La Sardegna e la bioeconomy: la chimica verde

chimica-verde-Maste-Unissape-su-limoni-IMG_4811-1024x575-150x150sedia-van-gogh-4-150x150-bis1di Vanni Tola
Prosegue la nostra analisi delle comunicazioni presentate nel convegno “ Il Nord Sardegna polo europeo della chimica verde” organizzato a Sassari, nello scorso mese di Settembre, dal Consorzio provinciale industriali e dal Dipartimento di Chimica e Farmacia dell’Università. Ci soffermeremo, questa volta, sull’analisi sviluppata da Gianni Girotti, direttore ricerca e sviluppo della società Versalis, la più grande azienda chimica italiana. La società è attiva nella produzione di quasi tutte le plastiche tradizionali e dei monomeri di partenza e opera con tredici siti produttivi localizzati in Italia e in Europa. Da qualche anno Versalis è impegnata in una radicale trasformazione caratterizzata da tre direttrici fondamentali:
- Una forte internazionalizzazione dell’impresa con la creazione di joint venture con partner in Asia per creare, in quell’area, grandi complessi petrolchimici per la produzione di elastomeri operando con tecnologie proprietarie;
- La realizzazione di consistenti investimenti finanziari negli impianti europei finalizzati principalmente al recupero dell’efficienza e alla riduzione dei consumi energetici;
- L’intervento nella chimica verde.
Per comprendere le trasformazioni in atto nel comparto chimico è necessario confrontare una raffineria tradizionale con una bioraffineria. La differenza principale, quella maggiormente evidente, è rappresentata dal fatto che la raffineria tradizionale opera con materie prime sostanzialmente composte da carbonio e idrogeno mentre la bioraffineria opera con materie prime che contengono, oltre carbonio e idrogeno, anche l’ossigeno. In un impianto petrolchimico si opera con materie prime caratterizzate da un determinato livello di complessità molecolare. Le molecole complesse vengono distrutte completamente per essere scomposte in piccoli “mattoncini” che sono poi ricombinati per creare nuove strutture molecolari molto complesse. Un procedimento molto lungo, in termini di consumo energetico. La bioraffineria invece si caratterizza per il fatto che si parte da materie prime che hanno una complessità sicuramente superiore a quelle utilizzate nel ciclo tradizionale le quali, però, non subiscono un processo di distruzione o scomposizione totale ma soltanto parziale. Cosi facendo si salva una parte consistente del valore energetico contenuto nelle molecole di partenza utilizzate per produrre i materiali biologici. Questo concetto, esposto in estrema sintesi, sta alla base del procedimento della nuova chimica e apre la strada alla necessità di sviluppare un’altra mentalità produttiva nel settore e una differente piattaforma tecnologica. Un’innovazione di grande portata con la quale si stanno misurando ricercatori di tutto il mondo e che modificherà radicalmente il concetto stesso di “fare chimica”. Va pure ricordato che quando si parla di bioraffineria ci si riferisce a una tecnologia che muove i primi passi. Esistono già una serie di esempi produttivi indicativi ma siamo certamente nella fase tecnologica ascendente del nuovo processo tecnologico. Non esiste a tutt’oggi una bioraffineria che produca prodotti chimici da una biomassa utilizzando tutte le potenzialità della materia prima impiegata, cioè completando l’intero ciclo produttivo. Molto opportunamente la Comunità europea ha colto la necessità di destinare consistenti interventi per il sostegno e lo sviluppo della bioeconomy e della chimica verde.
(segue)
Nella seconda parte della sua relazione il direttore della ricerca e sviluppo di Versalis ha presentato in sintesi alcuni importanti progetti di chimica verde che la società sta sviluppando nel mondo. La società Versalis ha scelto di avviare attività di chimica verde che abbiano un collegamento diretto con il proprio business tradizionale, per sfruttare al meglio le strutture commerciali attive e le conoscenze tecnologiche e progettuali acquisite. Uno dei principali progetti di chimica interessa il settore della gomma nel quale Versalis è impresa leader. Circa il 70-75% delle tipologie di gomme esistenti sono destinate alla produzione di pneumatici. In uno pneumatico, per ogni kg di gomma sintetica presente ce n’è uno di gomma naturale. Questa proporzione di gomma naturale cresce con l’aumento le dimensioni dello pneumatico. La gomma naturale è insostituibile in questo prodotto per il suo ruolo fondamentale di dissipatore di calore. La produzione di gomma naturale nel mondo è di circa 10,5 milioni di tonnellate, provenienti per il 93% dall’Asia e per il restante 6-7% dall’Africa. La gomma, è noto, si ricava, sotto forma di lattice, da alcune piante tropicali (in particolare Hevea brasiliensis). Esistono però anche altre possibilità di produrre la gomma naturale utilizzando piante alternative dalle quali si può ricavare una gomma naturale abbastanza pura. Tra queste le più importanti sono il Guayule e il Tarassaco. Il Guayule (Parthenium argentatum) è un arbusto non destinato all’uso alimentare, che richiede poca acqua, nessun pesticida e rappresenta una fonte alternativa di gomma naturale con elevate proprietà ipoallergeniche che la differenziano della gomma comune. Tra le sue applicazioni attuali la principale è la produzione di materiali medicali (es. guanti da chirurgo). Versalis e Yulex Corporation, azienda produttrice di biomateriali a base agricola, hanno firmato una partnership strategica per la produzione di bio gomma a base di Guayule e per la realizzazione di