.
Una storia che forse non dovremmo lasciare che si perda.

Sì. Qualche ilarità avrebbe potuto suscitare la risata. Ma il pubblico sembrava ormai conquistato dal retrogusto di una storia che sembrava irreale e che, invece, si insinuava, subdolamente, in qualche archivio della nostra memoria.
Peccato per chi se l’è persa.
Gianni Loy
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