Chimica verde, quando i conti non tornano

di Vanni Tola

 
Chimica verde, quando i conti non tornano
L’aspetto principale del progetto “chimica verde” – che per altri versi rappresenterebbe una valida alternativa per il recupero e la riconversione industriale dell’area del petrolchimico di Portotorres – è rappresentata dal fatto che i conti non tornano. Procediamo con ordine partendo da una considerazione fondamentale. Portotorres e Sassari sono individuate da un rapporto del Ministero della salute del 2011 come siti d’interesse nazionale (SIN) per le bonifiche, cioè aree nelle quali il livello di inquinamento dell’aria, dei suoli e delle falde, determinato dalla presenza industriale, mette a serio rischio la salute delle popolazioni. L’area di Sassari e Portotorres rientra tra i quarantaquattro siti classificati come zone a maggior rischio di tumore in Italia. Portotorres in particolare ha fatto registrare un eccesso di tutte le principali cause di morte, oltre i tumori, una serie di altre patologie riguardanti i principali apparati del corpo umano. E’ evidente che, chimica verde o no, nell’area resta drammaticamente urgente un intervento di radicale bonifica e risanamento dell’ambiente non più rinviabile i cui costi dovrebbero, per gran parte ricadere sui soggetti che li hanno determinati, in primo luogo il gruppo Eni. Per essendosi registrato un pressoché unanime consenso sulla drammaticità della situazione interventi di bonifica non ne sono ancora stati avviati. E’ in questo contesto che si colloca e si materializza il progetto di “chimica verde” di Matrìca. Un intervento di riconversione industriale del polo petrolchimico che vede tra i protagonisti il gruppo Eni, il gruppo Novamont e altri, per la realizzazione di un nuovo stabilimento che dovrebbe produrre derivati di oli vegetali naturali non modificati, con un impianto di produzione di oli lubrificanti biodegradabili da materie prime derivate da fonti rinnovabili, funzionalmente integrati e aventi capacità produttiva rispettivamente di 40.000 tonnellate/anno di monomeri biodegradabili e di 30.000 tonnellate/annue di oli lubrificati biodegradabili. Gli interventi di risanamento ambientale in corso sono irrilevanti mentre procedo l’ avvio del progetto Matrìca. Si tenta cosi di far credere che la realizzazione del progetto di chimica verde comporti, di per se, la bonifica e il risanamento ambientale. Cosi non è. Una delle questioni più spinose riguarda, infatti, gli impianti petrolchimici dell’Eni. Per essi e per le aree nelle quali gravitano, non sarebbe, infatti, previsto alcun intervento di bonifica integrale ma semplicemente degli interventi di riconversione degli impianti per adeguarli alle nuove produzioni. Ne deriva che gli interventi di bonifica ambientale, qualora fossero attuati, sarebbero limitati soltanto alle aree circostanti gli impianti e alle pertinenze, sarebbero cioè molto più limitati ( e meno onerosi per il gruppo Eni) di quanto necessario. Altri conti che non tornano. Un terzo del combustibile impiegato per far funzionare l’impianto di chimica verde sarebbe costituito dal FOK un combustibile di origine fossile residuo del processo industriale di produzione dell’etilene, molto pericoloso e cancerogeno, del quale esiste una consistente disponibilità nell’area industriale. Una sostanza che, in pratica, sarebbe smaltita bruciandola nei nuovi impianti “ecologici” della chimica verde. E i conti che non tornano non finiscono qui. Il restante 70% del combustibile necessario per il funzionamento degli impianti di chimica verde dovrebbe essere fornito da biomassa naturale. Secondo stime della Facoltà di Agraria in Sardegna esisterebbe un potenziale di biomassa disponibile di circa 300.000 tonnellate che potrebbe essere sufficiente per raggiungere una produzione di potenza pari alla metà di quella necessaria per il progetto Màtrica. Per reperire la parte mancante di biomassa bisognerebbe quindi destinare a coltivazioni di mais non meno di 10.000 Ha e 230.000 per le coltivazioni di cardo. Cioè bisognerebbe mettere a disposizione, per la produzione della biomassa necessaria alla nuova chimica, una superficie agraria superiore a quella ora impegnata in Sardegna per l’attività agricola. E’ evidente che non può essere questa la soluzione. E’ altrettanto evidente che l’impianto di chimica verde di Portotorres avrà bisogno di altre fonti di alimentazione per utilizzare le potenzialità per le quali è stato progettato. A questo punto non occorre certo la sfera di cristallo per comprendere in quale direzione si andrà. Sarà quindi necessario utilizzare dell’altra biomassa, quella ricavabile dalla parte biodegradabile dei rifiuti solidi urbani. Cosi l’impianto industriale per la produzione dei prodotti di chimica verde diventerebbe, anche se non soprattutto, un grande impianto per lo smaltimento della parte organica dei rifiuti solidi urbani dell’intera area con tutti i problemi connessi allo smaltimento dei rifiuti nel rispetto dell’ambiente in un’area il cui equilibrio ecologico è già abbondantemente alterato. E’ quindi urgente ottenere fin da subito le necessarie assicurazioni e garanzie sull’avvio degli interventi di bonifica del sito industriale di Portotorres e delle aree limitrofe (mare compreso) indipendentemente dall’attivazione dell’attività del progetto Matrìca. Come pure è necessario e urgente ottenere impegni precisi sul tipo di alimentazione degli impianti per la produzione di bioplastica soprattutto con riferimento alla possibilità che gli stessi non si trasformino in un mega impianto per lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani.