un complesso produttivo industriale nell’Europa del Sud. L’accordo interesserà l’intera catena produttiva, dalla coltivazione all’estrazione della bio gomma, fino alla costruzione di una centrale elettrica a biomassa. Versalis realizzerà così materiali per diverse applicazioni, inizialmente nel settore medicale ma con l’obiettivo per il lungo periodo di ottimizzare il processo produttivo per raggiungere l’industria degli pneumatici. Al momento è in corso in Europa la sperimentazione per arrivare alla definizione di un protocollo agronomico per coltivare il Guayule nelle nostre latitudini. Si sono attenuti finora buoni risultati nelle prime fasi del processo di coltivazione e impianto con una percentuale di attecchimento delle piante intorno al 97 % (sperimentati su una superficie di dieci Ha). Ora si attende di conoscere qualcosa in più sulla capacità di questa pianta tropicale di superare positivamente i nostri inverni.
Altro esempio di chimica verde è un po’ differente dal precedente ma a esso collegato. E’ un progetto per produrre biobutadiene. Versalis è produttrice e utilizzatrice di butadiene, un importante prodotto dell’industria chimica. Tale prodotto si ricava finora esclusivamente da sostanze fossili. La scommessa del progetto consiste nel riuscire a ricavare il butadiene da biomassa. Versalis ha creato una joint venture ad hoc con la società Genomatica (società americana attiva nel campo delle biotecnologie) per sviluppare un processo completamente svincolato da fonti fossili. Si partirà da biomasse, preferendo quelle sulle quali si sta già lavorando quali il Guayule e il Cardo, per trasformarle in zuccheri di adeguata qualità. Seguirà uno stadio di fermentazione degli zuccheri per ottenere la formazione di un prodotto intermedio dal quale, con una serie di operazioni che tralasciamo di descrivere, si ottiene il biobutadiene. Questi due progetti, i più importanti per Versalis, stanno assorbendo la maggior parte degli investimenti che la Versalis ha destinato alla chimica verde. Esistono poi una serie di altri progetti ugualmente importanti relativi al comparto chimica verde tra i quali rientra anche il progetto Matrìca di Porto Torres. Le caratteristiche tecniche del progetto sono note, Aladinews ne ha riferito in precedenti articoli. Ci limitiamo quindi a riassumere soltanto alcuni parametri che hanno condotto alla definizione del progetto. Un impianto petrolchimico con inefficienza strutturale conclamata (tecnologia ormai inadeguata e altri problemi legati anche alla territorialità) con circa 600 lavoratori da reimpiegare in nuove attività e una perdita annua di circa 800 milioni nel periodo 2002-2012. Aspetti positivi sono invece rappresentati da una relativa maggiore disponibilità di terreni incolti e abbandonati della Sardegna e da un interessante aumento della richiesta di bioplastiche a livello mondiale. Il progetto Matrìca ha tre soggetti principali. Enipower che realizzerà la centrale a biomassa, Syndial che curerà le bonifiche ambientali del sito petrolchimico e la joint venture Matrìca (con un ruolo importante di Novamont) per la produzione di polimeri per la bioplastica partendo delle coltivazioni di cardo.
Matrìca realizzerà sette impianti su tre fasi, produrrà circa 350 mila tonnellate all’anno di prodotti vari quali biomonomeri, bioplastiche, biolubrificanti, oli estensori per gomme. Occuperà, a regime, più di 300 operai nella bioraffineria e un considerevole numero nell’indotto. La prima fase del progetto dovrebbe essere operativa entro il primo quadrimestre del 2014. Tale progetto si completa con la creazione a monte di una filiera agricola per rifornire la bioraffineria con l’olio vegetale necessario, filiera agricola della quale si occupa principalmente Novamont. Il prodotto principale rimane il monomero per le bioplastiche ma si produrranno anche biolubrificanti e oli estensori. I componenti speciali per biolubrificanti contenenti elementi prodotti da Matrìca sono stati testati su motori diesel e benzina con risultati molto positivi ed hanno finora superato positivamente tutti i test di validazione. Per quanto concerne invece la produzione di oli estensori per gomme è stato realizzato, con prodotti Matrìca, un olio vegetale che consente di aumentare le proprietà di rotolamento degli pneumatici senza peggiorarne la tenuta di strada. Finora i due parametri erano in contrasto fra loro, migliorandone uno diminuiva l’altro. Tra gli altri aspetti positivi del progetto è indicata poi la possibilità di creare sviluppo e nuova occupazione con il processo di “discesa a valle” dell’impianto Matrìca che potrebbe attirare nell’area industriale di Porto Torres una notevole quantità d’industrie collaterali per la lavorazione del monomero della bioplastica per realizzare differenti tipologie di materiali e prodotti bio molto richiesti nel mercato internazionale. E’ questa la scommessa in atto nel Nord Sardegna che naturalmente dovrà misurarsi con una serie di problemi, di non poco conto quali l’integrale bonifica dell’area petrolchimica, i controlli sull’impatto ambientale della bioraffineria, una diffusa e giustificata diffidenza nei confronti dell’Eni e dell’industria chimica in considerazione dell’elevatissimo inquinamento prodotto nel nord Sardegna dall’industria chimica tradizionale, i dubbi sulla possibilità e opportunità di mettere a coltura vaste aree agricole abbandonate per la produzione del cardo e, aggiungerei, l’inadeguatezza manifesta della classe politica locale e regionale nel controllare, indirizzare e governare grandi progetti di sviluppo.