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ULTIMORA

13.03.2013. Apprendiamo che durante la riunione del Comitato dell’Area di crisi della Provincia di Sassari, svoltosi il 12 c.m. L’Eni ha annunciati che rinuncerà ad utilizzare il Fok per l’alimentazione della caldaia secondaria del l’impianto Matríca sostituendolo con il GPL. [Vedi commento da La Nuova Sardegna del 14.03.13]

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Approfondimenti su Aladinews
Verso il convegno su le prospettive dell’agricoltura sarda

3 Responses to Chimica verde, quando i conti non tornano

  1. admin scrive:

    Da La Nuova Sardegna di GIOVEDÌ, 14 MARZO 2013

    Enipower assicura: non bruceremo rifiuti
    L’ad Milani sostiene che i progetti di Porto Torres sono stati modulati in base alla volontà del territorio

    chimica verde

    di Pinuccio Saba
    SASSARI L’incontro che si è tenuto nella sede della Provincia di Sassari fra il Comitato dell’area di crisi e i rappresentanti dell’Eni e delle società controllate ha portato una prima buona notizia e cioè che nella caldaia di riserva della centrale elettrica che alimenterà gli impianti Matrìca verrà utilizzato solo gpl. Ma dall’amministratore delegato di Enipower GiovanniMilani arriva anche un’altra rassicurazione e cioè che i gruppi principali della termocentrale saranno alimentati solo da biomasse. «Sì e per una ragione semplicissima – spiega il manager dell’Eni –: il progetto è calibrato sulle biomasse e non su altri combustibili, un progetto inserito nel piano generale della chimica verde che prevede quasi esclusivamente l’utilizzo di materie prime di origine vegetale». Il “quasi” è relativo all’unica linea di produzione della chimica secondaria ancora attiva di Polimeri Europa e cioè quella delle gomme che verranno utilizzare nelle produzioni di Matrìca. «Anche i tempi per la progettazione, la realizzazione e l’entrata in funzione della centrale – aggiunge Giovanni Milani – sono “sincronizzati” con l’entrata a regime delle produzioni agricole che dovranno alimentare le linee di produzione di Matrìca». L’amministratore delegato di Enipower chiarisce («ancora una volta») che non c’è alcuna intenzione di trasformare la centrale in un termovalorizzatore, cioè un inceneritore per i rifiuti. «Nella richiesta di autorizzazione che abbiamo presentato alla Regione Sardegna è scritto molto chiaramente che la centrale sarà alimentata esclusivamente da biomasse – sottolinea Giovanni Milani –. E a questo punto spero proprio che la Regione inserisca nell’autorizzazione (come abbiamo richiesto) l’espresso divieto all’utilizzo di rifiuti». Per Enipower il progetto complessivo di Matrìca segna un radicale cambiamento di rotta non solo nella tipologia delle produzioni, ma anche nei rapporti con i territori che ospitano gli impianti di produzione. «Abbiamo sempre detto che non ci saranno più iniziative industriali senza il gradimento dei territori – aggiunge Milani – e l’ostilità nei confronti di un termovalorizzatore è un fatto noto. Abbiamo rimodulato i nostri progetti in base alle volontà delle comunità che ci ospitano e adesso non abbiamo proprio alcuna intenzione di interrompere la collaborazione con i territori e le loro amministrazioni». Le polemiche di questi giorni sono rimbalzate fino a Roma e Milano dove ci sono le sedi di Eni ed Enipower. Problemi che possono essere affrontati nel corso di un confronto pubblico «al quale Enipower non si sottrarrà di sicuro e che anzi – conclude Milani – auspichiamo in tempi brevi».

  2. [...] Chimica verde. La centrale elettrica di Matrìca non diventerà un termovalorizzatore per rifiuti. [...]

  3. admin scrive:

    Da L’Unione Sarda di martedì 19 marzo 2013
    I risultati del primo anno sui campi sardi. Riflessi sulle filiere ovina e caprina. L’Università: ci crediamo Matrìca, avanti tutta con il cardo selvatico La società: esperimento riuscito con la coltivazione sui 15 ettari della Nurra
    Terreni marginali, non utilizzabili in agricoltura per produzioni destinate all’alimentazione, rappresentano la scommessa di Matrìca, la società per la chimica verde nata a Porto Torres dall’alleanza fra Eni e Novamont.
    Su quindici ettari della Nurra, a breve distanza dal cimitero di ferro del petrolchimico, è stata avviata nell’autunno 2011, in forma sperimentale, la coltivazione del cardo selvatico.
    Cioè il carburante che alimenterà la bioraffineria di Matrìca destinata a produrre intermedi chimici e bioplastiche. «Se tutto andrà per il meglio partiremo a fine anno, massimo ai primi del 2014» ha detto Catia Bastioli, ad di Matrìca e presidente di Novamont.
    I NUOVI CAMPI L’esperimento è perfettamente riuscito sia nella parte dove la semina ha fatto crescere quattro piante per metro quadrato, ancor meglio in quella con otto cardi per metro quadrato. Piante più compatte, minor spazio per gli infestanti. Salvatore Raccuia, del Cnr di Catania, ha seguito la sperimentazione iniziata nella Nurra e proseguita con la semina di altri 180 ettari, nella zona di Ottana, non più coltivati da anni: «Su questi terreni il frumento non è più remunerativo» ha detto Raccuia.
    Invece la produttività del cardo al primo anno di coltivazione nei campi sardi è stata di circa 11 tonnellate-ettaro di biomassa e 0,76 tonnellate-ettaro di seme.
    Alla visita nei campi della Nurra erano presenti rappresentanti della Coldiretti e della Confederazione italiana agricoltori. «Il cardo non è soltanto biomassa e olio – ha spiegato Mauro Marchetti del Cnr di Sassari – ma contiene anche sostanze ad alto valore aggiunto, come la farina proteica e il nettare che, escluse dal processo produttivo, diventano di grande importanza per le filiere ovina e caprina e per quella del miele.
    IL FUTURO Battista Cualbu, presidente della Coldiretti, vede nuove prospettive per l’agricoltura: «Lo confesso, ero scettico ma ora ci credo. Abbattere i costi del mangime è per noi fondamentale. Potremo utilizzare la farina proveniente dal cardo mescolandola con il mais e altre sostanze». La collaborazione con gli agricoltori è ritenuta da Matrìca fondamentale. In Umbria, un’analoga sperimentazione, fatta però con il girasole, avviata nel 2008, ha consentito di costituire la cooperativa Sincro, presieduta da Albano Agabiti, in cui lavorano circa 700 agricoltori.
    Per Catia Bastioli non sarà necessario coltivare più di 10-15 mila ettari di cardi visto che la produttività è fra 18-20 tonnellate: «Se gli agricoltori ci crederanno riusciremo a recuperare aree abbandonate e a realizzare una filiera agricola collegata alla bioraffineria. Tutto prodotto in casa».
    L’INCONTRO I risultati del primo anno di coltivazione del cardo avviata da Matrìca sono stati illustrati ieri a Porto Torres. Primo relatore Marco Versari, consigliere di Matrìca e responsabile marketing di Novamont, che si è soffermato sullo stato di avanzamento della sperimentazione aprendo poi la strada agli interventi di tecnici e studiosi del Cnr di Sassari e Catania, della Facoltà di Agraria dell’Università di Napoli «Federico II» e dell’Unità di ricerca per l’ingegneria agraria di Roma.
    In apertura, i saluti del rettore dell’Ateneo di Sassari, Attilio Mastino. Un intervento atteso il suo perché un mese fa il direttore del Dipartimento della Facoltà di Agraria aveva preso le distanze da Matrìca proprio in relazione alla sperimentazione in corso in cui l’Ateneo non era stato coinvolto.
    Pur con qualche accento critico per i ritardi nella definizione dei protocolli, Mastino ha detto di credere al progetto Matrìca «che offre speranze concrete di uscire dal deserto di iniziative in cui vegeta il territorio». Confermata la disponibilità dei ricercatori di Agraria, Chimica e Farmacia a collaborare con quelli di Matrìca. Un incontro c’è già stato, un altro si terrà il prossimo 26 marzo. Polemico il sindaco di Porto Torres: «La presentazione dei risultati dei primi due anni di coltivazione del cardo – ha detto Scarpa – è la risposta ai detrattori che mistificano la realtà».
    Gibi Puggioni

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