One Response to La Sardegna e la bioeconomy: la chimica verde

  1. admin scrive:

    RICEVIAMO DAL MISE

    COMUNICATO STAMPA

    Energia, Zanonato e Orlando firmano decreto su bioraffinerie

    Roma, 10 ottobre 2013- Promuovere la realizzazione di nuovi impianti di bioraffinazione. È la finalità del decreto ministeriale firmato dai Ministri dello Sviluppo Economico Flavio Zanonato e dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare Andrea Orlando.

    “Questo decreto – commenta Zanonato – semplifica notevolmente le procedure per giungere alle autorizzazioni degli impianti di produzione di biocarburanti, le cosiddette bioraffinerie, col duplice scopo di promuovere queste produzioni in Italia e di facilitare gli investimenti nel settore, consentendo di estendere ad altri siti le esperienze costruttive e di esercizio acquisite in impianti già autorizzati”.

    “Ci attendiamo ora – aggiunge – la concreta individuazione dei nuovi siti dove realizzare tali impianti e la partenza dei nuovi investimenti che il settore ha indicato come fattibili subito e che sono stati a base della decisione del Governo di introdurre questa forte accelerazione dei processi autorizzativi”.

    “L’esigenza di emanare un decreto che fissi norme certe per le bioraffinerie,con particolare focalizzazione verso quelle che ottimizzano la produzione di biocarburanti di seconda generazione – sottolinea Orlando – è in linea con le recenti norme comunitarie che stanno spingendo verso la limitazione dell’utilizzo dei biocarburanti tradizionali”.

    “Il ricorso a questa tipologia di biocarburanti – conclude il titolare dell’Ambiente – è la soluzione per arrivare al raggiungimento del target del 10% al 2020 previsto dalla direttiva europea. Il Governo sta lavorando per attuare il piano, approvato nei mesi scorsi dal Cipe, per la decarbonizzazione dell’economia e la riduzione delle emissioni di CO2, incentivando misure finalizzate appunto alla promozione delle fonti rinnovabili e dell’efficienza energetica, della mobilità a basse emissioni, della chimica verde e dei biocarburanti di seconda generazione”.

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